“Io, pacifista, sequestrato e torturato da Israele senza un perché”: parla l’attivista di Hebron Issa Amro
Alla tortura, quando non dura troppo a lungo, si può resistere. Il dolore poi passa. Sono le umiliazioni che a volte lasciano le ferite più profonde. Nell’anima, che a risarcirsi ci mette più della carne.
“Mi hanno aspettato davanti a casa, soldati e settler (i ‘coloni' israeliani che stabiliscono insediamenti nei territori occupati, ndr). Tutti in divisa militare. Sono stato preso di peso nel mio cortile, portato via, malmenato e trattenuto per dieci ore. Torturato. Soprattutto umiliato. Senza che mi dicessero perché. Nemmeno quando mi hanno rilasciato mi hanno dato un motivo per il loro agire. È stato un sequestro in piena regola”. Tra i sequestratori, i suoi vicini di casa, probabilmente.
“Ma non c’è più alcuna differenza tra i settler che abitano di fianco a me e i soldati dell’Idf (le forze di difesa israeliane, ndr): si muovono insieme, hanno la stessa divisa, lo stesso desiderio di umiliarti, lo stesso odio”.
Le autorità israeliane sanno bene chi è Issa Amro. Sanno che non ha proprio niente a che vedere con Hamas. Sanno che fin dai tempi del suo attivismo universitario ha sempre e solo esortato alla resistenza non violenta e alla disobbedienza civile, contro l’occupazione e gli insediamenti di Israele in Cisgiordania.
L’Alto Commissariato Onu per i diritti umani lo ha definito in passato “campione dei diritti in Palestina” e si è più volte preoccupato della sua sicurezza, dopo le testimonianze sulle aggressioni e le minacce da lui subìte e dopo gli arresti arbitrari a cui è stato sottoposto.
Issa ha creato il gruppo di base pacifista “Giovani contro gli insediamenti”. I suoi idoli sono Martin Luther King, Nelson Mandela e il Mahatma Gandhi. Non certo Ismail Haniyeh o Yahya Sinwar. Eppure, nelle ore immediatamente successive all’orrenda operazione di bassa macelleria ordita da Haniyeh negli alberghi di Doha e da Sinwar nei cunicoli di Gaza, c’è chi si è vendicato su di lui, Issa Amro, pacifista di strada.
Issa, dopo quella del febbraio scorso — ripresa in un video che diventò virale — lei ha subìto una nuova aggressione da parte di militari israeliani. Ci racconta cosa è successo?
Il 7 di ottobre militari e settler mi hanno sequestrato nel mio cortile, mente stavo rientrando a casa. Mi hanno picchiato, torturato e umiliato per dieci ore. Settler e soldati intanto attaccavano e razziavano casa mia. Hanno rubato le mie telecamere di sicurezza, scassato cancelli e porte, vandalizzato il mio giardino, scagliato pietre sulle mie cose. Non mi hanno detto per quale ragione abbiano fatto questo. Nemmeno quando poi mi hanno rilasciato. Hanno offeso la mia dignità. È stato davvero avvilente.
Ma sono stati i settler che vivono vicino a lei a chiamare i soldati?
Può essere. Ma ora è la stessa cosa. Non ci sono distinzioni tra i settler e i soldati. Sono tutti allo stesso modo infuriati e molto violenti. E in divisa.
È stato attaccato solo lei?
Ho visto raid e furti anche in altre proprietà. Militari e settler hanno sparato su alcune case di palestinesi e minacciato con le armi i presenti.
Quindi c’è molto odio c’è nei vostri confronti?
Settler e militari sono pieni di odio. E hanno il potere. E anche chi ne ha poco lo esercita con tutto l’odio possibile.
Odio per la carneficina ad opera di Hamas, evidentemente. Come descriverebbe la situazione che si è creata a Hebron dopo il 7 di ottobre?
Dal 7 di ottobre in Cisgiordania è in atto una guerra non dichiarata contro noi civili, e una politica di deportazione non annunciata. L’esercito israeliano, insieme ai settler in uniforme, stanno rendendo la vita dei palestinesi miserabile, intollerabile. La nostra gente viene aggredita, sequestrata, malmenata. Ci sparano addosso, violano le nostre case. Oltre 4.500 palestinesi sono stati arrestati in Cisgiordania dopo il 7 di ottobre (secondo l’Onu gli arresti al 28 dicembre erano circa 3.400, a fronte di oltre 317 palestinesi uccisi, ndr). Molte università e scuole sono chiuse. I villaggi sono quasi tutti assediati e isolati. Le strade principali sono off limits per i palestinesi. Solo alcuni varchi restano transitabili. Così i trasporti e il movimento delle persone è estremamente ristretto. Non possiamo neanche raggiungere in negozi per far la spesa. La gente si sente in continuo pericolo. Nelle città come nei campi profughi e nei villaggi. A Tulkarm il 26 dicembre un attacco israeliano sul campo di Nur Shams ha ucciso sei persone e ne ha ferite diverse decine. Nel campo di Fawwar, vicino a Hebron, poche ore fa sono state uccisi due palestinesi. Dappertutto ci sono vittime.
A Hebron c’è il coprifuoco?
