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Impiega 23 anni per dimostrare che è viva dopo essere stata dichiarata morta dal fratello

La curiosa storia di una donna turca che ha impiegato ben 23 anni per dimostrare di essere viva alle autorità del suo paese.
A cura di D. F.
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In un'ipotetica classifica delle notizie più bizzarre del giorno merita sicuramente una citazione la storia di Sevim Hayva, una donna turca di 61 anni che ha passato gli ultimi 23 a tentare di dimostrare alle autorità del suo paese di essere viva. Un suo fratellastro, infatti, riuscì con degli strani escamotage a far registrare la sua morte per non essere costretto a dividere con lei l'eredità del padre. Così, per la bellezza di 23 anni, la povera Sevim – che oggi vive in Canada e ha la doppia cittadinanza –  è risultata "viva in tutto il mondo tranne che in Turchia", come ha spiegato il suo avvocato, Hayrullah Cuhadaroglu.

La vicenda di Sevim è piuttosto complessa: i suoi genitori, infatti, divorziarono quando lei aveva quattro anni. La piccola fu affidata a un'altra famiglia e negli anni si è sposata, ha avuto due figli, ha divorziato ed è andata a vivere in Canada. Il padre, nel frattempo, ha avuto altri due matrimoni e svariati figli. Uno di loro, nel 1993,  riuscì a consegnare al capo del villaggio in cui vivevano un falso certificato di morte di Sevim e di un'altra sorellastra. Molti anni più tardi una terza sorellastra di Sevim è riuscita a rintracciarla in Canada raccontandole il torto che le era stato fatto e costringendola ad intraprendere una vera e propria odissea nel tentativo di dimostrare alle autorità turche di essere ancora in vita.

Per oltre 20 anni Sevim è stata costretta a esibire certificati di residenza, assicurazioni, dichiarazioni bancarie, passaporti, senza riuscire a dimostrare di essere viva né, quindi, di avere diritto all'eredità di suo padre e di sua madre. Come se non bastasse, risultando morta non è mai riuscita a entrare in Turchia, salvo – in modo clandestino – una sola volta. In quell'occasione, tuttavia, non essendo ‘ufficialmente viva' la polizia non ha potuto neanche arrestarla, costringendola a rimanere in aeroporto per alcuni giorni. La vicenda ha comunque avuto un lieto fine: un giudice di Smirne lo scorso 31 agosto ha fatto annullare il certificato di morte.

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