Niente di nuovo sul fronte interno. A Mosca è stato un normale fine settimana di inizio autunno. Temperatura piacevole. Chi non è andato alla dacia, la casetta fuori città dove i russi amano coltivare cetrioli, frutta e patate, magari ha fatto una passeggiata in centro.
Che non era bloccato dalla polizia né invaso dalla divisione Dzerzhynsky, l’unità di intervento rapido (Odon) della Rosvgvardiya, i pretoriani di Vladimir Putin. Le notizie in merito, diffuse sui social da testate e profili ucraini che citavano i servizi segreti di Kyiv, erano false.
Se mai ci sono stati arresti tra gli alti ranghi dell’esercito, sono stati eseguiti in segreto. Non certo nel corso delle operazioni vistose tipiche dei golpe o dei contro-golpe.
Nessuno tocchi lo zar
“Non c’è alcuna azione in corso contro Putin”, dice a Fanpage.it l’analista politico russo Anton Barbashin, direttore editoriale del think tank Riddle. “Nulla è cambiato. Il presidente per il momento non viene criticato. Nemmeno dai falchi della propaganda. Che stigmatizzano l’andamento disastroso della guerra in Ucraina ma danno la colpa al ministro della Difesa e ai generali”.
Nessuna indicazione, al momento, che si stia preparando un cambio al vertice. “Non si è messa in moto una ‘operazione successore’”, spiega invece il sociologo e filosofo politico Greg Yudin, docente alla Scuola di scienze economiche e sociali di Mosca (Msses, meglio conosciuta come Shaninka). “È vero che ci sono lotte interne nelle élite, ma non vedo una svolta radicale che possa mettere a rischio il presidente. Anzi, si combatte per ottenerne ancora favori”.
I signori della guerra
“Si tratta di acquisire ulteriori azioni nel mercato esistente”, spiega Barbashin. Sono soprattutto il leader ceceno Ramzan Kadyrov e il businessman Yevgeny Prigozhyn a darsi da fare e ad alzare la posta. Possono permetterselo perché entrambi hanno un esercito privato: Prigozhyn i mercenari della Wagner e Kadyrov la sua guardia personale, i Kadyrovtsy del 141° Reggimento speciale motorizzato.
Sì, la Russia di Putin è anche questo: gli amici dello zar possono mantenere loro eserciti. Chi ancora si illude che il regime di Mosca sia accettabile farebbe bene a tenerlo presente. Entrambi i signori della guerra alla corte dello zar sperano di metter loro uomini al vertice del ministero della Difesa e delle forze armate per poter curare meglio i loro affari nell’impero, Ucraina compresa.
Perché restano certi della vittoria su Kyiv e del perpetuarsi del sistema Putin.
Putin per sempre
“Capisco sia difficile da credere, ma in Russia — nelle élite e non solo — sono in parecchi a considerare eterni Putin e il suo regime”, sottolinea Yudin a Fanpage.it. “Non riescono a immaginare un mondo senza Putin. Per questo la minaccia nucleare è da prendersi maledettamente sul serio”, è il suo raggelante commento. “Un mondo senza Putin non avrebbe senso, pensano in molti al Cremlino e nel Paese”.
Manca ormai il contatto con la realtà. Le persone più vicine al capo vivono in una bolla e non ipotizzano che possa presto scoppiare. Credono nella propaganda da loro stessi inventata: la Russia deve salvare il mondo dal “satanismo” (definizione di Vladimir Putin) dell’Occidente, a qualunque costo. Apocalisse compresa.
Realismo e fedeltà
Accanto ai fanatici, sia nell’area più conservatrice che tra i tecnocrati e nel mondo del business, c’è anche chi tiene i piedi per terra e lavora alle proprie exit strategy nell’eventualità di un degradarsi della situazione. Sono quelli che non hanno chiaro come Putin potrà mai vincere questa guerra.
