Il prof della Columbia che sta con gli studenti: “È come il ’68, università ricattata dall’establishment”
Luca Falciola, professore di storia della Columbia University, stava completando il suo corso di radical politics degli anni ‘60 e '70, quando la storia si è manifestata in maniera improvvisa fuori dalle aule dell’università dove insegna.
I parallelismi tra gli anni '60 e quello che sta succedendo nella più famosa università di New York si sprecano. La protesta degli studenti a favore della Palestina è culminata infatti con l’occupazione dell’Hamilton Hall, lo stesso edificio Columbia occupato dagli studenti nel ‘68 e sgomberato il 30 aprile scorso, come 56 anni fa.
“Ci sono delle somiglianze piuttosto inquietanti tra il ‘68 e oggi,” mi racconta. “Come allora, gli studenti oggi hanno una causa che ha una portata e una eco globale e che definirà la loro generazione politica. Una causa che sta ispirando proteste analoghe non solo negli Stati Uniti ma nel resto del mondo. All’epoca, però, la protesta degli studenti (che si battevano contro la guerra in Vietnam, ndr) era giustificata da un’università, che era palesemente legata all’industria militare americana. La Cia e l’esercito venivano alla Columbia a reclutare gli studenti".
Columbia all’epoca aveva un'affiliazione istituzionale con l’IDA, l’Istituto per le analisi della Difesa, che lavorava per il Dipartimento della Difesa, in prima linea nella guerra del Vietnam. “Oggi l’università è meno direttamente coinvolta con la guerra di Gaza, però si rifiuta di rivelare i legami finanziari fortissimi che ci sono con Israele e con le aziende israeliane che probabilmente hanno a che fare con la difesa e l'industria bellica".
La Columbia del ‘68, mi racconta il professore di origini italiane, era un'università conservatrice con studenti soprattutto bianchi, un'università d'élite, che non voleva dimostrarsi progressista e moderna. Negli ultimi anni l’università ha voluto cambiare totalmente facciata, reclutando un corpo di studenti e di docenti molto diverso, diventando così un’università estremamente progressista, antirazzista, a favore della pace, dei diritti umani e dell'uguaglianza dei popoli. “C'è una grandissima discrepanza tra quello che l'università proclama a livello di ideali e quello che fa e continua a portare avanti a livello di politiche e di finanziamenti. Gli studenti con le loro proteste hanno messo in luce questa fortissima ipocrisia tipica di queste istituzioni educative. Da una parte sono alfiere di progresso, di uguaglianza, di antirazzismo, di pace e dall'altra reprimono gli studenti che fanno seguito a quel tipo di idee con una protesta legittima e coerente.”
Perché l’università ha richiesto l’intervento della polizia? Qual è la loro paura?
"Sono intelligenti, hanno giustamente intuito che gli studenti stavano toccando un nervo scoperto e quindi sono intervenuti per prevenire che questa cosa trovasse eco. E ovviamente come in tutte le ricerche che ci parlano della protesta collettiva, anche in questo caso la repressione ha portato a un rafforzamento della protesta, producendo l'effetto contrario. In secondo luogo c'è ovviamente un ricatto politico e finanziario da parte dei finanziatori pro Israele e dell’establishment non solo repubblicano, ma anche democratico, che ha legami fortissimi con la comunità ebraica e che tiene in scacco le grandi istituzioni, non solo culturali, ma anche economiche del Paese. Quindi è chiaro che di fronte al ricatto di togliere finanziamenti, la nostra presidente ha pensato di venire a miti consigli e di ascoltare la voce dei pochissimi studenti che si sono lamentati di disagi legati all’antisemitismo e degli altri importanti esponenti della comunità ebraica che hanno puntato il dito su questo".
L’università è sotto scacco dei repubblicani?
"Non è solo una questione di repubblicani, che ovviamente la attaccano da destra, ma anche di una fortissima parte del partito democratico che è davvero forse più di tutti l'immagine di questa ipocrisia, con una facciata liberale o progressista e una prassi che non lo è. A Columbia si sono accumulate una serie di contraddizioni che sono esplose in maniera piuttosto deflagrante. Questa esplosione di rabbia da parte degli studenti, a mio personale avviso legittima, è stata anche imprevista perché di solito alla fine del semestre, qualunque cosa succeda, gli studenti di solito se ne tornano a casa in Connecticut dai genitori ricchi. Questo era quello che si aspettava l’università. E invece quel tipo di studente c'è ancora, ma non è più predominante. Proprio perché si sono fatte certe scelte e queste scelte hanno portato a galla una certa ipocrisia dell’università".
