Il villaggio dei murales in Cisgiordania non esiste più: “Durante le demolizioni i soldati ridevano”
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Proseguono sistematiche e implacabili le demolizioni dei villaggi palestinesi nella regione della Masafer Yatta a Sud della Cisgiordania. Come vi avevamo anticipato pochi giorni fa, è ormai sistematica la demolizione delle case da parte delle autorità israeliane per costringere la popolazione civile palestinese a lasciare i villaggi che diventerebbero immediatamente preda dei coloni israeliani.
L'ultimo blitz delle ruspe scortate dall'IDF (le forze armate israeliane) ha riguardato il villaggio di Khallet at Dabaa già in passato teatro di numerose demolizioni. Le ruspe hanno praticamente cancellato l'intero villaggio, sono una manciata di edifici sono rimasti in piedi. Il villaggio è noto per i tanti murales che erano stati realizzati sulle pareti delle case ad opera di attivisti internazionali e locali.
"I soldati ridevano mentre demolivano"
A raccontare a Fanpage.it la distruzione del villaggio di Khallet at Dabaa è Stasia, attivista di Mediterranea Saving Humans che era presente al momento delle demolizioni nel villaggio, nell'ambito della attività di reporting svolte dall'associazione italiana sulle violenze di militari e coloni contro la popolazione civile palestinese nella regione. "Le ruspe sono arrivate intorno alle 10 del mattino – spiega l'attivista – due bulldozer sono partiti dalla colonia di Ma'on arrivando a Khallet at Dabaa scortati dalla polizia e dall'esercito. Già lo scorso 10 febbraio erano state abbattute 8 abitazioni, le ruspe sono arrivate per finire il lavoro e per spazzare via anche le tende dove stavano vivendo le famiglie sfollate che avevano perso le case".
Una scena di profonda violenza quella messa in campo dalle autorità israeliane. Sul posto era presente anche un gruppetto di coloni provenienti dai vicini insediamenti dichiarati illegali dalla giustizia internazionale, che hanno assistito all'intera opera di demolizione. "Insieme ad altri attivisti ci siamo posizionati verso una delle ultime abitazioni, quella del signor Jaber e della sua famiglia – spiega Stasia – quando sono arrivati per demolire, i soldati ci hanno chiesto i documenti, hanno fotografato i nostri passaporti e ci hanno scattato delle foto con gli smartphone. Durante le demolizioni i soldati ridevano e gioivano, mentre i bambini costretti a portare via tutte le loro cose, piangevano disperati mentre le ruspe demolivano le case in cui erano nati". Il villaggio di Khallet at Dabaa ospitava circa 60 abitanti, ma ormai è ridotto a un cumulo di macerie. Dei famosi murales, le cui foto hanno fatto il giro del mondo, non resta che un cumulo di macerie, così come anche per le cisterne dell'acqua.
I bulldozer partiti dalla colonia di Ma'on
Prima delle demolizione delle case alcuni lavoranti palestinesi sono stati costretti a svuotarle completamente. Resta indicativo il fatto che i bulldozer che hanno fatto le demolizioni siano partiti dall'interno di una colonia, quella di Ma'on e non da un deposito governativo o da uno stabilimento privato, il che definisce in maniera chiara il rapporto simbiotico tra l'esercito e i coloni, spesso autori di vere e proprie aggressioni a colpi di bastone, o di incendi dolosi, come quello avvenuto proprio a Khallet at Dabaa lo scorso luglio.
"Siamo rimasti senza parole di fronte all’impassibilità e alla totale mancanza di umanità con cui venivano compiute scene del genere. Era sconvolgente vedere come per demolire quelle che sono case, luoghi di cura e di ricordi, fossero stati mobilitati ben 30/40 agenti tra polizia e soldati molti dei quali a volto coperto" sottolinea l'attivista italiana. "Abbiamo annotato i nomi delle persone che hanno perso la casa – prosegue – al signor Aithem hanno anche rubato la benzina che aveva nelle taniche fuori casa. Nemmeno di fronte alle loro lacrime dei bambini i soldati, armati e impassibili, si sono fermati. Hanno continuato a respingere con forza la famiglia e noi attivisti, determinati a portare a termine le demolizioni e questa ennesima evacuazione forzata". Scene che si stanno ripetendo con sistematicità nel Sud della Cisgiordania nell'ultimo mese.
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Come in "No other land": "Si tratta di un disegno preciso"
A documentare quanto stava avvenendo c'erano gli attivisti internazionali, ma anche il gruppo ebraico di Hinenu, solidali con la causa palestinese. La distruzione di Khallet at Dabaa è esattamente come le scene mostrate dal documentario candidato agli Oscar "No other land" di Basel Adra e Yuval Abraham, girato proprio nella regione della Massafer Yatta. "Le demolizioni rappresentano, in modo chiaro ed eloquente, il disegno sistematico di furto, privazione, violenza e violazione, avallato dal governo e dalle sue strutture di controllo, polizia e forze armate. Non si tratta solo di atti isolati di estremisti fanatici: la presenza di bulldozer, decine di veicoli e agenti statali mobilitati per portare a termine queste operazioni parla da sola, rendendo evidente il progetto politico che le sostiene" spiega Stasia.
"Le persone senza casa ora, come spesso accade, andranno o da parenti lì nel villaggio, o nelle grotte come hanno già fatto diverse famiglie sfollate" precisa l'attivista italiana.