Iran, rilasciata senza accuse la studentessa che si spogliò all’Università di Teheran
"È malata di mente". Con questa motivazione la magistratura iraniana ha rinunciato a formalizzare accuse nei confronti della studentessa che alcune settimane fa si era spogliata all'università di Teheran, e la cui foto aveva fatto il giro del mondo facendola diventare un simbolo delle proteste contro l'hijab obbligatorio. I giudici della Repubblica islamica ha annunciato il suo rilascio dall'ospedale psichiatrico in cui è stata a lungo ricoverata per presunti problemi di natura psichiatrica.
"Dato che è stato stabilito che era malata, è stata riconsegnata alla sua famiglia ed è sotto la loro cura", ha detto il portavoce della magistratura di Teheran, facendo sapere che a causa della condizione in cui si trova "nessun caso è stato aperto contro di lei", né sono stati presi provvedimenti da parte dell'università. Identificata da alcuni come Ahoo Daryaei, una studentessa trentenne che sta facendo un dottorato, la giovane all'inizio di novembre era stata redarguita perché non indossava correttamente l'hijab mentre si trovava all'Università Azad di Teheran.
In quello che era stato ben presto interpretato come un gesto di protesta, la giovane si era parzialmente spogliata e aveva iniziato a vagare nel cortile dell'ateneo. Le immagini della sua passeggiata in biancheria intima colorata, tra le altre studentesse velate di nero, avevano fatto il giro del mondo, ispirando i movimenti femministi e i critici del regime degli ayatollah. Tuttavia ben presto sulla vicenda era calato il silenzio: la ragazza infatti era stata condotta con la forza in un ospedale psichiatrico su ordine delle autorità iraniane.
Mentre era in ospedale, il suo gesto era stato definito "immorale" dal ministro della Scienza, Hossein Simai Saraf, mentre in tutto il mondo migliaia di persone lodavano il coraggio della giovane. Il suo ricovero era stato invece ritenuto una forma di "tortura" dall'attivista iraniana Shirin Ebadi. La Premio Nobel per la Pace, che dal 2009 vive in esilio a Londra, aveva attaccato il governo di Teheran affermando che costringere dissidenti in ospedale "è un vecchio metodo del sistema di repressione", mentre Amnesty International aveva denunciato casi in cui manifestanti ricoverati con la forza in ospedali psichiatrici statali avevano subito torture e abusi di ogni tipo.