Mancano pochi giorni al referendum che potrebbe portare il Regno Unito a votare per abbandonare l’Unione Europea. Il referendum per la “Brexit” – la contrazione inglese che unisce le parole “Bretagna” e “Uscita” – è stato dominato dalle polemiche, dalle paure, da tanto populismo sui media britannici che incolpano l’immigrazione per gli effetti della crisi e della disoccupazione, mentre c’è stata poca attenzione sui media europei.
Così, a pochi giorni dal voto, e proprio nel momento in cui i principali sondaggi danno l’ipotesi dell’uscita come vincente, se pur con una margine ristretto – ma i sondaggi anche in Inghilterra come in Italia non riescono più a dare proiezioni attendibili sul voto – è praticamente impossibile prevedere quali saranno i danni che i cittadini europei subiranno in caso di una uscita del Regno Unito.
Ma che rischi corrono gli italiani nell’immediato? Le centinaia di migliaia, soprattutto giovani, che in quel paese vanno a cercare il lavoro che in Italia non riescono più a trovare? Parliamo anche di chi va a comprare casa e a mettere su nuove iniziative imprenditoriali, perché nel nostro paese le tasse troppo alte non lo permettono, e perché la burocrazia non aiuta (specialmente i giovani).
Parliamo di chi emigra e decide di abbandonare un lavoro precario a mille euro quando va bene, il lavoro nero, i voucher. Per cercare un’occupazione adatta alle proprie qualifiche, alle proprie ambizioni, al proprio titolo di studio. Che succederà a queste persone se il Regno Unito abbandonerà l’Unione Europea? Nulla di buono, purtroppo. E le certezze al momento sono pochissime.
Facciamo chiarezza: se al referendum il 23 giugno dovesse vincere chi desidera che il Regno Unito esca dall’UE, questo non potrebbe comunque avvenire nel giro di poche settimane o di qualche mese. Dovrebbero esserci prima degli incontri fra il governo britannico e la Commissione Europea, e qui gli inglesi dovrebbero ricorrere all’articolo 50 del Trattato di Lisbona, dichiarando così la propria volontà di uscire.
Solo dopo questo passaggio inizierebbe un periodo della durata di 2 anni necessario perché l’uscita diventi realtà. Ma i danni per gli italiani, e per tutti gli immigrati europei, si vedrebbero da subito. Perché la Brexit significherà che UK e UE dovranno passare i prossimi anni – perfino oltre i due che occorreranno per l’uscita formale – a negoziare nuovi accordi commerciali. A decidere i diritti reciproci dei cittadini europei in Gran Bretagna, e quelli dei britannici in Europa: su tasse, passaporti, controlli, accesso alla sanità, ai sussidi e ai contratti di lavoro.
Sarà un processo molto complicato che richiederà anni, e di cui non è possibile stabilire ora i tempi e gli esiti. Il buon senso dice che è inevitabile si stipulino accordi per la libera circolazione degli europei, per il loro lavoro, e specialmente per chi già da anni risiede nel paese e ha casa, figli, un contratto, risparmi, investimenti. Eppure, nulla è certo. E in questi giorni l’UE ha ribadito la propria posizione dura nei confronti del Regno Unito in caso di un’uscita.
La situazione, purtroppo, è grave anche all’interno del governo inglese. Anche se al momento i Tories (il partito di centro-destra) di David Cameron stanno facendo campagna per rimanere all’interno dell’UE, dato che i costi economici potrebbero essere pesantissimi in caso di Brexit… solo pochi mesi fa lo stesso premier e il ministro degli interni Theresa May non risparmiavano gli annunci sui limiti che avrebbero potuto imporre sugli immigrati europei.
“L'immigrazione attuale è insostenibile”, affermava May lo scorso settembre, “Mette pressione su scuole ed ospedali”. L’intenzione emersa dal governo britannico – si tratta per ora solo di annunci – sarebbe di provvedere a dei paletti al reddito simili a quelli per gli immigrati non europei. Secondo una legge del governo attuale, infatti, gli immigrati fuori l’UE da 5 anni nel Regno Unito devono avere un reddito annuale di 35.000 sterline l’anno (45.000 euro) per potere rimanere.
Altrimenti c’è l’espulsione. Questo provvedimento, che è entrato in vigore solo lo scorso aprile, ha suscitato grande clamore e 100mila persone hanno firmato la petizione del movimento “Stop35K” per bloccare la legge. E non serve essere sposati con cittadini britannici: anche in quel caso il cittadino britannico deve dimostrare di possedere un reddito annuale di 18.600 sterline (25.400 euro) per permettere al coniuge di vivere nel Regno Unito.
