In ginocchio, piange sua nipote: la storia della foto simbolo della guerra scattata da Mahmoud Bassam
Una donna in ginocchio disperata che stringe a sé un piccolo corpo avvolto in un lenzuolo bianco e lo bacia. Dietro l’obiettivo della camera che ha scattato questa immagine che ha gelato il cuore di mezzo mondo ci sono gli occhi di Mahmoud Bassam, giornalista e fotoreporter palestinese impegnato nel conflitto a Gaza. Il suo scatto e le sue riprese sono stati trasmessi dalle più svariate emittenti televisive internazionali, tra le quali anche quelle italiane.
In ogni guerra c’è sempre una foto simbolo, un’immagine senza tempo che resta impressa nella mente di chi guarda della quale risulta difficile liberarsene. La donna ritratta nello scatto si chiama Samia, lei non lo sa ma il suono del suo pianto ha rimbombato ovunque ed è stato più forte dei bombardamenti che continuano a martoriare il territorio.
Cosa si nasconde dietro questo scatto al di là della disperazione lo ha raccontato proprio il suo autore, Mahmoud Bassam, che da settimane ormai si sposta tra ospedali e campi profughi, sfuggendo alle numerose esplosioni. Di recente, in un'intervista alla BBC ha rivelato quanto fosse difficile documentare la guerra nel suo Paese e che spesso non riusciva neppure a trattenere le lacrime difronte a tanta brutalità.
Il reporter di guerra palestinese si è concesso ad un’intima e intensa intervista a Fanpage.it.
Quando e dove è stata scattata la foto? Cosa stava accadendo in quel momento?
Ero a Gaza, nei pressi dell'ospedale Abu Yusuf Al-Najjar. La donna che piange disperata e coccola quel corpo si chiama Samia Al Atrash e sta dando l'addio a sua nipote, la quale è stata martirizzata con tutta la famiglia dopo un bombardamento abbattutosi sulla loro casa. Samia è venuta in ospedale per verificare se tra i cadaveri ci fosse qualcuno di sua conoscenza ed è rimasta attonita quando ha riconosciuto il corpo di sua nipote. Io ero lì e ho visto tutta la scena, lei l’ha presa in braccio, l’ha stretta forte al petto e ha pianto senza sosta. Continuava a ripetere: "La zia ha nostalgia di te, tesoro. La zia ha nostalgia di te Massa".
Quali sensazioni hai provato nell'assistere a un momento così straziante?
È stata sicuramente una scena dolorosa perché intorno a me c'erano moltissimi cadaveri. Cinque di essi erano bambini. Ero sotto shock, tutti piangevano, Samia, una donna anziana, un uomo…Tutti erano tristi e urlavano di dolore.
Come fotografo, scattare quella scena è stato estremamente difficile, sentivo che dovevo cercare in tutti i modi di trasmettere la loro agonia. Avevo il cuore spezzato e la stanchezza si faceva sentire, ma nonostante ciò, ho avuto la forza di resistere. In quel momento ho immaginato che avrei potuto provare lo stesso dolore di quella donna se avessi perso una persona cara o semplicemente di trovarmi al loro posto, tra quelli che non ce l’hanno fatta.
Sei consapevole del fatto che la tua fotografia è stata vista in tutto il mondo? È arrivata anche in Italia
In realtà non sapevo che la foto fosse diventata virale in tutto il mondo perché qui a Gaza non abbiamo connessione internet e la rete di comunicazione si interrompe di continuo. Quando sono riuscito ad avere un po’ di linea, ho visto che la mia foto stava circolando in alcuni siti web arabi e stranieri.
In tanti mi hanno contattato per ottenere la foto, per stamparla sui muri, per disegnarla e per crearne un’opera d'arte. È stata anche presente in molte marce a favore della Palestina. Ho scattato sia la foto che filmato l’intera scena, il video ha ottenuto 4 milioni di visualizzazioni sulla mia pagina Instagram.
Se potessi scegliere un titolo per questa foto, quale sceglieresti?
Questa domanda è davvero difficile. Mi ha fatto immergere in profondità perché da come si vede, la foto grida e parla da sola. Non posso catturare appieno i sentimenti e le emozioni che ci sono dietro in un solo titolo. Credo che quello perfetto sia "La Palestina che abbraccia Gaza". Samia è la Palestina, lei stringe forte il corpo della sua bambina, ovvero Gaza.
Lavorando come fotoreporter qual è il ruolo delle tue emozioni in relazione alla sofferenza e al dolore dei soggetti che incontri?
Non è la prima volta che documento una guerra. Lavoro come fotografo dal 2012 e in passato ho già seguito molti dei conflitti esplosi sempre qui a Gaza. Ho assistito a tantissimi massacri, anche a Rafah dove ho visto persone uccise nelle peggiori situazioni.
Il mio obiettivo è sempre stato quello di diffondere consapevolezza e condividere la verità con il mondo. Purtroppo l'angoscia di assistere a tutta questa miseria è iniziata molto prima che iniziassi a lavorare. Ero solo un bambino. Ricordo che durante i primi mesi di guerra nel 2008, ero uno studente che andava a scuola come tutti gli altri bambini. Un giorno mi trovai in ospedale e vidi qualcosa che i miei occhi non videro mai prima. Persone uccise, assassinate, fatte a pezzi…
Quelle scene per me sono state il primo shock subito, ed è stato anche il momento in cui ho capito quanto questa occupazione fosse spietata e non risparmiasse nessuno.
Da quando lavoro come reporter mi trovo costretto a trattenere molte delle emozioni che mi colpiscono. Cerco di fare del mio meglio per mantenere la calma, per non commuovermi di fronte alle persone e per non riflettere la mia stessa sofferenza. Perché so bene che questo lavoro deve essere fatto in modo professionale, senza abbellimenti o distorsioni.
A fine giornata ricordo tutte le persone e le scene a cui ho assistito e che ho vissuto, e mi ritrovo con il cuore spezzato e svuotato. È davvero difficile essere un reporter a Gaza, vedere la propria gente che viene condotta continuamente con le ambulanze in ospedale e contare il numero dei cadaveri. Dopo tutto, l'obiettivo è trasmettere le storie con sincerità e determinazione per sensibilizzare e aiutare tutte le persone in difficoltà.
Dall'inizio di questa guerra, qual è la scena più dolorosa che ricordi?
Il racconto che ho sofferto di più è stato il massacro della famiglia Al-Badaoui. Un uomo è stato allontanato con la forza dalla propria casa insieme con sua moglie e i suoi figli, dal nord al sud di Gaza per poi essere brutalmente uccisi.
Piangeva e ripeteva: "Tutta la mia famiglia è stata uccisa", quando gli ho chiesto in quanti fossero lui mi ha risposto che erano in venti. Tutti i suoi figli erano stati ammazzati e continuava a dirmi: "Vorrei che almeno uno di loro fosse rimasto".
La realtà è che ogni giorno fa più male di quello precedente. Ogni giorno siamo testimoni di storie dolorose.