In Russia ora si parla di difficoltà belliche e di un possibile compromesso: l’analisi del politologo
La maggior parte dei russi vive “in uno stato di emigrazione interna”, non vuol saper nulla del conflitto in corso e reagirebbe solo se venisse toccata direttamente dalle tragedie che da oltre 15 mesi colpiscono quotidianamente gli ucraini.
Il fatto che ora Kyiv sia all’attacco, e che vi siano incursioni in territorio russo “non cambia la percezione generale”. Lo stesso Cremlino “è lento nelle reazioni”. Come sotto un drammatico incantesimo.
Mikhail Vinogradov, politologo, presidente della St. Petersburg Politics Foundation, è uno dei pochi esperti non fagocitati dalla propaganda ancora presenti in Russia. Ritiene che non ci saranno per ora sommovimenti né dal basso né dall’alto. I potenti vicini a Putin non riescono a immaginarsi un futuro e quindi non si muovono.
Né ci sono al momento vere e proprie spaccature, tra di loro. Anche se si parla sempre di più delle difficoltà belliche e questo fa pensare che un giorno un compromesso e un negoziato non saranno più un tabù. La popolazione, intanto, utilizza la tecnica dello struzzo.
Vinogradov comunica con Fanpage.it da una località che preferisce non rivelare.
La controffensiva ucraina sembra proprio iniziata, o almeno è in corso la sua preparazione tattica. Intanto, la Russia subisce attacchi sul suo stesso territorio. Questa situazione “sveglierà” i sudditi di Putin, finora rimasti apatici nei confronti della guerra?
Non ci sono cambiamenti fondamentali nell'opinione pubblica. Certo, si registra un aumento dell'ansia, ma non per la prima volta (è già successo, in particolare dopo la controffensiva ucraina alla fine dell’estate del 2022, ndr).
E qual è la causa maggiore dell’ansia?
Gli attacchi di droni su Mosca, più che le incursioni nell’oblast di Belgorod o la controffensiva sul fronte ucraino. Molto dipenderà proprio dalla possibilità o meno che i raid aerei sula capitale continuino. Se non continuassero, non mi aspetterei certo un'ondata di pacifismo, un aumento di chi vuole farla finita subito con questo conflitto. Se ci saranno altri raid su Mosca, invece, ciò provocherebbe reazioni.
Lei parla di reazioni contro la guerra. Ma potrebbe esserci invece una reazione a sostegno del regime e dell’impegno bellico, no? Gli attacchi sotto casa inducono al più battagliero patriottismo, mica al pacifismo.
Non si svilupperà nemmeno un sentimento a favore della guerra. Gran parte dell'agenda pubblica è determinata non tanto dalle azioni militari quanto dall’efficacia del governo o, al contrario, dagli errori — inclusa la mancanza di empatia — in cui probabilmente incorrerà.
I russi sono strani: com’è possibile essere apatici con una guerra in corso e che è ormai arrivata alla porta di casa?
Penso che ci sia un ampio strato di cittadini indifferenti che sono in una sorta di “emigrazione interna”. La crescita dell'apatia nella società è in corso da parecchio tempo. Oggi il sentimento si è diffuso in modo ancor più ampio. La gente non vuole saper nulla della guerra. Non è capace di metabolizzare il dramma in mezzo a cui si trova. Non capisce da che parte stia la verità e si ritira in se stessa. Ci sarebbe interesse per le notizie militari solo qualora arrivassero a riguardare la quotidianità dei cittadini in termini di sicurezza delle loro famiglie, di disponibilità delle merci e di funzionamento dell’economia. Finora, in generale, poco è cambiato rispetto ai tempi prebellici.
Le recenti sparute manifestazioni in favore del leader dell’opposizione Alexei Navalny, che languisce in prigione e rischia di restarci trent’anni, non indicano che si sta uscendo dall’apatia politica?
Il tentativo di protesta del 4 giugno non ha cambiato nulla. Non solo erano pochi a manifestare, ma hanno anche causato una spaccatura nell’opposizione, attirandosi critiche sia da chi ha definito l’evento una provocazione, sia da chi l’ha ritenuto una distrazione dalla questione principale relativa al contrasto del conflitto armato russo-ucraino. Non direi che le proteste siano state risonanti. E se i loro partecipanti non fossero stati arrestati, poche persone le avrebbero notate.
Apatia dilagante nella società, quindi. Non è che contagia anche il Cremlino? Nel caso delle clamorose micro-invasioni delle regioni russe al confine ucraino sembra esser stato molto lento a reagire…
C'è una velocità di reazione ridotta agli eventi nella regione di Belgorod, ma è da sempre che le reazioni alle vicende di questa guerra sono lente. Le ragioni della lentezza non sono chiare. Ci sono varie ipotesi: dalla riluttanza a ricevere informazioni negative, alla paralisi propagandistica, al sabotaggio. Ma c’è soprattutto il fatto che le autorità non sono in grado di mobilitarsi nella misura in cui gli eventi si sviluppano. E continuano ad agire nel formato prebellico.
La maggior parte degli analisti politici ritiene che gli avvenimenti delle ultime settimane abbiano alimentato il pessimismo e le divisioni nella classe dirigente del Paese. Qualcuno potrebbe ribellarsi a Putin?
Nelle élite regna soprattutto un basso livello di fiducia reciproca. Ci sono atteggiamenti diversi nei confronti delle operazioni militari, certo. Ma le vere e proprie divisioni avverrebbero solo a fronte di tentativi collettivi di progettare una strategia per la sopravvivenza e per l’espansione nella realtà futura, oltre Putin. E questo ancora non succede.
Uno che sembra “espandersi” parecchio intanto è il patron dell’esercito privato Wagner Yevgeny Prigozhin. Che cosa vuole ottenere? Il potere?
Difficile dire cosa vuole. Sfrutta con successo la "aridità" dell'ordine del giorno e la limitata libertà di parola, agendo come "persona che dice la verità". Ma i suoi obiettivi non sono trasparenti. Si ritiene che non sia tanto un attore in proprio quanto il frontman di gruppi politici ben più importanti di lui. O che le autorità stesse stiano sperimentando nuove frontiere nell'agenda pubblica portando sulla scena personaggi apparentemente radicali ma controllati. Come Prigozhin, appunto. Anche se alcune delle sue azioni recenti sembrano davvero estreme e fuori controllo.
Mentre parliamo è in corso un’iniziativa diplomatica del Vaticano. Se la controffensiva ucraina mettesse in difficoltà Putin, potrebbe esserci spazio per qualche compromesso che porti finalmente sulla strada della pace?
Della possibilità di un compromesso se ne parla, a Mosca. Ma non ci sono conferme. Né confutazioni inequivocabili. Sicuramente ci sono riferimenti sempre più attivi e frequenti sulle difficoltà che si stanno incontrando per raggiungere la “vittoria”. Ma la retorica ufficiale secondo cui la Russia continua la sua marcia verso l’immancabile successo militare non ne risente quasi mai. La domanda è se questa retorica rifletta o meno lo stato d'animo interiore dei massimi leader russi.