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Long Covid

Il Paxlovid potrebbe ridurre fino al 26% il rischio di Long Covid, lo studio: “Grande progresso”

Secondo uno studio condotto dai ricercatori del Dipartimento per gli Affari dei Veterani degli Stati Uniti, l’antivirale Paxlovid, oltre a diminuire il rischio di ospedalizzazione e morte dei soggetti più fragili contagiati da Sar-Cov-2, potrebbe ridurre fino al 26% anche il rischio di Long Covid.
A cura di Ida Artiaco
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L'uso delle pillole antivirali Paxlovid, oltre a diminuire il rischio di ospedalizzazione e morte dei soggetti più fragili contagiati da Sar-Cov-2, potrebbe ridurre fino al 26% anche il rischio di Long Covid in alcune categorie di pazienti. È quanto emerge da un nuovo studio realizzato dai ricercatori del Dipartimento per gli Affari dei Veterani degli Stati Uniti.

La ricerca, pubblicata lo scorso sabato sul server medRxiv ma non ancora su riviste mediche specializzate, ha analizzato i registri elettronici di oltre 56mila veterani, con età media di 65 anni, che aveva avuto il Covid-19 tra il 1 marzo e il 30 giugno 2022, inclusi più di 9mila che sono stati trattati con Paxlovid entro i primi cinque giorni dalla manifestazione dei sintomi. Tutti avevano almeno un fattore di rischio per lo sviluppo della forma grave della malattia, come l'età avanzata e il diabete.

È emerso che i pazienti che avevano assunto l'antivirale avevano un rischio ridotto del 26% di sviluppare alcuni sintomi tipici del Long Covid, come malattie cardiache, disturbi del sangue, affaticamento, malattie del fegato, malattie renali, dolore muscolare, deterioramento neurocognitivo e mancanza di respiro. Non è stato invece specificato il legame tra l'assunzione di Paxlovid e il rischio di tosse e diabete.

"Paxlovid riduce il rischio di malattia grave da Covid-19 nella fase acuta e ora abbiamo prove che può aiutare a ridurre anche il rischio di Long Covid", ha spiegato il dottor Ziyad Al-Aly, capo della ricerca e sviluppo presso il VA St. Louis Health Care System, che ha realizzato lo studio, aggiungendo che "questo trattamento potrebbe essere una risorsa importante per affrontare il grave problema di questa condizione che affligge milioni di persone in tutto il mondo".

Lo studio ha diversi limiti, incluso il fatto che la maggior parte delle persone che hanno partecipato alla ricerca era bianca e di genere maschile, il che potrebbe circoscriverne la rilevanza più in generale. Si ricordi che il farmaco è prodotto da Pfizer e funziona meglio se assunto entro i primi 5 giorni dalla comparsa dei sintomi. "La totalità delle prove – si legge nello studio – suggerisce la necessità di migliorare l'utilizzo degli antivirali nella fase acuta come mezzo non solo per prevenire la progressione verso la malattia grave, ma anche per ridurre il rischio di esiti avversi post-acuti per la salute".

"Questo studio è molto importante", ha detto al Washington Post Akiko Iwasaki, professore di immunobiologia e biologia molecolare, cellulare e dello sviluppo presso la Yale University. "Ha implicazioni sulla salute pubblica che sono abbastanza rilevanti oggi".

Anche Eric Topol, professore di medicina molecolare e vicepresidente esecutivo di Scripps Research, ha commentato su Twitter il rapporto, definendolo "un grande progresso", anche perché "non abbiamo alcun trattamento che sia stato convalidato per il trattamento di Long Covid. Studi clinici rigorosi, randomizzati e definitivi sono attesi da tempo".

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