Il ruolo di Papa e Cina decisivo nella pace tra Russia e Ucraina, dice Andrea Riccardi (Sant’Egidio)
"Con tutto il rispetto per Sua Santità, noi non abbiamo bisogno di mediatori, noi abbiamo bisogno di una pace giusta". Sono le parole pronunciate sabato scorso dal presidente Volodymyr Zelensky al termine di un faccia a faccia in Vaticano con Bergoglio durato 40 minuti.
A molti osservatori le dichiarazioni "a caldo" del leader ucraino sono parse uno schiaffo al Papa e al suo impegno per una cessazione delle ostilità. Quell'incontro, e altri che sono in programma nei prossimi giorni, dimostra però che dei dialoghi, seppur "sottotraccia", sono ancora possibili. Ne è convinto Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, ex Ministro della Cooperazione Internazionale e animatore di negoziati di pace in Paesi in guerra come Mozambico, Guatemala, Uganda, Guinea, Repubblica Centrafricana e molti altri. "Da quell'incontro ci si aspettava un miracolo, ma 40 minuti non avrebbero mai potuto cambiare la storia. Credo che sia stato invece molto importante: è stato il primo che il presidente ucraino ha avuto con un leader esterno allo schieramento occidentale".
A quello con Bergoglio va poi aggiunto l'appuntamento con l'emissario cinese Li Hui, incaricato di discutere nei prossimi giorni una soluzione per la crisi in Ucraina: "Zelensky – spiega ancora Riccardi – è molto interessato all'incontro con i diplomatici di Pechino. I mediatori sono necessari perché da troppo tempo i ponte sono rotti".
Insomma, mentre sul terreno si continua a combattere e a morire, e mentre è in corso l'attesa controffensiva ucraina, Santa Sede e Cina cercano di tessere le trame di un negoziato che porti a un cessate il fuoco.
Lei è reduce da un viaggio in Ucraina ed ha visitato anche alcune città simbolo della guerra. Non solo Kiev e Leopoli, ma anche Irpin e Bucha: che situazione ha trovato in quel Paese?
La guerra bisogna toccarla "con mano" perché guardare un conflitto in televisione è molto diverso dal parlare con la gente comune. Ho incontrato molti profughi sia a Leopoli che a Kiev, ho ascoltato le loro storie e le loro aspettative. E la realtà è quella di un Paese che ha sofferto le violenze russe – e Irpin e Bucha sono luoghi simbolo di fronte ai quali inchinarsi – ma che oggi conta cinque milioni di sfollati interni, con persone partite dal Donbass che non sapevano dove andare, sono salite sul primo pullman e si sono ritrovate a Leopoli, Kiev oppure Odessa. Per non parlare poi degli otto milioni di ucraini all'estero. Questa è la realtà di un Paese che subisce un'invasione e che soffre la povertà a causa della perdita di milioni di posti di lavoro: è in questo quadro che sta intervenendo la Comunità di Sant'Egidio con quasi 20 milioni di euro di aiuti umanitari distribuiti dagli ucraini stessi.
Cosa sta facendo la Comunità di Sant'Egidio? E soprattutto cosa farà in futuro, considerando che la guerra sembra destinata a durare a lungo?
Siamo presenti sotto due profili: una realtà italiana ed europea che sostiene l'Ucraina con un grande sforzo umanitario; e poi una realtà ucraina di circa 400 persone che operano sul terreno e aiutano i più poveri sia distribuendo aiuti che garantendo supporto umano e psicologico ai rifugiati. Sono molto preoccupato per la prosecuzione di questo sforzo umanitario. Abbiamo bisogno di molte risorse per poterlo continuare, ma sentiamo la responsabilità di quello che stiamo facendo e dobbiamo andare avanti perché il popolo ucraino soffre. Questa guerra la stano pagando gli uomini, le donne e i bambini ucraini perché sulla loro terra che si sta combattendo.
Nei giorni scorsi lei ha partecipato in Ucraina ad alcune assemblee pubbliche. Cosa le hanno restituito quelle persone "dal basso"?
