Abbiamo scoperto tante cose, in queste tre settimane di guerra tra Russia e Ucraina. Abbiamo scoperto che ci possono essere ancora guerre nel cuore dell’Europa, ad esempio. Abbiamo scoperto pure che non è semplice fermare queste guerre a colpi di sanzioni economiche, pure. E abbiamo scoperto che è ancora meno semplice se una delle nazioni belligeranti è in possesso di un arsenale di armi atomiche e minaccia anche solo velatamente di essere pronta a usarle.
Forse questa è la cosa che non ci aspettavamo proprio di scoprire, nella primavera del 2022, a 77 anni da Hiroshima e Nagasaki, dopo quattro decenni passati nell’incubo che la guerra fredda tra Usa e Urss diventasse un inferno nucleare, dopo essere nati in un mondo in cui sembrava davvero che il progressivo e multilaterale disarmo atomico fosse l’unica strada che ci potesse evitare l’apocalisse.
Ci sono stati tempi in cui avevamo iniziato davvero a percorrerla, questa strada. Era il 1970, cinquantadue anni fa, quando è entrato in vigore il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, firmato da 191 Paesi compresi i cinque membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu – Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito – ognuno dei quali munito di diverse testate atomiche. Era il 1987, trentacinque anni fa, quando Usa e Urss hanno firmato il trattato Inf – acronimo di Intermediate-Range Nuclear Forces Treat – che proibiva lo sviluppo, la produzione e il dispiegamento di missili atomici balistici o da crociera, a corto e medio raggio.
Ma era il 2019, tre anni fa, che entrambe le parti in causa, Washington prima e Mosca poi, si sono ritirate da quel trattato. Ed era il 2021, meno di un anno fa, quando nessuno dei Paesi con almeno una bomba atomica – o che ospita le bombe atomiche altrui – ha firmato il trattato per la proibizione delle armi nucleari.
Nel frattempo, ci sono in giro per il mondo più di 13mila bombe atomiche, di cui oltre tremila sono già dispiegate e pronte all’uso. E ci sono ben nove Paesi – Usa, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord – che le hanno messe a disposizione dei loro eserciti, uno contro l’altro. E ci sono altre cinque Paesi – tra cui il nostro – che ospitano le armi nucleari di uno di questi Paesi, gli Stati Uniti.
Quasi dimenticavamo: alla faccia di questa supposta “deterrenza nucleare” ci sono spese militari che continuano a crescere, soprattutto nei Paesi con la bomba. Nel solo 2020 – anno di pandemia, di recessione, di gente senza lavoro e senza servizi essenziali – gli Usa hanno speso 37,4 miliardi in armamenti, la Cina 10 miliardi, la Russia 8 miliardi, il Regno Unito e la Francia 6 miliardi.
Ecco: adesso abbiamo pure scoperto come siamo arrivati qua, a vedere città ridotte in cenere dalle bombe e dai missili e a temere che gli eventi precipitano fino al punto in cui un dito tocca un pulsante e uno di quei tredicimila razzi finisce per colpire una delle nostre città, facendo ripiombare il mondo nel terrore di 77 anni fa. E in fondo, già che ci siamo, abbiamo scoperto dove saremo tra qualche anno, se nessuno inverte la rotta: ad armarci fino ai denti uno contro l l’altro mentre dovremmo lavorare assieme per mitigare il cambiamento climatico. A usare fiumi di denaro per armarci, mentre dovremmo usarli per salvare il pianeta.
Se questa guerra può insegnarci qualcosa, prima che sia troppo tardi, è che tutti i Paesi del mondo, a partire da Usa, Russia e Cina, devono ricominciare a distruggere le loro testate atomiche, a dare vita a una nuova stagione di progressivo disarmo su scala globale. Ed è da qui – non dai bisticci sui confini e sulle sfere di influenza – che dovrebbe partire una seria trattativa tra le grande potenze per arrivare a un accordo di pace in Ucraina. È talmente banale che non dovremmo nemmeno dirlo. Ma se siamo arrivati qua, è perché non l’abbiamo detto per troppo tempo.