O, per metterla diversamente, come farà a non perderla. “Per la maggior parte però non vorrebbero che Putin venisse sostituito da un altro leader, ma piuttosto che diventasse più oltranzista, più decisivo ed esplicito riguardo ai suoi piani e alle sue intenzioni”, spiega a Fanpage.it Tatiana Stanovaya, politologa e direttrice del think tank R.Politik che conta su fonti vicine all’amministrazione presidenziale russa.
“Vogliono vedere in Putin l’uomo forte che erano abituati a vedere. Ma non credo proprio che questo porterà a una rivolta, non certo contro di lui”. Ci si prepara a un dopo, ma si spera Putin duri il più possibile e niente si progetta per provocarne la caduta. Se poi si arrivasse ad Armageddon, non sarebbe il capolinea, dicono poco realisticamente questi realisti.
L’insulto di Kerch
Intanto, si valuta la reazione di Putin alla beffa del ponte di Kerch. Gli ci sono volute 38 ore per definirla “un attacco terroristico” e accusare l’Ucraina.
Poco dopo, i missili su Kyiv. Quel che farà ancora costituirà un metro di giudizio per chi a Mosca vuole un comandante in capo ancora più aggressivo. Ma è soprattutto la comunità internazionale a tenere il fiato sospeso.
In Russia, ormai, la dimensione nucleare è la nuova realtà: se ne parla come se niente fosse. Da noi, un po’ meno. Secondo Anton Barbashin, la rappresaglia sarà dura ma convenzionale: “Bombardamenti sulle infrastrutture civili dell’Ucraina, forse un’accelerazione per preparare una controffensiva. Ma la minaccia di usare armi atomiche è solo un bluff, e se ne avrà proprio in questo caso la dimostrazione. Credo che non ci sarà mai neanche un test né tantomeno una detonazione dimostrativa in un’area disabitata”.
Speriamo che l’analista abbia ragione. Il professor Yudin è più pessimista: “Il pericolo è reale”, afferma. E avverte l’Occidente: “L’ultima cosa da fare è cedere al ricatto nucleare. Altrimenti non potrebbero che seguirne altri, la guerra totale diventerebbe inevitabile e il mondo sarebbe condannato”.
Un fine settimana quasi normale
A Mosca in questo fine settimana normale c’era meno gente del solito in giro per il centro. I russi cercano di vivere come sempre ma il loro umore peggiora. Nei ristoranti, dopo la mobilitazione parziale proclamata da Putin, il fatturato è diminuito del 30%. Si esce di meno. Soprattutto, escono di meno gli uomini.
“Oggi mi sono fermata con un’amica in un Shokoladnitsa (catena di caffetterie attiva fin dai tempi sovietici, ndr) sulla via Arbat: non c’era una sola persona di sesso maschile, mica divertente”, scherza Marina, 22 anni. Poi diventa seria: suo fratello Ivan ha ricevuto la cartolina per andare a far la guerra, racconta a Fanpage.it. Ma Ivan non vuole combattere.
“Non si è presentato. Ora non sa che fare”. Nascondersi? Cercar di scappare all’estero? Lasciare moglie, figlio piccolo, casa e un buon lavoro, e azzerarsi così la vita? “Spera che si siano sbagliati e che non lo cerchino più”, dice Marina. Ivan non si è mai interessato di politica. Ma ora “odia Putin e questa guerra”.
La mobilitazione provoca “ansia, paura e orrore” in quasi il 50% dei russi, ha rilevato l’istituto indipendente di statistica Levada. Forse se si vogliono trovare segnali di una prossima fine del regime bisogna cominciare a cercarli non solo nell’irrequietezza delle élite ma anche fra la gente comune. Che potrebbe stufarsi di continuare a sperare in una normalità che il presidente, con le sue azioni degli ultimi mesi, ha definitivamente negato. La passività e la pazienza dei russi hanno un limite. Quando viene superato, nel Paese più grande del mondo rivolgimenti corrono veloci come la troika scampanellante di Gogol sulla neve di febbraio.
Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.