Sì, qui nella zona H2 (sotto controllo israeliano secondo il mai ratificato Protocollo di Hebron del 1997, ndr) c’è il coprifuoco. Possiamo muoverci solo in determinate ore del giorno.
Con tutto quest’odio, da parte israeliana per il 7 di ottobre e da parte palestinese per la reazione israeliana al 7 di ottobre, è ancora possibile una soluzione del conflitto?
Questo non è un conflitto tra due parti. È una parte sola, a fare la guerra. È una guerra contro i civili palestinesi. Noi siamo civili, che vivono sotto occupazione in un regime di apartheid. Non ci sono due nemici in guerra. C’è un Paese che ci dà contro. Con l’appoggio degli Stati Uniti, dell’Europa e di altri. Noi palestinesi vogliamo esser trattati come una nazione. Meritiamo di avere libertà, giustizia e diritti pieni e uguali. Non vogliamo esser trattati come animali in cerca di riparo e di cibo.
Odiate gli israeliani per quel che vi stanno facendo?
No, noi amiamo gli israeliani, amiamo gli ebrei. Vogliamo vivere insieme a loro, o fianco a fianco. Ma con piena uguaglianza di diritti, con giustizia e con la responsabilità personale di chiunque violi i diritti umani.
Quindi la Palestina non si identifica con Hamas?
Possiamo forse considerare tutti gli israeliani come militanti di Gush (Gush Emunim, ovvero “Blocco dei fedeli”: movimento ultranazionalista ortodosso dell’estrema destra israeliana, ndr)? Possiamo forse pensare che tutti gli israeliani siano come Netanyahu? O come Smotrich (Bezalel Smotrich, settler di estrema destra, attuale ministro delle Finanze, ndr)?
Certamente no.
E allora, come si possono ricomprendere tutti i palestinesi in un solo gruppo che si chiama Hamas? È assurda anche solo come ipotesi.
Si può rimuovere Hamas dal sistema politico palestinese?
Se si potesse, i palestinesi avrebbero poi uno Stato? E libertà, giustizia e uguaglianza? Hamas è un’entità relativamente nuova. Esiste dal 1987. L’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, da molto prima. E ha voluto la pace con Israele. È stato Israele a rifiutare ogni soluzione. Hamas non è mai stato protagonista, in questi eventi. Comunque Hamas è un ideologia, e come tale impossibile da rimuovere. Quel che ridurrà la violenza non è la rimozione forzata di Hamas: sarà la pace. Con la pace finirà la violenza. Tutto qui.
Nel 2024 ci saranno passi verso la pace? O vedremo ancora violenza?
Credo che tutti, nel mondo, abbiano capito che la fine dell’occupazione, della colonizzazione e dell’apartheid sia la strada che può portarci a vivere insieme e in pace. Solo gli israeliani non la pensano così. O meglio, una parte di loro. L’unica via è una soluzione politica. Non quella dell’estrema destra di Israele, che vorrebbe i palestinesi fuori dalla Palestina.
Ritiene necessario un cambio di governo in Israele, per poter parlare di pace?
Sì, è necessario. Insieme alla pressione internazionale. Perché è Israele che rifiuta la pace. Che sia una soluzione “a due stati”, secondo quanto stabilito dal diritto internazionale, O che si formi un consensus tra Israele e Palestina per formare un solo Stato e vivere così tutti insieme. La maggioranza degli israeliani vorrebbe solo vivere in pace. Come la maggioranza dei palestinesi. Perché non arriviamo una volta per tutte alla pace?
Ma lei pensa che una soluzione con due Stati sia ancora perseguibile?
Sì ma non necessaria. Può anche esserci un solo Stato, su un territorio comune. Con uguali diritti per tutta la popolazione. Con una costituzione su cui siamo tutti d’accordo. Proteggendoci a vicenda, garantendo la sicurezza di tutti e lavorando insieme.
Lei preferirebbe un solo Stato?
La maggior parte dei palestinesi e degli israeliani vuole solo che tutto questo finisca. E l’unico modo è la fine dell’occupazione e della colonizzazione. Perché allontanano dalla possibilità di una soluzione pacifica. Personalmente, preferirei una soluzione con un unico Stato. Ma non ho alcuna obiezione verso una soluzione che preveda due Stati.
Riconosce quindi il diritto per Israele di esistere in Palestina?
Sì ma non sono io a riconoscerlo: è l’Olp. Che, in nome dei palestinesi, ha riconosciuto Israele molti anni fa. Purtroppo poi Israele non ha riconosciuto la Palestina.
Perché molti palestinesi non condannano esplicitamente il massacro commesso da Hamas il 7 di ottobre? O si sentono offesi quando gli viene chiesto se lo condannino o meno?
Condanno in pieno, pubblicamente, senza se e senza ma, la violenza e in particolare l’uccisione e il sequestro di civili. Quindi, anche il 7 ottobre. Eppure io stesso non sono a mio agio quando mi chiedono di farlo. Perché non si chiede a Israele se condanna la sua, di violenza? Il fatto è che a Gaza è stato creato un mostro. Chi vive a Gaza, senza elettricità e senza acqua potabile, col cibo razionato, sotto un continuo assedio, può diventare un mostro. E può finire per comportarsi nel modo visto il 7 ottobre. Non è una giustificazione. Fatto sta che non si possono davvero giudicare le vittime.