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Conflitto Israelo-Palestinese

Israele, la piazza contro Netanyahu: “Unica via è stop alla guerra e riconoscimento della Palestina”

Ad animare le proteste di piazza anche i movimenti radicali che chiedono la fine della guerra e il riconoscimento dello Stato di Palestina. “Non siamo tutti Netanyahu o Ben Gvir, l’unica via per la pace è riconoscere i diritti dei palestinesi”.
A cura di Antonio Musella
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Un momento delle manifestazioni a Tel Aviv contro Netanyahu, Credit: Standing Togheter
Un momento delle manifestazioni a Tel Aviv contro Netanyahu, Credit: Standing Togheter
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Sono giorni di fuoco a Tel Aviv con i manifestanti contro Benjamin Netanyahu che affollano il quartiere governativo della città israeliana tutti i giorni. Dopo la diffusione delle immagini dei corpi di 6 degli ostaggi rapiti il 7 ottobre scorso durante l'attacco di Hamas al kibbutz Netiv Ha'asara, i manifestanti hanno invaso le strade di Tel Aviv. Si registrano scontri quotidiani con la polizia e numerosi fermi.

La pressione contro Netanyahu e il suo governo appoggiato dall'estrema destra non è mai stata così forte da dopo il 7 ottobre. Nelle piazze ci sono tanti semplici cittadini che vogliono semplicemente il rilascio degli ostaggi e la cacciata di Netanyauh, senza mettere in discussione complessivamente le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi.

Ma in questa galassia negli ultimi mesi si sono fatte strada diverse organizzazioni che hanno al centro del proprio programma la fine della guerra, la fine dell'occupazione coloniale nei territori palestinesi e il riconoscimento dello Stato palestinese. Nel mare di violenza scatenato dal governo israeliano nell'ultimo anno, questi movimenti rappresentano sicuramente una novità importante. Lo chiamano il "radical block" il blocco radicale, composto da organizzazioni principalmente di sinistra o pacifiste, tra loro c'è Standing Togheter, un'organizzazione di ispirazione socialista radicata soprattutto a Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme, e che sta animando le manifestazioni degli ultimi giorni.

Fanpage.it ha sentito Alon Lee Green, il condirettore di Standing Togheter, impegnato da giorni nelle manifestazioni contro Netanyahu.

"La rabbia è esplosa, vogliamo la fine della guerra subito"

L'ultima manifestazione notturna contro il governo ha visto 30 mila persone scendere in piazza, in una manifestazione che si è conclusa nella cosiddetta "piazza degli ostaggi", ovvero il piazzale davanti al Museo dell'Arte contemporanea di Tel Aviv.

Negli ultimi giorni le proteste si sono estese davanti alla casa del primo ministro israeliano dove ci sono stati diversi scontri, con lancio di lacrimogeni e arresti, ma anche blocchi stradali nelle vie del centro e blocchi dell'autostrada che collega Tel Aviv alle altre principali città israeliane e a Gerusalemme.

"Domenica mattina i media hanno annunciato il ritrovamento dei corpi di 6 ostaggi israeliani a Gaza – spiega a Fanpage.it Alon Lee Green, Co Direttore di Standing Togheter – sappiamo che quelle 6 persone sarebbero potute ritornare vive e non morte, fino a venerdì mattina erano vive. Se il nostro governo avesse accettato l'accordo sugli ostaggi, sarebbero tornate vive già 3 settimane fa".

Dopo la notizia la gente ha invaso le strade. "Le persone sono arrabbiate, arrabbiate contro il governo, contro Netanyahu, è a causa del suo rifiuto a firmare l'accordo sugli ostaggi che queste persone sono tornate morte. Da quel momento per tre giorni di fila, ogni sera siamo in strada a protestare, a bloccare le strade, chiedendo di firmare l'accordo, di far cessare la guerra e di riportare a casa gli ostaggi".

Ma le organizzazioni del "radical block" non si fermano alla richiesta della fine della guerra. "Su questa terra 7 milioni di ebrei vivono accanto a 7 milioni di palestinesi – spiega – non si va da nessuna parte se non capiamo che l'unico modo per vivere in sicurezza ed avere un futuro è accettare i diritti di tutti, bisogna accettare che tutti hanno il diritto alla libertà, di essere cittadino di un paese nel mondo. Per questo noi non chiediamo solo la fine della guerra e il rilascio degli ostaggi, ma anche la fine dell'occupazione israeliana ai danni dei palestinesi".

Una voce che probabilmente non è maggioritaria in Israele in questo momento storico, ma che proprio nelle proteste di questi giorni si sta facendo strada. "Noi chiediamo che si riconosca uno stato palestinese indipendente – sottolinea il Co direttore di Standing Togheter – il governo israeliano deve smettere di costruire gli insediamenti dei coloni in Cisgiordania. Finché Israele continuerà ad occupare e a dominare milioni di persone che non hanno diritti, anche noi non saremo liberi e non saremo al sicuro".

foto credit: Standing Togheter
foto credit: Standing Togheter

"Dobbiamo riconoscere ai palestinesi il diritto di esistere"

In queste ore concitate in tanti all'interno dei gruppi e delle organizzazioni, fanno il conto degli attivisti arrestati dalla polizia e di quelli feriti. Una piazza che ha la consapevolezza di essere guardata da tutto il mondo, cosciente che quello che arriva attraverso i media, per la prima volta dopo mesi, non sono solo le immagini dei massacri dell'IDF (le forze armate israeliane) compiute a Gaza o delle azioni armate o delle aggressioni compiute dai coloni ai villaggi palestinesi in Cisgiordania.

