Il Regno Unito minaccia l’Ue: Cameron vuole più soldi e meno immigrati. O sarà referendum
Non c'è soltanto il tema dell'immigrazione a gravare sul futuro dell'Unione Europea e a fare di questo il momento di maggiore crisi dell'Europa sin dai tempi dalla sua creazione. Nel vertice europeo che oggi e domani vedrà i 28 capi di Stato riuniti a Bruxelles, infatti, verrà discusso anche il futuro della Gran Bretagna – con la prospettiva della cosiddetta Brexit, ovvero la sua fuoriuscita dall'Unione Europea.
È cominciata la discussione sui termini di rinegoziazione chiesti dalla Gran Bretagna, da cui potrebbe dipendere – anche se indirettamente – il futuro dell'intera Europa. Domani, infatti, a fine del vertice il ministro Cameron annuncerà la data del referendum in cui i cittadini britannici saranno chiamati a scegliere se vogliono o meno continuare a far parte dell'Unione Europea, ed è inutile dire che gli accordi che verranno raggiunti tra oggi e domani andranno ad influire pesantemente sul risultato.
Come è noto, la Gran Bretagna gode in Europa di una posizione particolare, che la vede parte della comunità europea, ma fuori dalla moneta unica e dal trattato di Schengen. Nonostante ciò, l’insofferenza del Regno Unito nei confronti dell'Unione Europea è nota da tempo e proprio per ridefinire i termini della sua appartenenza Cameron, già dopo la vittoria delle elezioni del maggio del 2015, aveva annunciato che l'adesione della Gran Bretagna era legata alla ridiscussione di alcuni temi – discussione già slittata lo scorso dicembre e oggi inevitabile.
I punti che la Gran Bretagna chiederà di ritrattare sono stati resi noti in una lettera inviata da Cameron lo scorso novembre a Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, e mirano sostanzialmente ad un allentamento dei vincoli tra la Gran Bretagna e l’Unione Europea. A far discutere, sono soprattutto due punti. Il primo è quello economico, secondo cui la Gran Bretagna vorrebbe che la legislatura europea venisse applicata diversamente per i paesi che non hanno aderito alla moneta unica; il secondo è quello dell’immigrazione, che vorrebbe limitare.
Cameron, infatti, a quanto apparso fin qui, chiederebbe di porre dei limiti alla libera circolazione dei lavoratori, anche europei, creando dei disincentivi quali l’assenza di benefici assistenziali durante i primi anni di permanenza nel Regno Unito. In particolare, Cameron, era partito con l'idea di negare l'assistenza medica o le case pubbliche per i primi quattro anni ai lavoratori immigrati, anche dell'Unione Europea. Una proposta choc, anche per i numerosi italiani presenti in Uk, che però sembra essere stata rimandata al mittente.
E` proprio quest'ultimo punto che sembra complicare il raggiungimento di un'intesa. Se infatti nei giorni scorsi sia Angela Merkel che Francois Hollande avevano ribadito la difficoltà dell’accordo e il timore di offrire a Cameron una posizione troppo privilegiata ma si sono detti disposti a collaborare, sull’immigrazione i paesi dell’est non sembrano disposti a cedere. La Polonia, la Slovacchia e la Repubblica Ceca, si sono infatti accordati martedì per rifiutare i termini richiesti dal Regno Unito. A sottolineare la difficoltà che un’intesa venga raggiunta, proprio in queste ore Donald Tusk ha avvertito il primo ministro britannico che il raggiungimento di un’intesa non è assicurato.
Cameron, dal canto suo, ha enfatizzato l’importanza di un’intesa dichiarando che nel caso le rinegoziazioni venissero accettate si schiererebbe per il sì al referendum, cioè per rimanere nell'Europa. In realtà il premier inglese si trova a minacciare una consultazione popolare per dovere politico più che per vera e propria scelta, considerando il fronte euroscettico all'interno del suo partito e il fatto che ne ha fatto un cavallo di battaglia per le campagne politiche del 2015.
Nel Regno Unito, intanto, si discute di una possibile Brexit e i calcoli che vengono fatti per appoggiare l’una o l’altra posizione fino a questo momento sono soprattutto economici, e non sembrano in grado di fornire risposte decise. A quanto emerge dai sondaggi, infatti, nonostante alcuni sottolineano una tendenza verso l'uscita (il 45 percento contro il 36 percento), politicamente gli inglesi, sono divisi al punto che fare una qualsiasi previsione sull'esito del voto risulta molto difficile.
Al di là dell'esito del referendum e degli effetti economici, per quello che riguarda direttamente l'Italia e i numerosi italiani nel Regno Unito, è molto difficile prevedere quello che succederà. Si può solo provare ad affermare che sembrerebbe decisamente strano che il Regno Unito decida di buttare al vento decenni di diplomazia e di storia passando leggi contro l'immigrazione che vadano al di là di un semplice inasprimento burocratico. Eppure in tutta questa faccenda, l'unica cosa certa è che l'uscita del Regno Unito dall’Unione Europea porterebbe a mettere in discussione la sua intera esistenza, in un'Europa già frammentata e che, tra muri, chiusure, e xenofobia, sembra aver perso la sua identità.