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Opinioni
Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

“Israele non distruggerà Hamas, per il popolo ora sono eroi”: la scrittrice palestinese Suad Amiry a Fanpage.it

“I crimini di Israele a Gaza hanno rafforzato Hamas: prima era impopolare, ora è il partito degli eroi, e se Israele crede di poterlo eliminare si sbaglia di grosso”. Laica e di sinistra, l’intellettuale è grata ai terroristi del 7 ottobre “per aver riportato la Palestina sulle prime pagine”. E non si sente di condannarli.
Intervista a Suad Amiry
Scrittrice palestinese
A cura di Riccardo Amati
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“Con quello che sta accadendo a Gaza e con ciò che abbiamo subìto ogni giorno per 75 anni, non accettiamo lezioni di moralità da Israele e dall’Occidente”. I miliziani di Hamas “hanno avuto il grande merito di riportare la causa palestinese al centro dell’attenzione mondiale”. E sono adesso “eroi” per la popolazione. Che fino a un mese fa “in buona parte li disprezzava”.

A parlare così non è una terrorista e nemmeno un’estremista, ma una pacata intellettuale cosmopolita, laica e di sinistra. Una che non ha votato Hamas nelle elezioni del 2006 e non lo farà mai nella vita. Una che non sopporta né guerre né eroi. E che ha partecipato alle trattative per gli accordi di Oslo nella delegazione palestinese di Yasser Arafat. Alla pace ci ha creduto.

“Oggi io non condanno Hamas”, dice a Fanpage.it. “E se Israele e l’Occidente ritengono che si possa annientare Hamas o comunque escluderla da un processo di pace, non hanno proprio capito niente della situazione qui”.

Suad Amiry
Suad Amiry

Suad Amiry, architetto, accademica, ex consulente del governo dell’Olp, vive in Cisgiordania. A Ramallah, il centro amministrativo dello Stato “a riconoscimento limitato” di Palestina. Amiry è soprattutto una meravigliosa scrittrice. Nel suo “Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea” (Mondadori, 2020) dà nomi, vita e sogni a persone che troppo spesso sono rimaste senza un volto, per noi che li chiamiamo genericamente “palestinesi”.

La storia d’amore tra due ragazzini, Shams e Subhi, ci fa vagare per le strade del porto di Giaffa all’inizio della Nakba, la diaspora causata dalla formazione dello Stato di Israele, nel 1948. È una Giaffa che, per umanità, colori e peripezie dei suoi abitanti, somiglia in modo sorprendente al porto di Bahia descritto da Jorge Amado. Forse perché i porti e più in generale “la gente, i ragazzi e i loro sogni sono uguali proprio dappertutto”, come dice Suad Amiry. Che non ha letto Amado.

Intorno a Giaffa e alle vicende dei personaggi del libro, infuria la bufera politica. Shams e Subhi, poi, invecchieranno attraversando tutte le tragedie del loro popolo. “Tutto ha origine nel 1948”, commenta la scrittrice.

Restiamo al telefono con Suad Amiry per oltre un’ora. Parlare con lei significa avere la misura dell’esasperazione che regna anche tra i moderati, in Palestina. E di quanto siano irrealistici molti dei dibattiti tra gli “opinionisti” dei nostri talk show. L’intervista è stata accorciata e montata per esigenze di spazio e di comprensione del testo.

Professoressa Amiry, la ragazzina Shams, protagonista del suo libro, rappresenta la tragedia vissuta dai palestinesi negli ultimi 75 anni. Divenuta anziana, quel che più caratterizza Shams è — cito — “la grande capacità di perdonare”. Avete ancora la capacità di perdonare?

Il problema è che non abbiamo mai avuto un momento, uno spazio per poterci fermare, respirare e perdonare. Io vorrei poter perdonare e addirittura poter dimenticare di essere palestinese. Ma negli ultimi 75 anni siamo stati continuamente sotto attacco. Per guarire delle ferite e perdonare c’è bisogno di spazio, di calma. Di pace. E c’è bisogno di esser riconosciuti. Non abbiamo mai avuto niente di tutto questo.

E cosa avete avuto, invece?

Una continua aggressione. Che avviene in molti modi. Se voglio uscire dalla città dove vivo, devo passare da un check point israeliano. A volte non posso andare a far lezione all’università perché c’è un posto di blocco. Non passa giorno che non venga distrutta una casa, o chiusa una scuola, o espiantato un uliveto. La pressione sulla Cisgiordania dei coloni israeliani, sempre protetti dal loro esercito, non si ferma mai. Come possiamo fermarci noi per poter lenire le ferite, liberarci dal nostro trauma e perdonare? Non abbiamo mai avuto un attimo di respiro.

