Il giurista internazionale: “Italia complice di Israele. Non fa nulla per evitare l’ecatombe a Gaza”
"Strangolare economicamente l'unica agenzia ONU con la logistica necessaria a salvare la vita a centinaia di migliaia di palestinesi di Gaza, la cui esistenza è appesa a un filo, equivale a condannarli a morte. Quindi sì, l'Italia si è distinta per non aver fatto assolutamente nulla di concreto contro gli eccidi in corso e l'ecatombe imminente". A dirlo, intervistato da Fanpage.it, il professor Luigi Daniele, docente di Diritto dei conflitti armati e diritto Internazionale Umanitario e penale alla Nottingham Trent University commentando la decisione del governo Meloni di interrompere i finanziamenti all'UNRWA, l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, la sola in grado di garantire una distribuzione capillare ed efficace degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza.
A due mesi dal primo pronunciamento dei giudici della Corte Internazionale di Giustizia, che hanno ordinato a tel Aviv di adottare misure per prevenire atti di genocidio, i massacri compiuti da Israele non si sono mai fermati. E alle bombe si è aggiunta la fame, un'"arma di guerra" a cui non si faceva ricorso da un secolo e mezzo. "L'ultima volta che si è ritenuto legittimo affamare i civili negli assedi è stato nel Codice Lieber del 1863. Da allora ogni singola dichiarazione o codificazione internazionale, a partire da quella di 5 anni dopo a San Pietroburgo, ha dettato un principio semplice: ‘Il solo scopo legittimo che gli Stati devono prefiggersi durante una guerra è indebolire le forze militari del nemico'. L'involuzione regressiva, in tutta evidenza, è di 150 anni all'indietro", spiega il professor Daniele.
Il 26 gennaio la Corte Internazionale di Giustizia ha chiesto ad Israele di adottare misure per prevenire atti di genocidio a Gaza. Tel Aviv ha rispettato, almeno in parte, le prescrizioni dei giudici?
Sfido chiunque a dimostrare che le misure cautelari siano state rispettate. Al 26 gennaio le vittime palestinesi erano circa 26mila, con più di 64mila feriti. Da quel giorno in poi sono state uccise almeno altre 6mila persone, e circa 10mila in più sono state ferite. Il 70% continuano ad essere bambini e donne (almeno 20.700 dall'inizio della campagna militare). Non meno di 80 minori e bambini al giorno, in media, falcidiati dalle bombe, molti altri mutilati a vita.
Potrebbe illustrarci quali sono state le principali violazioni commesse da Israele negli ultimi due mesi?
Anche per chi volesse fingere che non sia continuato un massacro (che si avvia a decuplicare le vittime civili dei primi sei mesi della pur brutale guerra contro l'Ucraina), rimarrebbe da dimostrare cosa sia stato fatto sulla quarta misura cautelare ordinata, ovvero "adottare misure immediate ed efficaci" per la fornitura non solo di aiuti umanitari, ma anche dei "servizi di base" necessari a rispondere alle disperate condizioni di vita (che faremmo meglio a chiamare ‘di morte') della popolazione di Gaza.
I massacri della farina, non solo quello più tragico e noto, ma quelli che l'hanno preceduto e ne sono seguiti, sono l'esempio più evidente e sconcertante. Le decine di ambulanze, incubatrici e ventilatori per terapie intensive che arrugginiscono a Rafah, le tonnellate di aiuti che marciscono e farmaci che scadono (come documentato direttamente dalle/dai Parlamentari italiani e dai miei stimati colleghi della delegazione, Alessandra Annoni e Triestino Mariniello), sono un esempio meno cruento, ma non meno mortale.
Ma ci sono anche nuovi assedi degli ospedali. Nel nuovo assedio dell'Al Shifa hospital, sono state uccise e ferite centinaia di persone, con l'esercito israeliano che dichiarava di aver "eliminato approssimativamente 90 terroristi". Qualcuno in Italia e in Europa ha chiesto al Governo Netanyahu su che basi designi masse di persone disarmate come "terroristi" da poter uccidere? È una designazione, o una parola d'ordine per massacri sommari?
La scorsa settimana Josep Borrell (Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza) ha accusato Israele di usare la fame come "arma di guerra" e l’ha esortato a far entrare aiuti umanitari a Gaza.
Borrell ha ragione, ma avrebbe dovuto dirlo molto prima. Ci sono voluti fiumi di sangue di innocenti (forse perché non bianchi?) per chiamare almeno qualcosa col proprio nome. È davvero una forma di oltraggio all'umanità e alla storia, oltre che al diritto, giustificare l'uso della fame, della sete e delle malattie contro una intera popolazione civile come metodo di guerra. L'ultima volta che si è ritenuto legittimo affamare i civili negli assedi è stato nel Codice Lieber del 1863. Da allora ogni singola dichiarazione o codificazione internazionale, a partire da quella di 5 anni dopo a San Pietroburgo, ha dettato un principio semplice: "Il solo scopo legittimo che gli Stati devono prefiggersi durante una guerra è indebolire le forze militari del nemico". L'involuzione regressiva, in tutta evidenza, è di 150 anni all'indietro.
