Il racconto di Alberto Cairo, medico a Kabul da 30 anni: “Ore di paura in città, soprattutto per le donne”
Il 17 agosto 2021, a meno di 48 ore dalla presa di Kabul da parte delle milizie talebane, il medico e delegato del Comitato Internazionale della Croce Rossa in Afghanistan Alberto Cairo è barricato in casa sua, nel quartiere di Wazir Abkar Khan, nel nord della città. "Disposizioni dall'alto – ci spiega – La situazione è troppo instabile per uscire. Aspetto di potermi rimettere al lavoro". Mentre la Storia si snoda fuori dalla finestra del suo appartamento, in una Kabul che definisce "spettrale", il fisioterapista cebano (Cuneo) che con le sue protesi ha permesso a migliaia di bambini e feriti di guerra di tornare a camminare, ragiona sugli avvenimenti di cui è testimone diretto, cercando di mantenere una prospettiva positiva pur nella consapevolezza della drammaticità della situazione.
Dott. Cairo, ci può descrivere la situazione attuale a Kabul?
A Kabul in questo momento si respira un'aria di "strana tranquillità". La città è spettrale. La maggior parte dei civili in questo momento è terrorizzata, nascosta o barricata in casa. Tutti hanno paura e aspettano di conoscere la propria sorte, una sorte che al momento non conosce nessuno, forse solo i combattenti che poche ore fa hanno conquistato la capitale.
Qual è la sua sensazione sulla piega che prenderanno gli eventi nei prossimi giorni?
Di certo posso solo dirle che il cambiamento a cui abbiamo assistito è irreversibile. I talebani hanno preso Kabul, e ora i civili dovranno fare i conti con il nuovo regime. Tutti noi dovremo fare i conti con una nuova realtà, della quale per ora non conosciamo i tratti. L'unica speranza, ora, è che non venga instaurato un governo del terrore alla stregua di 25 anni fa. Per tutti, sarebbe come ripiombare nel Medioevo, una prospettiva semplicemente agghiacciante.
Pare che in queste ore, a Kabul, a tremare siano soprattutto le donne. Può confermarlo?
Si, glielo posso confermare. Del resto, da sempre le donne sono la categoria più a rischio nelle guerre e questo caso non fa eccezione. Due giorni fa ho incontrato una mia giovane paziente. Piangeva come non ho mai sentito piangere nessuno. Mi ripeteva che la sua vita è finita, che non può più sognare un futuro, desiderare qualcosa per se stessa. Al tempo stesso, cerco di restare cautamente ottimista e confido nei piccoli segnali di apertura che il nuovo regime sta dando in questi giorni.
Ad esempio?
Pare che in occasione della presa di Herat, dove si trova un'importante Università, i miliziani abbiano dichiarato che permetteranno alle donne di continuare ad andare all'Università, a condizione che le loro insegnanti siano donne e che non vi siano contatti con il genere maschile. Si tratta di un passo indietro rispetto a prima, è vero, ma 25 anni fa per i talebani sarebbe stato impensabile anche solo il fatto che una donna studiasse. Tutte queste, però, al momento sono solo speculazioni. Solo il tempo ci dirà qual è il volto di questo nuovo governo. L'unica cosa certa è che ci troviamo di fronte a un fatto epocale.
Che lei sappia sono vere le voci secondo cui i talebani starebbero perlustrando casa per casa alla ricerca di civili filo occidentali per punirli, arrestarli e/o ucciderli?
Non posso dire di saperlo con certezza, ma le voci che mi sono giunte su controlli a tappeto e arresti porta a porta sono diverse e vengono da più parti. Non sono nella posizione di confermare né di smentire questo fatto, ma ho e abbiamo ragione di credere che corrisponda a verità.
Martedì 16 agosto sono stati effettuati i rimpatri italiani e occidentali dall'aeroporto di Kabul. Cosa l'ha spinta a restare?
Nel mio caso, semplicemente, andarmene ora non era un'opzione sul piatto. Operare in zone di guerra fa parte del mio e del nostro lavoro, se ce ne andassimo noi, non resterebbe nessuno. Confido nel fatto che i talebani, ora che sono al governo e che hanno la responsabilità di milioni di civili, ci lasceranno operare. Del resto, la Croce Rossa, oltre ad essere un organismo per sua natura imparziale e apolitico, svolge un ruolo di assistenza fondamentale e primario. Ad esempio nel mio settore specifico, che è quello dell'assistenza ai disabili e ai feriti di guerra, copriamo il 70% del lavoro su scala nazionale. Spero di potere tornare a lavoro presto e di restare qui il più a lungo possibile.