E la politica cerca di strumentalizzare questo momento?
"Sì, ovviamente, Columbia è stata strumentalizzata e quindi quello che succedeva fuori dai cancelli dell'università è stato lasciato passare come quello che succedeva all'interno, oltre alla strumentalizzazione dei messaggi di chi protesta. L'Italia è un esempio perché in Italia l'informazione è arrivata in maniera sporadica, piuttosto incompleta e anche deformata. Molte persone mi dicono: ‘Abbiamo sentito che sono tutti antisemiti e pro Hamas, cos'è una specie di jihad nel campus?’. Ovviamente non è così, magari c'è una parte, un segmento che si avvicina a proteste radicali o anche religiose. Ma è un segmento. Il resto non è così. È una protesta anche radicale, ma contro la guerra, contro l'ipocrisia del governo americano e del sistema anche educativo, che ancora una volta è uno specchio di quell'establishment democratico che era stato messo sotto accusa nel ‘68. Peraltro, beffa del destino, come nel ‘68, anche quest'anno la convention democratica si terrà a Chicago, nell’estate prima delle elezioni con un candidato democratico fragile".
Perché mettere in campo questo impressionante spiegamento di forze per sgomberare un edificio occupato da qualche decina di studenti?
"Gli Stati Uniti sono un posto dove il policing della protesta è sempre stato una dimostrazione di forza, di numeri, di equipaggiamenti, sovrabbondante rispetto alle reali necessità. Gli americani in qualche modo questa cosa l'hanno interiorizzata e quindi forse a loro fa meno effetto che a noi italiani. L'idea di una sovrabbondante e soverchiante presenza poliziesca è un po’ la norma in tutti gli Stati Uniti, però alla fine non ci sono stati degli episodi violenti, un po’ perché gli studenti sono pacifici e non resistono, ma un po’ perché effettivamente anche la polizia stessa si è abituata a questa ritualità della sua presenza. Quindi la vittima in questo momento è la libertà di parola, perché assieme a tutto il resto si sta reprimendo anche la possibilità di esprimersi. A questo livello, con la polizia nel campus, non puoi più dire niente, hai timore anche ad esprimerti. La libertà di parola è soffocata da questa cosa, insieme a tutto il resto".
L'università voleva arrivare a questo punto?
"È difficile da dire. L'università teneva tantissimo al commencement (la cerimonia di consegna delle lauree, ndr), questa era la loro fissazione. Ce ne siamo accorti tutti noi docenti. È il momento che l’università teme di più perché è il momento di massima attenzione e mediatizzazione. È il momento in cui l’università si fa gloria della propria missione, della propria grandezza, della propria ricchezza, il giorno in cui i finanziatori vengono riveriti, è il giorno in cui le famiglie, che in alcuni casi sono anche famiglie che contribuiscono alle rette, vengono a vedere quanto è bella Columbia, quanto si sta bene, quanto siamo progressisti, quanto siamo bravi. Quindi dovevano sicuramente ristabilire l'ordine entro il commencement. Però l'amministrazione non voleva arrivare a questo risultato con questa traiettoria, perché è una traiettoria che delegittima sia le persone che l’istituzione. Sarà interessante capire quel che succederà ora. Io sono solidale e patisco non solo per chi è stato arrestato, ma anche per chi vorrebbe parlare, trovarsi, fare comunità e magari non riesce più a farlo. Però ancora una volta questa non è una cosa eccezionale. Se la vogliamo vedere in termini storici è una cosa molto americana, costante, perché questo Paese è un paese molto normato, molto legalistico, in cui è difficile andare oltre un certo livello di protesta. Però non bisogna dimenticare che molte delle richieste che fecero nel ‘68 furono poi ottenute. Alla fine Columbia tagliò i legami con questo Istituto per le analisi della Difesa, e i pochi processi che sono stati celebrati sono andati a finire positivamente per gli studenti. Quindi in qualche modo è stata anche una vittoria studentesca, ovviamente nei limiti delle richieste domestiche".