Che oggi ci sia almeno un pausa umanitaria o meglio ancora un cessate il fuoco è quanto chiunque dovrebbe augurarsi. Al di là dei crimini commessi, delle ragioni e dei torti. Ma dopo? Cosa serve dopo?

Un cessate il fuoco fermerebbe la tragedia di Gaza, che sta creando sempre più rabbia, frustrazione e disperazione. Anche in questo sta l’assurdità dell’azione israeliana. Perché dopo qualsiasi cessate il fuoco si dovrà trovare una soluzione politica. I sentimenti alimentati in questi giorni la rendono sempre più difficile. Mi pare impossibile che il mondo non possa fermare i bombardamenti su Gaza. Per questo ritengo Usa ed Europa corresponsabili dell’aggressione contro i palestinesi.

Lei crede che dopo quel che è successo nell’ultimo mese sia ancora possibile la soluzione dei “due Stati”?

È necessaria una soluzione per i palestinesi. Due Stati o un solo Stato. Non è questo il punto. Ma gli israeliani non vogliono alcuna soluzione. Cosa gli impedisce di ristabilire i confini del 1967 (prima della Guerra dei sei giorni e della conquista israeliana di Cisgiordania, Gaza e altri territori, ndr)? Il fatto è che vogliono la Cisgiordania per loro. E infatti la stanno colonizzando. Come si può tornare a un processo di pace, così?

Con una mediazione internazionale che fornisca garanzie anche a Israele, probabilmente.

E questo è un problema ancora maggiore. Perché Stati Uniti ed Europa hanno perso ogni credibilità, come possibili mediatori. Il presidente americano, in particolare, mi pare che faccia solo da assistente a Netanyahu.

Veramente i tentativi di mediazione sono in atto. Ma Netanyahu è un osso duro. Quanto è colpa del suo governo, se si è arrivati a tutto questo?

All’interno del governo Netanyahu ci sono coloni che parlano apertamente di annessione della Cisgiordania. Questo dice tutto. La stessa opposizione israeliana sta mettendo in questione che Israele sia una democrazia. Democrazia per chi? Non certo per gli arabi. Il problema è l’occupazione dei nostri territori. Come può essere “democratico” un Paese che occupa territori altrui?

Fatto sta che in Israele ci sono istituzioni democratiche ed è possibile un’alternanza al potere. Un governo diverso cambierebbe le cose? Renderebbe possibile un percorso verso la pace?

Ma non c’è stato solo il governo Netanyahu. Son passati trent’anni dagli accordi di pace di Oslo. Nel frattempo Israele non ha mica avuto solo governi di destra.

Gli Usa, alcuni Stati arabi e la stessa Autorità palestinese stanno pensando a un futuro senza Hamas, per Gaza. È uno scenario realistico?

Non lo è. Oltre a commettere crimini di guerra e a dimostrare quotidianamente una brutalità inaudita, Israele a Gaza sta commettendo un grande errore: ritiene che uccidendo civili porterà i palestinesi ad allontanarsi da Hamas. È il contrario: ha reso Hamas popolare come non mai.

Perché, Hamas non era già popolare?

Per niente. Se ci fossero state elezioni a Gaza, Hamas non avrebbe potuto sperare di vincerle. L’azione di Israele ha rovesciato la situazione. Prendete il mio caso, anche se vivo a Ramallah e non a Gaza: sono laica e di sinistra. Mai nella vita voterò per Hamas. Ero molto triste dopo la vittoria di Hamas alle urne, nel 2006. Ma quando vedo gli israeliani bombardare una scuola, da che parte pensate che stia in questa guerra tra Israele e Hamas?

Con Hamas, supponiamo.

Hamas ha avuto il merito di riportare la questione palestinese all’attenzione del mondo.

Sì, con le atrocità disumane del 7 ottobre scorso. Donne, bambini, anziani, ragazzi a una festa: una macelleria. Lei condanna Hamas per quella barbarie?

Di 7 ottobre noi palestinesi ne abbiamo subiti migliaia. Li subiamo tutti i giorni dal 1948. Israele è un Paese fondato sulla colonizzazione della Palestina. Il problema è all’origine.

Ma lei condanna Hamas per il 7 ottobre?

Facendo questa domanda, dimostrate di prendere le parti di Israele contro noi palestinesi.

No guardi, è solo una domanda.

Perché non chiedete a un israeliano se condanna quel che sta facendo Israele a Gaza.

