Non sappiamo se Putin vincerà la guerra in Ucraina, se riuscirà a prendere Kiev e a cacciare Zelensky. Non sappiamo se ci riuscirà, ma di sicuro non ci riuscirà come avrebbe voluto. Con una guerra lampo, con l’esercito ucraino che diserta, con la popolazione che accetta a malincuore l’arrivo degli invasori, con una prova di forza di fronte al mondo intero.
Quel che stiamo vedendo – ripetiamo: comunque vada a finire – è l’esatto contrario.
È la guerra in mondovisione come non mai, con telecamere e smartphone ovunque che testimoniano atrocità e devastazione nei confronti della popolazione civile e la brutale repressione della polizia russa nei confronti di chi protesta.
È la simpatia del mondo verso il leader che non abbandona il suo popolo e si guadagna la simpatia e il sostegno della comunità internazionale via social.
È la resistenza della gente comune, che combatte i carri armati a colpi di molotov e usando i propri corpi come scudi umani.
È la risposta della finanza, delle aziende, delle squadre di calcio e delle piattaforme televisive, che abbandonano la Russia e i soldi dei suoi oligarchi sull’onda delle sanzioni e della pressione dell’opinione pubblica.
Ed è anche un mondo politico e diplomatico che mai come oggi si è mostrato coeso nel condannare l’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina.
Lo vediamo, nel nostro piccolo, nell’assenza del benché minimo distinguo da parte di leader politici come Salvini, Berlusconi e Meloni, che negli anni avevano manifestato simpatia, o comunque comprensione, per il nazionalismo la brutalità di Vladimir Putin. Lo vediamo anche nella Finlandia che vuole aderire alla Nato, nella Svizzera che abbandona la sua storica neutralità, finanche nella stessa neutralità pilatesca della Cina, che doveva essere l’alleato di ferro di Mosca e che invece si sta smarcando tra mille imbarazzi.Lo vediamo in un intera assemblea dell’Onu che si svuota appena comincia a parlare il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov, uno che bazzica quei posti da quasi vent’anni e che da sempre è considerato il volto più autorevole e rispettabile della nomenklatura russa.
Una guerra, in fondo, Putin l’ha già persa. È la guerra della reputazione internazionale, della legittimità a far parte dei più importanti organismi politici ed economici. È la guerra che ha trasformato un’importante leader globale in una specie di Saddam Hussein o di Gheddafi o di Kim Jong Un qualunque. È il disvelamento di un regime che ancora fino a qualche mese fa qualcuno raccontava fosse una specie di democrazia.
Tra i mille spartiacque di questa orrenda guerra, questo è l’unico che possiamo dare per certo. Il mondo ha espulso la Russia dalla comunità internazionale. E per Putin, in fondo, la vera vittoria non sarà conquistare Kiev, ma sopravvivere a tutto questo.