Il premio Nobel per la pace Ales Bialiatski in una colonia penale: “Non abbiamo sue notizie da un mese”
Da un mese la moglie di Ales Bialiatski, il premio Nobel per la pace bielorusso non ha più sue notizie. Arrestato e poi condannato a dieci anni di carcere con l'accusa, da parte del governo, di finanziamento di azioni che violano l'ordine pubblico e di contrabbando, era stato trasferito in una colonia penale, nota in Bielorussia per la sua brutalità.
La moglie, Natalia Pinchuk, ha detto ad Associated Press di non avere sue notizie da un mese, ovvero da quando Bialiatski è stato trasferito nella colonia N9 per recidivi nella città di Gorki, dove i detenuti vengono picchiati e sottoposti ai lavori forzati. “Le autorità creano condizioni insopportabili per Ales e lo tengono in stretto isolamento informativo. Non c'è una sola lettera da parte sua da un mese, né riceve le mie lettere”, ha raccontato Pinchuk per telefono.
A marzo, un tribunale ha condannato il 60enne Bialiatski, attivista, difensore dei diritti umani della Bielorussia, premio Nobel per la pace 2022, fondatore e presidente del centro per i diritti umani Viasna (Primavera) a dieci anni di carcere. L'attivista ha già trascorso 20 mesi in carcere dal suo arresto nel 2021 e la moglie teme che la sua salute si stia deteriorando.
“Nelle ultime lettere vedo come la sua calligrafia sia cambiata e come la situazione stia peggiorando per lui, sia in termini di salute che di vista, e sono molto, molto preoccupata”, ha detto la donna esortando anche le Nazioni Unite a intervenire. Bialiatski, insieme ad altri due uomini, come riportato da Amnesty International, è stato falsamente accusato di “contrabbando di ingenti somme di danaro e finanziamento di attività di gruppi che hanno gravemente violato l’ordine pubblico”.
Secondo la pubblica accusa, gli imputati hanno fatto entrare in Bielorussia almeno 201.000 euro e 54.000 dollari per finanziare proteste illegali. Marie Struthers, direttrice di Amnesty International per l’Europa orientale e l’Asia centrale, ha parlato di un “palese atto d’ingiustizia con cui lo stato bielorusso cerca di vendicarsi contro l’attivismo per i diritti umani”.