“In Cisgiordania i palestinesi subiscono violenze e umiliazioni da Israele”

- di Franco Mari, deputato di Alleanza Verdi-Sinistra e Nico Bavaro.
Dal 27 aprile una delegazione di Alleanza Verdi-Sinistra si trova in Israele e Palestina. Nel corso della missione, soprannominata ‘Occhi in Palestina', gli esponenti di Avs hanno incontrato e incontreranno ong, associazioni della società civile, l'Autorità Nazionale Palestinese e movimenti israeliani per discutere della fine della guerra. "Visiteremo villaggi e campi profughi, dove la violenza dell'esercito israeliano e dei coloni costringe a condizioni di vita disumane", ha chiarito il leader Nicola Fratoianni. Pubblichiamo il contributo del deputato Franco Mari, che si trova in Cisgiordania, assieme a Nico Bavaro, responsabile comunicazione di Sinistra italiana.
Giorno 2
Hebron, Masafer Yatta, Susya, Betlemme
Resistere per esistere.
Esistere per resistere.
Abbiamo sentito ripetere queste semplici frasi tante volte dai palestinesi che abbiamo incontrato in questa seconda giornata in West Bank.
Hebron, Betlemme, Masafer Yatta, Susya, città e villaggi che dovrebbero essere nella cosiddetta zona C, cioè una zona in cui i palestinesi possono vivere liberi e tranquilli. E invece no.
Sono sottoposti a una incontenibile occupazione progressiva dei coloni israeliani delle loro terre, delle loro case.
Persino delle loro attività economiche.
È difficile restituire con le parole quel che abbiamo visto con i nostri occhi. La quantità di soprusi, umiliazioni e violenze cui abbiamo assistito in poche ore.
Ma quel che si capisce per bene stando qui è che il governo israeliano non lascia nulla al caso e ha costruito un regime vero e proprio.
E come ogni regime che si rispetti ha una sua ingegneria della violenza.
L’ingegneria della violenza la vedi nelle piccole cose, come il semaforo verde della strada su cui guidano gli israeliani che dura 7 minuti, mentre quello per i palestinesi non più di 2.
Ancora di più la si legge nelle grandi cose, nella militarizzazione violenta del territorio, che non è solo compito dato all’esercito.
Anche i coloni fanno parte di questo compito: sono di fatto l’avanguardia degli attacchi ai palestinesi.
Sbaglia chi pensa e racconta che i coloni israeliani siano persone singole che arrivano in un territorio palestinese e lo occupano arbitrariamente.
Si tratta di un strategia ben definita: in un territorio vengono insediate inizialmente roulotte o prefabbricati degli israeliani; successivamente iniziano a costruire e arriva l’esercito israeliano, con la scusa di proteggere i coloni, che portano muri, fili spinati, torrette di avvistamento, telecamere per il riconoscimento facciale.
Ingegneria, appunto.
E l’unica (forse l’ultima?) forma di resistenza che i palestinesi stanno attuando è quella di non abbandonare le proprie case, anche quando questo comporta il sacrificio di una qualità della vita pessima.
Come nel villaggio di Susya, dove i palestinesi stanno coprendo le loro piccole cose con tende verdi, sperando di ingannare L’ingegneria militare israeliana.
Resistere per esistere, appunto.
