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Il vescovo di Padova sulla morte dell’alpino in Afghanistan: “Non è un eroe”

Il vescovo di Padova dichiara che i soldati morti in Afghanistan non vanno considerati degli eroi. Il ministro della Difesa La Russa lo attacca duramente.
A cura di Cristian Basile
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Come si diventa "eroi"? Quali azioni deve compiere un uomo per fregiarsi dell'appellativo di "eroe"? C'è qualche corsia preferenziale da percorrere per diventarlo? Chi decide chi è un eroe e chi non lo è? Se è un eroe chi muore combattendo per lo Stato, lo è anche chi muore lavorando in fabbrica? Domande forse banali e poco interessanti ma che nelle ultime ore hanno scatenato l'ennesima polemica sulla presenza delle truppe italiane in Afghanistan.

Il vescovo di Padova, monsignor Mattiazzo, infatti, parlando della morte dell'alpino Matteo Miotto (tra l'altro suo condiocesano), ha affermato: "Certo – ha detto il vescovo Mattiazzo – sono dispiaciuto per la morte di questo ragazzo. Ma non sono d'accordo con una certa esaltazione retorica, non facciamone degli eroi. Magari poi si scopre che un soldato è morto per una mina fabbricata in Italia". E aggiunge: "Ma quelle non sono missioni di pace – ha dichiarato l'altro giorno il vescovo Mattiazzo -. I nostri soldati vanno lì con le armi…".

Immediata la reazione del ministro della difesa Ignazio La Russa, che proprio nei giorni scorsi aveva confermato l'impegno italiano in Afghanistan: "É un'opinione personale, la rispetto, anche se – ha precisato La Russa – per fortuna non coincide con quella delle gerarchie ecclesiastiche e sicuramente vale molto meno delle omelie dell'ordinario militare". Continua poi con tono più deciso: "Eh sì, ha ragione lui, non bisogna dimenticare che carabinieri e polizia hanno le armi per combattere il terrorismo. Così, se un carabiniere viene ucciso da un criminale, diremo come dice il vescovo di Padova che non bisogna dimenticare che il carabiniere girava armato".

Infine attacca: "Il vescovo Mattiazzo non sembra affatto convinto che la nostra missione in Afghanistan sia ancora una missione di pace.  Consiglierei al prelato di contare fino a dieci la prossima volta che vorrà fare simili esternazioni e di leggersi prima la lettera che il giovane Matteo Miotto inviò a novembre dalla valle del Gulistan. La lettera in cui raccontava delle decine di bambini affamati che accolgono i nostri soldati all'ingresso dei loro villaggi."

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