È arrivato proprio oggi il via libera da parte del collegio dei commissari dell’Unione Europea allo stanziamento di 3 miliardi di euro in favore della Turchia come aiuto per la gestione dell’emergenza profughi. Si tratta di una decisione lungamente attesa, che rientra però nel quadro di una complicata partita politica che si sta giocando da settimane tra la Ue e la Turchia.
Il problema è chiarissimo: la Turchia ospita centinaia di migliaia di profughi siriani (secondo alcune fonti sarebbero oltre un milione) e rappresenta uno dei paesi di transito nella nuova rotta balcanica, da cui arriva la stragrande maggioranza dei rifugiati siriani, afghani e pakistani. Secondo le stime, però, meno del 15% dei profughi è attualmente ospitato nei 26 campi allestiti nelle zone di confine.
“Piaccia o meno con la Turchia dobbiamo lavorare”, ha più volte ribadito il Presidente della Commissione Europea Juncker, nella consapevolezza che non si possa affrontare compiutamente la questione rifugiati senza l’apporto del paese che confina con la Siria. Il punto è che le richieste turche non hanno mai convinto fino in fondo: 3 miliardi di euro per la gestione dei campi, l'inserimento nella lista dei ‘paesi sicuri' e l'apertura di 6 capitoli nel pluridecennale negoziato per l'adesione alle Ue. Come vi abbiamo spiegato qui, in cambio il Governo turco si dovrebbe impegnare a controllare le frontiere, ad accettare le riammissioni e a mettere in campo misure contro il traffico di uomini.
Se ora sembra arrivare la risposta sul piano economico, molto più complicata appare la partita della legittimazione politica. È noto da tempo che la Germania non intende inserire la Turchia nella lista dei “paesi sicuri” (causa perorata dalla Francia, almeno fino a qualche settimana fa), così come sono note le reticenze (un eufemismo) a un ingresso di Ankara nella Ue.
Questioni tutte sul tappeto (cui bisogna necessariamente aggiungere la polemica sul rispetto dei diritti umani, la linea di Ankara in Kurdistan, le tensioni interne e via discorrendo) a maggior ragione ora che infuria la guerra all’Isis. Se ne riparlerà nel vertice europeo del 29 novembre, ma per ora la certezza è una: i fatti di Parigi hanno messo in mostra tutta la fragilità della Ue e tutti i nodi irrisolti della gestione dell'emergenza profughi.