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“Io e mio figlio vendiamo legna per 46 centesimi al giorno: mangiamo solo polvere di manioca”

Philomene, disabile, fuggita con i suoi 6 figli dalle violenze nella Repubblica Centroafricana. Mohammed ridotto a lottare ogni giorno per sfamare i cinque figli in Yemen. Sono solo due delle tante storie di civili costretti a vivere in un Paese in guerra. “Quando scoppia un conflitto armato a pagare il prezzo più alto è la popolazione civile”, è il monito di Medici Senza Frontiere (Msf). L’organizzazione umanitaria ha lanciato la campagna di raccolta fondi “Cure nel cuore dei conflitti” per sostenere quattro ospedali in zone di guerra.
A cura di Mirko Bellis
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La visita di un'infermiera di Msf ad una donna incinta in Sud Sudan (Medici senza Frontiere)
La visita di un'infermiera di Msf ad una donna incinta in Sud Sudan (Medici senza Frontiere)

“Se potessi usare le mie gambe, mio figlio non avrebbe bisogno di andare a prendere legna da ardere. Però questa è la nostra unica fonte di reddito: il bambino trova la legna e io lo vendo. Guadagno circa 300 franchi CFA (46 centesimi) al giorno, quanto basta per comprare un po’ di polvere di manioca da mangiare”. Philomene è disabile, soffre di distrofia muscolare. Due anni fa, un gruppo di uomini armati ha attaccato il suo villaggio nella Repubblica Centroafricana. Per lei e i suoi 6 bambini non è rimasta altra possibilità che darsi alla fuga e da un anno la loro nuova casa è in campo profughi. Il 70% del Paese africano è in mano a gruppi armati e, solo quest'anno, sono oltre 230mila gli sfollati in fuga dalle violenze.

“Perché attaccano i civili, qual è la nostra colpa? Siamo persone normali, non abbiamo armi, non abbiamo missili, non abbiamo nulla, siamo cittadini pacifici che cercano solo di sfamare i nostri bambini”, è il dramma di Mohammed, un yemenita padre di cinque figli. “Qui non c’è futuro. Questa è una catastrofe”. Queste due testimonianze raccontano tutta la sofferenza dei civili in un Paese in guerra. Le loro storie sono quelle di intere comunità spesso senza cibo né beni primari e costrette a fuggire per salvarsi la vita. “Quando scoppia un conflitto armato a pagare il prezzo più alto è la popolazione civile”, è il monito di Medici Senza Frontiere (Msf). Ma anche in guerra la vita continua, ricorda l'Ong.

I medici in prima linea curano le ferite, assistono pazienti con malattie comuni, aiutano le donne a partorire e, quando gli ospedali sono distrutti o sovraffollati, allestiscono sale operatorie, ambulanze, cliniche per cure di base, programmi nutrizionali e vaccinali. Lo fanno in luoghi devastati da combattimenti dove spesso gli stessi ospedali sono obiettivo delle bombe. In guerre “dimenticate”, lontane dai riflettori dei media, le attività di Msf riescono a portare un barlume di speranza in mezzo a tanta disperazione. Aiuti indispensabili come in Yemen o nella Repubblica Centrafricana, in cui più della metà della popolazione ha bisogno di assistenza umanitaria.

“Nel mondo di oggi sono le persone comuni a pagare il prezzo più alto di guerre che non combattono: famiglie, bambini, comunità intere a cui la guerra toglie tutto” dichiara Claudia Lodesani, presidente di Msf, con lunga esperienza nei conflitti armati. “Negli occhi dei nostri pazienti – aggiunge Lodesani – ho visto terrore e disperazione, le loro sofferenze sono devastanti. Intervenire in modo rapido, efficace e indipendente, portando le cure dove ce n’è più bisogno, come in una guerra, è una sfida senza pari che affrontiamo ogni giorno grazie all'aiuto dei propri sostenitori”.