Qualcosa di simile potrebbe accadere anche per gli italiani se il Regno Unito uscirà dall’Unione Europea. E cosa accadrà, invece, nell’immediato, agli italiani che vivono e lavorano in UK? Solo a Londra sono 250mila e fanno della capitale inglese la tredicesima città italiana per numero di abitanti. Ci sarà senza dubbio una stretta sulle assunzioni da parte di aziende britanniche di lavoratori europei. Nell’incertezza, un’azienda non impiegherà una persona di cui non sono chiari i diritti e i contratti di lavoro.
Secondo il leader del partito LibDem, Nick Clegg, l’impatto dell’uscita del Regno unito dall’UE metterebbe a rischio addirittura 3 milioni di posti di lavoro in tutto. In realtà, una stima precisa non c’è e non può esserci al momento. Quel che sappiamo, però, è che con ogni probabilità i settori più colpiti dai licenziamenti saranno quello automobilistico e dei servizi finanziari. Gli italiani che operano in questi settori, quindi, dovranno fare attenzione.
In mancanza di un accordo per la libera circolazione fra Regno Unito e Unione Europea sarà come avveniva prima dell’UE: con un visto di lavoro (in inglese “visa”). Questo visto viene concesso a seguito della stipulazione di un contratto di lavoro: insomma, sarà necessario avere già un lavoro per potersi trasferire in Gran Bretagna, mentre dopo 5 anni si potrà chiedere la nazionalità (e gli italiani possono mantenerla doppia). Oppure, per gli studenti, sarà necessario ottenere un visto per motivi di studio. Il visto potrebbe anche includere la necessità di avere un determinato reddito, come si diceva, e se la cifrà sarà uguale a quella per i non europei questo significa che ci si potrà trasferire in UK solo con un lavoro e pure pagatissimo: 45.000 euro l'anno.
Per chi già vive e lavora in UK da alcuni anni, per lo meno 5, probabilmente scatterà automaticamente un visto per poter risedere e lavorare sul suolo britannico, ma anche per loro sarà necessario ottenerlo. Inoltre, gli italiani perdono ogni diritto ad ottenere sussidi e welfare: niente disoccupazione, e per accedere alla sanità inglese sarà necessario pagare un’assicurazione. Del resto il premier David Cameron già lo scorso febbraio aveva ottenuto dall’UE pesanti modifiche all’accesso al welfare britannico per i cittadini europei.
Per gli italiani diventerà praticamente impossibile ottenere un mutuo o comprare una casa nel Regno Unito. Inoltre il titolo di studio non sarebbe riconosciuto automaticamente secondo i parametri comuni dell’Unione Europea, e quindi anche partecipare ai colloqui e ai bandi di lavoro diventerà più difficile, se non impossibile. E per chi richiede il visto sarà necessario provare requisiti, provare il proprio reddito e l’intenzione di lavorare.
Vita dura anche per gli studenti italiani nel Regno Unito. Una volta fuori dall’UE le tariffe universitarie inglesi si alzeranno sensibilmente, come avviene ora per gli studenti non europei. Inoltre, fino ad oggi per gli italiani era possibile accedere a un prestito statale per pagare l’intera somma del corso di studi più il mantenimento fino a 36.000 sterline (per i corsi di primo livello, non sono inclusi i post- laurea dunque). Dopo una eventuale Brexit questo non sarà più possibile.
Saranno colpiti anche le piccole e medie aziende italiane che esportano nel Regno Unito: in attesa di un accordo commerciale fra Regno Unito e Unione Europea i costi per esportare o importare dall’Inghilterra diventeranno sensibilmente più alti. Inoltre, con la svalutazione della sterlina si ridurranno i margini di guadagno di chi fino ad oggi ha beneficato del potere della valuta britannica.
Infine, i disagi anche nei normali viaggi in aereo e in treno sarebbero pesantissimi. Se oggi gli italiani che viaggiano nel Regno Unito, anche solo per un week-end, devono esibire la carta di identità o il passaporto (la Gran Bretagna è nell’UE ma fuori da Schengen) ma possono disporre di file apposite per gli europei più veloci… dopo la Brexit le file ai controlli saranno uniche, per europei e non europei. Il che si tradurrà in file interminabili, lunghe anche ore, per poter passare il confine.
Negli aeroporti, così come nelle stazioni treni come King’s Cross, dove arrivano i diretti super veloci dalla Francia.