Lo faremo senz’altro. Ma al momento stiamo parlando con lei…

Hamas ha il diritto di combattere. Che ci piaccia o no. I palestinesi hanno il diritto di lottare contro l’occupazione. Come ogni altra nazione al mondo. Il modo in cui lo facciamo è affar nostro.

Quel che ha fatto Hamas il 7 ottobre è mostruoso e insostenibile. Ed è affare di tutta l’umanità.

Personalmente sono d’accordo che un eccidio di civili è sempre orribile, chiunque siano le vittime. Etica e moralità però oggi devono convivere in me con il mio stato di palestinese sotto occupazione. I padri della patria di molti Paesi hanno iniziato come terroristi. Penso a Mandela, Ho Chi Minh e tanti altri. Non posso condannare Hamas.

Per prendere un “terrorista/padre della patria” a noi familiare: i metodi di Mazzini erano parecchio diversi da quelli di Hamas…

Non dateci lezioni di moralità, grazie. Con tutte le vittime civili causate dall’Occidente in tante guerre lontane e recenti non mi sento di dover prendere lezioni di moralità da voi occidentali.

Lei riconosce allo Stato di Israele il diritto di esistere?

Un’altra domanda pro-israeliana. Che significa Stato? Significa forse che io non debba avere alcun diritto a Jaffa (l’antico porto diventato parte di Tel Aviv, Israele, ndr) da dove viene la mia famiglia e dove è la casa di mio padre, adesso di proprietà degli israeliani? O significa forse che devo diventare sionista? No, grazie.

L’obiettivo di Israele è distruggere Hamas. E possibile distruggere Hamas?

Assolutamente no. Tantomeno adesso. I miliziani di Hamas sono diventati eroi. Glielo dice una che non sopporta le guerre e nemmeno gli eroi. Ma così stano le cose. Israele non ha capito la situazione. Né l’hanno capita gli Usa. Come tante altre volte nella Storia. Dal Vietnam all’Afghanistan.

Hamas dovrebbe trattare con Israele?

Significherebbe riconoscere lo Stato ebraico. Sarà possibile solo quando Israele riconoscerà la Palestina. Per la mia esperienza personale come componente della delegazione di pace per gli accordi di Oslo, riconoscere Israele non porta in alcun luogo. Dà solo vantaggi a una controparte che non ha alcuna intenzione di riconoscere uno Stato palestinese.

Ma così non se ne esce, professoressa. Il filosofo palestinese Salam Fayyad in un articolo su Foreign Policy ha proposto un fronte politico unico con all’interno anche Hamas sotto l’egida dell’Autorità palestinese di Ramallah. Almeno questo potrebbe funzionare?

Sì, ed è quello che io stessa propongo a Abu Mazen (al secolo Mahmoud Abbas, leader dell’Autorità palestinese, ndr), che anche per il discredito pilotato da Israele ha di fatto perso il rispetto di gran parte della popolazione. Non potrebbe mai governare Gaza senza Hamas.

C’è molto astio, da parte dei palestinesi, verso l’Europa. Ma i consigli di guerra Netanyahu mica li tiene a Bruxelles…

I vostri Paesi sostengono Israele in ogni modo. Ed è vergognoso che in Europa si vietino o si limitino le manifestazioni pro-Palestina.

Veramente ce ne sono dappertutto…

Sono stati posti limiti e divieti. In Francia, in Germania e altrove.

Ovviamente ci sono problemi di lotta al terrorismo. E di lotta all’antisemitismo, che torna a serpeggiare in Europa. Non sono forse problemi da affrontare? Hamas inneggia allo sterminio degli ebrei…

L’antisemitismo è un problema vostro, di cui ora date la colpa ai palestinesi. Noi siamo diventati il capro espiatorio del vostro antisemitismo. Fin dal 1948. Siamo le vittime delle vittime. Delle vostre vittime. Con la cui persecuzione mai avemmo niente a che fare. Hamas, qualunque cosa dica la propaganda di Israele, non è la continuazione di Hitler. I razzisti non siamo noi.

Che dovrebbe fare l’Europa?

Trovare il modo di imporre a Israele un cessate il fuoco. E magari dichiarare la creazione dello Stato palestinese. Come si fece a suo tempo per Israele. Più realisticamente, l’ Europa deve favorire una soluzione politica. Evitare che ci siano altre guerre in futuro, scongiurare le prossime vendette. La chiave è la fine dell’assedio di Gaza e dell’occupazione della Cisgiordania.

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Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.
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