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Il M5S insiste con il referendum sull’uscita dall’euro (che non si farà)

Consegnate le 200mila firme per la legge di iniziativa popolare che dovrebbe essere il “primo passaggio” per l’uscita dall’euro tramite referendum. Ma il percorso resta complicato e lungo (e, a nostro parere, difficilmente concretizzabile).
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“Oggi lunedì 8 giugno il M5S ha depositato in Senato 200.000 firme per dare il via alla legge di iniziativa popolare che porterà al referendum consultivo sull’euro. Il 9 giugno anche il Presidente del Senato Grasso in persona riceverà le firme dei cittadini. Da quel momento non ci saranno più scuse. Da una parte i cittadini e dall’altra i partiti, che avranno davanti a loro due possibilità: ignorare le firme dei cittadini come già successo in passato, o permettere ad essi di esprimersi su un argomento fondamentale della vita economica e sociale del Paese, sul quale non c’è mai stato un vero dibattito”. Con queste parole, pubblicate sul blog di Beppe Grillo, il Movimento 5 Stelle annuncia il completamento del primo passaggio necessario all’indizione di un referendum per l’uscita dall’euro.

Si tratta di un percorso piuttosto complesso, dal momento che, secondo la Costituzione, non sarebbe possibile indire “il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. Dunque il M5S fa riferimento ad un referendum consultivo, sul modello di quello impostato nel 1989, da indire però con una legge di iniziativa popolare (il perché abbiamo cercato di spiegarlo qui). Per poter depositare la legge in Parlamento erano necessarie almeno 50mila firme da raccogliere in 6 mesi: il M5S ne consegna oggi circa 200mila, mandando un segnale piuttosto chiaro sul “peso” che intende dare a tale mobilitazione. Ora i parlamentari “si faranno carico di presentarla in Parlamento per la discussione in Aula”, sperando in una “rapida approvazione della legge”: poi, come scrive Grillo, una volta approvata “la legge costituzionale ad hoc che indice il referendum, considerando i tempi di passaggio tra le due Camere, tra dicembre 2015 e gennaio 2016 gli italiani potranno andare alle urne ed esprimere la loro volontà sull'uscita dall'euro con il referendum consultivo”.

Tutto bene, dunque? Beh, insomma, dal momento che, malgrado le 200mila firme raccolte, le possibilità che si concretizzi un referendum sull’euro sono pochissime.

Qui abbiamo spiegato il perché:

In primo luogo, stante la vigente normativa, il Parlamento non è obbligato a discutere una legge di iniziativa popolare. I parlamentari del M5S si sono ripromessi di "vigilare e fare pressioni" affinché le Aule esaminino la proposta, contando anche sulla forza d'urto di milioni di firme, ma non c'è alcun tipo di garanzia (qualcuno ricorda il modo, assurdo certo, con cui è stata accantonata la proposta Parlamento Pulito?). Men che mai sulle tempistiche: pensare a tempi ultrarapidi con la discussione della proposta in Parlamento entro maggio 2015 e l'approvazione entro dicembre è pura utopia (nel 1989 ci sono voluti 10 mesi a partire dalla calendarizzazione in Parlamento e in quel caso c'era l'accordo di tutte le forze politiche).

Infatti, come ci ha spiegato l’avvocato Giuseppe Palma, “il progetto di revisione della Costituzione deve necessariamente seguire la procedura “aggravata” tipizzata dall’art. 138 Cost., la quale non prevede soltanto due votazioni da parte di entrambi i rami del Parlamento intervallate da un periodo di almeno tre mesi l’una dall’altra, ma detta addirittura – e giustamente – delle maggioranze diverse (c.d. rafforzate) rispetto a quella semplice occorrente per l’approvazione di una legge di rango ordinario”. Nello specifico la “seconda approvazione” in ognuna delle Camere deve avvenire a maggioranza assoluta, poi bisognerebbe attendere un ulteriore periodo di tre mesi entro i quali (nel caso in cui il provvedimento non avesse ottenuto il via libera dei 2/3 di ciascuna Camera) un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali potrebbero chiedere un referendum confermativo.

Qui entrano poi in gioco alcune considerazioni di carattere politico / numerico. Innanzitutto è abbastanza evidente come non vi sia la minima possibilità che una tale proposta riceva il via libera dei due terzi delle Camere. Alla Camera dei deputati, infatti, il fronte “No Euro”, anche ammesso che Forza Italia e Lega Nord decidano di appoggiare la proposta grillina (i leghisti sono dichiaratamente contro l’idea del referendum, che considerano una vera e propria bufala, oltre che un danno per l’intero progetto di uscita dalla moneta unica: si legga lo storify di Claudio Borghi; Forza Italia parla di doppia circolazione monetaria), si fermerebbe a 201 voti (70 Fi, 102 M5S, 20 LN, 9 Fdi). Al Senato invece non si supererebbero le 115 unità. Siamo intorno al 30%, insomma. E abbiamo ragionato per eccesso.

A tali obiezioni Grillo in conferenza stampa ha risposto con una tesi piuttosto singolare, immaginando che, sulla spinta di milioni di firme, anche il Partito Democratico possa convincersi della necessità di chiedere agli italiani un parere sull’uscita dalla moneta unica. Si tratterebbe di un accordo politico “mediato” dalle firme degli italiani. […] (E poi, ragionando per assurdo, che senso avrebbe il referendum se anche il Pd condividesse l'uscita dall'euro?)

Ma che la strada intrapresa porti in un vicolo cieco è testimoniato anche da un altro possibile epilogo. Anche ammettendo che si arrivi al referendum di indirizzo, e ammettendo che gli italiani si esprimano per l'abbandono della moneta unica, il Parlamento potrebbe tranquillamente ignorare tale risultato. Da un punto di vista legislativo, infatti, non ci sono obblighi; da quello politico, invece, non appare azzardato pensare ad una affluenza minima e a risultati che non possano "garantire" sulla reale, chiara ed effettiva volontà degli italiani di dire addio all'euro. In ogni caso, lo ribadiamo, si tratta di un rischio che molto, molto, molto, molto, molto difficilmente il PD e la maggioranza europeista sembrano intenzionati a correre.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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