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In Sudan si continua a combattere: come stanno i 44 italiani di Emergency negli ospedali del Paese

In Sudan, dove si combatte da 5 giorni, opera Emergency: ecco come stanno e dove si trovano gli operatori dell’Ong fondata da Gino Strada.
Intervista a Muhameda Tulumovic
Direttrice del Programma Emergency in Sudan
A cura di Davide Falcioni
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foto di Davide Preti
foto di Davide Preti

Nonostante l'accordo siglato ieri tra esercito e paramilitari per un cessate il fuoco di 24 ore in Sudan si continua a combattere soprattutto nella capitale Khartoum, dove secondo l'ONU dopo cinque giorni di scontri  tra  tra l'esercito del presidente Abdel-Fattah al-Burhan e quello del vicepresidente Mohamed Hamdan Dagalo i morti sono almeno 200 e i feriti oltre 1.800. Tra questi c'è anche il massimo responsabile degli aiuti umanitari dell'Unione Europea, il belga Wim Frasier. L'alto rappresentante Ue ha dichiarato che "diversi europei risultano dispersi", anche se non ha fornito dettagli sulla loro nazionalità.

L'Alto rappresentante ha inoltre confermato che sia l'ambasciatore dell'Unione Europea in Sudan, Aidan O'Hara, sia altri collaboratori della delegazione "stanno bene", nonostante l'aggressione che il diplomatico ha subito due giorni fa nella sua residenza. Dopo quella dell'Unione Europea, anche la sede diplomatica giapponese è stata attaccata e saccheggiata.

A Khartoum, però, si trova anche uno degli ospedali sudanesi di Emergency e dalla capitale ci risponde Muhameda Tulumovic, direttrice del programma dell'ONG che in Sudan ha quattro strutture sanitarie tuttora funzionanti, pur con le difficoltà del caso: il Centro Salam di cardiochirurgia a Khartoum e i centri pediatrici di Mayo (Khartoum), Nyala (Sud Darfur) e Port Sudan.

Muhameda Tulumovic, country manager di Emergency in Sudan
Muhameda Tulumovic, country manager di Emergency in Sudan

I combattimenti sono iniziati sabato mattina, 15 aprile. Cosa avete avvertito dal vostro ospedale di Khartoum?

Il Salam Center for Cardiac Surgery si trova alla periferia sudest della capitale sudanese, a svariati chilometri dal centro della città, quindi non abbiamo udito gli spari se non dopo diverse ore. Siamo stati allertati dai nostri colleghi della clinica pediatrica Emergency di Mayo, che sorge a circa 20 chilometri da Khartoum, in una zona in cui sono confluite migliaia di persone scappate dalla povertà e dalla guerra che per vent’anni ha dilaniato il Paese. Sono stati medici e infermieri di quella struttura a informarci per primi di quello che stava accadendo. Intono alle 10 del mattino di sabato però anche noi abbiamo iniziato a udire esplosioni molto forti.

Quali attività svolge Emergency in Sudan?

La nostra organizzazione umanitaria è presente in Sudan dal 2005 con il Centro Salam di cardiochirurgia a Khartoum e i centri pediatrici di Mayo (Khartoum), Nyala (Sud Darfur) e Port Sudan, dove offriamo cure gratuite ai minori di 14 anni.

Attualmente gli operatori di Emergency e i pazienti sono al sicuro?

Al momento siamo tutti al sicuro. A Port Sudan la situazione è tranquilla perché la città non è stata toccata affatto dagli scontri degli ultimi giorni. A Mayo invece abbiamo dovuto sospendere le attività perché non riusciamo più a raggiungere la clinica a causa dei combattimenti che imperversano in città. Al Salam Center, ospedale cardiochirurgico, abbiamo ridotto notevolmente le attività e interrotto gli interventi chirurgici avendo finito la disponibilità di piastrine: ci limitiamo a curare i nostri pazienti nei reparti di degenza e terapia intensiva, ma non possiamo fare altro. In generale lavoriamo con staff ridotto: alcuni membri del personale non lasciano l'ospedale da sabato. Per quanto riguarda l'ospedale pediatrico di Nyala la situazione fino a ieri era estremamente preoccupante perché gli scontri erano ravvicinati e molto intensi: da alcune ore la situazione sembra essersi stabilizzata e i nostri operatori stanno lavorando solo sui codici rossi perché manca personale e mancano farmaci indispensabili per condurre un'attività ordinaria.

Foto di Davide Preti
Foto di Davide Preti

Tra il personale di Emergency in Sudan ci sono cittadini italiani?

Sì. In questo momento nel Paese ci sono 53 stranieri, 44 dei quali sono italiani: si tratta di medici, infermieri, anestesisti, perfusionisti, amministratori, logisti e tecnici biomedicali, uomini e donne che permettono ai nostri quattro ospedali di continuare ad operare, nonostante le criticità e i rischi.

C’è in questo momento il rischio di un’evacuazione del personale di Emergency?

Attualmente non se ne parla. Siamo costantemente in contatto con l'Ambasciata italiana in Sudan e con la Farnesina e non sono previste evacuazioni, anche se la situazione è in continua evoluzione e non sappiamo cosa potrà accadere tra qualche ora o nei prossimi giorni. Emergency in questo momento non è sotto minaccia da parte di nessuna delle parti belligeranti e la nostra organizzazione umanitaria farà di tutto per proteggere i pazienti e il suo personale e per garantire assistenza sanitaria alla popolazione civile.

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