Ho partecipato a due assemblee di Sant'Egidio, una a Leopoli e una a Kiev. La percezione che ho avuto è stata quella di dialogare con gente determinata a lottare per il proprio Paese attraverso l'impegno umanitario. Quello che mi ha colpito è stato il contatto con i giovani, che soffrono molto perché la guerra ha spezzato i loro sogni e le prospettive sul loro futuro, sia perché molti partono per combattere, sia perché sono dovuti emigrare da una parte all'altra dell'Ucraina. La mia sensazione è che la popolazione resiste, ma al prezzo di una enorme sofferenza.
Sabato scorso il presidente Zelensky ha incontrato Papa Francesco. I due hanno avuto un dialogo di 40 minuti…
Da quell'incontro ci si aspettava forse un miracolo, ma 40 minuti non avrebbero mai potuto cambiare la storia. Credo che quell'incontro sia stato invece molto importante: è stato il primo che il presidente ucraino ha avuto con un leader esterno allo schieramento occidentale, visto che il Pontefice parla da sempre e apertamente della priorità della pace, pur riconoscendo che l'Ucraina ha subito un'aggressione. Il Papa è stato spesso attaccato per quella che alcuni hanno descritto come imparzialità, perché qualcuno sostiene non aderisca al 100% alle aspettative e alle tesi ucraine. Ma io credo che Francesco con questa posizione esprima l'idea di un "bene comune mondiale", rappresentato dalla pace. Per la Chiesa Cattolica la guerra è un fallimento della politica e dell'umanità, ed è questa la posizione che la Chiesa ripete. Spesso ha avuto ragione nei confronti di conflitti folli degli ultimi decenni.
Su cosa si basa la proposta di pace della Santa Sede?
Credo che l'azione di pace vaticana continuerà con alcuni gesti e con nuovi contatti. Non penso che la Santa Sede abbia un suo "piano di pace", e non penso che sia compito del Vaticano proporre un'agenda di mediazione. Compito del Papa è invece ricordare che troppo tempo è stato speso nella guerra, troppo si è investito sulle armi. Ora è il tempo di investire sulla diplomazia e di cambiare linguaggio, perché non si usino solo parole di guerra e propaganda. Credo che la Santa Sede si muoverà attivamente in questo senso.
Al termine di quell'incontro con Papa Francesco Zelensky ha dichiarato che l'Ucraina non ha bisogno di mediatori. È stata una chiusura definitiva ad ogni ipotesi di dialogo?
Alla vigilia di un'offensiva militare Zelensky ha dichiarato di non aver bisogno di mediatori. Ci sta che lo dica. Credo però anche che la guerra non possa essere permanente, sebbene ci siano casi – come quello della Siria – di "guerra eternizzata". È questo che vogliamo per gli ucraini? Per amore di quel popolo, che conosco e frequento più di molti altri fin dall'epoca sovietica, e per amore della sua indipendenza, dobbiamo sapere che questa guerra non può durare per sempre. Per questo penso che tutti abbiano bisogno di mediatori e interlocutori. Non dobbiamo rassegnarci a un confronto esclusivamente militare, e lo dico innanzitutto per il bene dell'Ucraina.
Un'ultima domanda. L'inviato speciale della Cina Li Hui ha iniziato da alcuni giorni la sua missione diplomatica. Farà tappa in Ucraina, Russia, Francia, Germania e Polonia. Che ruolo può giocare Pechino?
Il capo del Consiglio di sicurezza nazionale statunitense, Jake Sullivan, alcuni giorni fa ha incontrato a Vienna il regista della diplomazia cinese, Wang Yi. Credo che quel dialogo sia stato molto importante, e che lo sia anche il viaggio in Europa dell'alto diplomatico cinese Li Hui, che incontrerà tra gli altri anche il leader ucraino. C'è bisogno di mediatori dai differenti profili: alcuni di loro possono richiamare all'urgenza della Pace, come il Vaticano; altri, come la Cina, possono proporre dei piani di pace. Anche Zelensky è molto interessato all'incontro con i diplomatici di Pechino, circostanza che giudico molto importante. I mediatori, che i francesi chiamerebbero passeur, sono necessari perché da troppo tempo i ponte sono rotti. È giusto il momento di ricostruirli.