A parte gli "appelli" a mezzo stampa, i Paesi terzi hanno degli obblighi giuridici nei confronti di Israele?
Gli appelli e le esortazioni sono paradossali. Il tempo degli appelli era tre mesi fa. Con 40mila morti, 15mila dei quali bambini (queste le stime se si contano anche i morti sotto le macerie), gli appelli sono un modo delle élites occidentali di provare a salvarsi la faccia, mentre si ignorano i doveri di embargo e sanzioni contro un Governo che in tutta evidenza si considera legibus solutus e che oltretutto, a detta di molte cittadine e cittadini israeliani, ritiene la liberazione degli ostaggi secondaria e sacrificabile rispetto ad altri obiettivi della guerra.
Anche alcuni stati terzi rischiano di essere incriminati per complicità col genocidio?
Sì, come ci dicevamo in precedenza, i Paesi terzi hanno obblighi autonomi di prevenzione dei genocidi, su cui ci siamo già confrontati. La loro violazione, o peggio la complicità nelle condotte di Israele (provvedendo armi e sostegno a piani che privano i palestinesi di ogni diritto e protezione) espongono gli stati terzi a nuovi ricorsi. Più che di una incriminazione, si tratta di una messa in stato d'accusa da parte di altri stati dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia. È già accaduto ad opera del Nicaragua contro la Germania.
Tra questi c’è anche l’Italia, che ha confermato la sospensione di fondi all’UNRWA?
Ho avuto modo di spiegare altrove che strangolare economicamente l'unica agenzia ONU con la logistica necessaria a salvare la vita a centinaia di migliaia di palestinesi di Gaza la cui esistenza è appesa a un filo equivale a condannarli a morte. Quindi sì, l'Italia si è distinta per non aver fatto assolutamente nulla di concreto contro gli eccidi in corso e l'ecatombe imminente. Addirittura, nell'altro importante caso davanti alla CIG, quello sulle conseguenze legali delle politiche e pratiche dell'occupazione israeliana, l'Italia è tra i pochi stati ad aver chiesto alla Corte, con un recente intervento scritto, di non pronunciarsi. "Lasciamo fare alle parti, senza l'intralcio della legalità internazionale". Questa, in sostanza, l'incresciosa posizione italiana… Come se questa non fosse esattamente la linea che ha condotto dritti nell'abisso di questa immane tragedia! Chi lo ha deciso? Chi lo ha discusso? A nome di chi?
La Corte non si è pronunciata sulla questione principale della causa intentata dal Sudafrica, ovvero se Israele stesse commettendo o meno un genocidio. È probabile che una risposta arriverà tra molto tempo. Nel frattempo lei e il professor Raz Segal un storico israeliano studioso di genocidio ed olocausto avete pubblicato un approfondito studio al riguardo: ci riassume il contenuto della vostra analisi? Quanto è probabile, secondo lei, che effettivamente Israele verrà condannata per genocidio?
Il Journal of Genocide Research sta pubblicando mensilmente interventi in un simposio di dibattito dedicato Gaza. Forse sorprenderà in Italia, ma la maggior parte degli interventi pubblicati conclude nel senso della qualificabilità della strage in corso come genocidio. Con Raz Segal abbiamo discusso di come l'ambito scientifico degli Holocaust e genocide studies abbia interagito con la situazione. Dapprima accenniamo a quanto corale sia stata, proprio di recente, la denuncia occidentale di genocidio in relazione ai crimini e ai discorsi russi di ‘de-ucrainizzazione'. Biden stesso parlò convintamente di genocidio (per inciso: dov'erano allora gli autoproclamatisi monitori italiani degli usi impropri e inammissibili del concetto? E dov'era, in quel caso, la presunta grave sovrapposizione con l'Olocausto? Misteri italiani!).
Dopodiché, con dichiarazioni, nomi, cognomi e date alla mano, con Segal dimostriamo quanto le istigazioni (pubbliche e dirette) al genocidio dei palestinesi siano diventati un topos della politica e dei ministri israeliani da molto prima del 7 ottobre. L'articolo indica quindi quanto, tanto in questo ambito di studi, tanto negli studi giuridici, si sia consolidato (e sia oggi in sgretolamento) un eccezionalismo che scambia la singolare mostruosità dell'Olocausto per una singolare esenzione di Israele dal rispetto del diritto internazionale, in ogni sua articolazione. Con questo equivoco, a nostro avviso, la più tragica lezione storica della necessità di universalismo delle protezioni giuridiche fondamentali di tutti i gruppi nazionali, etnici o religiosi, la Shoah, diventa quindi drammatica occasione di rimozione del ‘diritto di avere diritti' di una popolazione, i palestinesi, a cui si assegna uno statuto speciale anti-universalistico di inferiori, di cui si negano con le armi e la violenza, da decenni, autodeterminazione e uguaglianza di fronte alla legge. Si finisce così a teorizzare che la sicurezza di un gruppo di esseri umani tolleri, se non addirittura esiga, la denazionalizzazione, l'espulsione forzata e poi l'eliminazione di un altro gruppo di esseri umani.