"Vogliamo che tutti sappiano che così come il popolo palestinese non è Hamas, noi non siamo tutti Netanyahu, non siamo tutti Ben Gvir, non siamo tutti Smotrich – ci dice Green – non siamo tutti ricchi e potenti in Israele, ci sono persone che vogliono solo andare via, che hanno sofferto un dramma enorme per il 7 ottobre, ma ora dobbiamo trovare un modo per far finire questa guerra, per porre fine alle ostilità e alla violenza, questa è l'unica via da seguire. Dobbiamo ricordarci che quando parliamo di Israele e Palestina nel mondo, dobbiamo ricordare che esiste una società civile israeliana, se vogliamo trovare una soluzione non dobbiamo solo maledire la guerra o maledire l'occupazione, dobbiamo riconoscere che due popoli vivono su questa terra e non si andrà da nessuna parte se non troviamo il modo di riconoscere il diritto di esistere ad entrambi".

La raccolta di aiuti umanitari per la popolazione di Gaza

Prima ancora dell'esplosione delle proteste di piazza contro il governo, alcune delle organizzazioni della società civile israeliana si sono mobilitate nelle ultime settimane per la popolazione di Gaza. Proprio Standing Togheter ha promosso nelle città israeliane una raccolta di aiuti umanitari da portare a Gaza, con presidi di raccolta in diverse città e con una partecipazione attiva sia della popolazione israeliana che di quella palestinese. Una iniziativa partita a luglio, dopo che i gruppi di estrema destra israeliana hanno iniziato ad assaltare i convogli umanitari diretti a Gaza che transitavano in Cisgiordania.

"Coloni ed estremisti di destra bloccano i convogli umanitari per dargli fuoco, e non far arrivare questi aiuti a Gaza" racconta Green. "Così abbiamo iniziato a organizzarci con i nostri attivisti per andarli ad affrontare e per impedirgli di bloccare i camion. Abbiamo fatto dei turni giornalieri e in questo modo abbiamo costretto la polizia ad agire per prevenire lo scontro tra noi ed i coloni. E così all'improvviso la polizia è iniziata ad intervenire per proteggere i convogli, già dalla fine di maggio e nei successivi 2-3 mesi, ogni camion che passava dalla Cisgiordania aveva una scorta di sicurezza".

Ma gli attivisti non si sono fermati a questo. "Ci siamo detti che non era abbastanza, volevamo far parte della raccolta di aiuti. E così abbiamo iniziato, soprattutto tra la comunità palestinese in Israele, forse non tutti sanno che il 20% della popolazione israeliana è fatta da cittadini arabi palestinesi israeliani. Loro fanno parte della stessa comunità di persone che vengono bombardate e uccise a Gaza. Così abbiamo attraversato i villaggi palestinesi in Israele uno dopo l'altro, e abbiamo raccolto migliaia di tonnellate di aiuti e di cibo per Gaza, ed è stata una delle campagne con il maggiore impatto sulla comunità palestinese in Israele. Personalmente sono molto orgoglioso di tutto questo".

Raccolta aiuti umanitari per la popolazione di Gaza in Israele
Raccolta aiuti umanitari per la popolazione di Gaza in Israele

Manifestazioni e proteste: quale sarà il futuro politico di Israele?

Se il governo di estrema destra retto da Bibi Netanyahu è nell'occhio del ciclone, è difficile oggi poter definire il futuro politico di Israele. Da un lato il massacro compiuto a Gaza, la scelta di continuare negli insediamenti dei coloni in Cisgiordania nonostante siano dichiarati illegali dalla Corte internazionale di giustizia e l'incriminazione stessa di un primo ministro israeliano per crimini di guerra, sembrano aver condotto il paese su una strada in cui è difficile tornare indietro. Dall'altra se qualcosa ci raccontano le proteste di piazza, così come il movimento per la difesa dell'indipendenza della giustizia precedente al 7 ottobre, è che un segno diverso nella società israeliana esiste. Una società che resta serratamente divisa tra interessi di parte, da quelli dei coloni, rappresentati oggi da Ben Gvir e Smotrich a quelli degli ebrei ortodossi che stanno letteralmente colonizzando Gerusalemme a danno della comunità palestinese, da quella dell'estrema destra suprematista e razzista fino agli interessi particolari di chi vive nei villaggi più rurali e nei kibbutz. In mezzo sembrano esserci i partiti di centro sinistra, incapaci di avere un ruolo nelle proteste fino a questo momento.

Per ora i movimenti di piazza sembrano radicati soprattutto a Tel Aviv e Haifa, le due città israeliane che hanno una dimensione più "occidentale" e un'impronta meno religiosa e messianica. "La rimozione di questo governo fascista è il primo passo, ma sicuramente non basta – ci dice Alon Lee Green – essere contro Netanyahu davvero non è abbastanza. Qui c'è una guerra non solo a Gaza ma anche in West Bank, 500 palestinesi sono morti dopo il 7 ottobre in Cisgiordania per mano dell'esercito o dei coloni. Dobbiamo ricordarci che stanno continuando a costruire gli insediamenti illegali, hanno demolito le case palestinesi a Gerusalemme ed in West Bank, il 20% della popolazione, i nostri palestinesi, sono pesantemente discriminati. Abbiamo un sacco di problemi sociali ed economici, l'unica soluzione è un cambiamento radicale non solo un cambio di personaggi. Il primo passo è cacciare questo governo ma poi dobbiamo chiedere all'opposizione, ai vari Jai Lapid, Jai Golan o Beni Gantz che sembra piacere tanto, quali solo le loro posizioni sull'occupazione, sullo status di Gerusalemme, sulle discriminazioni ai palestinesi in Israele. Pensano di sostenere l'uguaglianza? Pensano di sostenere la soluzione dei due Stati? Io francamente non lo so. Per questo c'è necessità di rafforzare l'opposizione in Israele".

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