Alcuni pazienti dell'ospedale di Medici senza Frontiere in Yemen (Msf)
Alcuni pazienti dell'ospedale di Medici senza Frontiere in Yemen (Msf)

In Yemen, nel pieno di una guerra che ha causato una delle peggiori crisi umanitarie attualmente in corso, ci sono tre milioni di profughi interni, 22 milioni di persone che richiedono assistenza e più di 1 milione di persone colpite dal colera. Nell'ospedale di Taiz, città a sud-ovest del Paese mediorientale, i medici di Msf visitano ogni mese circa 2.000 donne in gravidanza che altrimenti non avrebbero accesso alle cure.

Una mamma siriana e suo figlio nel nuovo ospedale di Msf in Libano (Medici senza Frontiere)
Una mamma siriana e suo figlio nel nuovo ospedale di Msf in Libano (Medici senza Frontiere)

In Libano, secondo gli ultimi dati dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, vivono quasi un milione di siriani fuga dalla guerra. Medici senza frontiere ha aperto a inizio ottobre un nuovo ospedale nella città di Bar Elias, a 20 chilometri dalla Siria. Una struttura sanitaria con 22 posti letto e 2 camere di isolamento specializzato in interventi di chirurgia ricostruttiva e rivolto principalmente ai rifugiati siriani e alle comunità vulnerabili libanesi.

Centro medico di Msf nella Repubblica Centrafricana (Medici senza Frontiere)
Centro medico di Msf nella Repubblica Centrafricana (Medici senza Frontiere)

Tra le quattro maternità presenti a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, quella dell'ospedale di Castor gestito da Msf, è l’unica che offra assistenza gratuita alle madri e ai loro bambini. Nel 2017, questo centro medico ha fatto nascere quasi 6.300 bambini. “Abbiamo 12 progetti aperti in varie zone – afferma Gennaro Giudetti, un operatore umanitario – ma portare cure mediche qui non è facile perché alcune zone sono molto difficili da raggiungere anche a causa della mancanza di sicurezza”.

Gli operatori umanitari di Medici senza Frontiere al lavoro in Sud Sudan (Msf)
Gli operatori umanitari di Medici senza Frontiere al lavoro in Sud Sudan (Msf)

In Sud Sudan, lo Stato più giovane al mondo, in guerra praticamente da quando è nato, ci sono oltre 4 milioni tra rifugiati e sfollati. Secondo le Nazioni Unite, quasi la metà della popolazione lotta è a rischio carestia. E’ in questo contesto che opera il centro di salute gestito da Msf nel campo di Doro per rispondere ai bisogni sanitari di 50.000 sudanesi: cure neonatali, ma anche prevenzione dell'Hiv e altre malattie sessualmente trasmissibili, oltre al supporto per le vittime di violenza sessuale e di genere, che continuano ad essere una drammatica realtà quotidiana. “Un giorno in Sud Sudan ho visto un bambino gravemente malnutrito che stava spirando fra le braccia della mamma. Sono corso a chiamare un collega, ma era troppo tardi. Ho visto centinaia di bambini morire, ma quella volta non la scorderò mai: vedere la vita che se ne va così, in una manciata di minuti, è una sensazione impossibile da dimenticare. Ecco, questa è la guerra in Sud Sudan” è la testimonianza di Angelo Rusconi, operatore di Msf.

“Cure nel cuore dei conflitti” è la campagna di raccolta fondi lanciata da Medici senza Frontiere. Fino al 30 novembre, per sostenere le attività dell'organizzazione umanitaria, è possibile donare 2 euro con un sms, 5 o 10 euro al numero 45598 oppure online sul sito dell’Ong. Il ricavato andrà destinato all'ospedale materno-infantile di Taiz in Yemen; quello di Castor nella Repubblica Centrafricana; il centro di salute nel campo rifugiati di Doro in Sud Sudan e il nuovo ospedale chirurgico di Bar Elias in Libano.

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