Il generale Battisti spiega cosa potrebbe cambiare sul campo dopo la tregua tra Israele e Hamas
La tregua iniziata questa mattina tra Israele e Hamas sembra reggere. Dalla Striscia di Gaza in queste ore non giungono notizie di bombardamenti e anche il lancio di razzi verso le città israeliane è stato interrotto, mentre si attende l'arrivo degli aiuti umanitari destinati alla popolazione civile palestinese, stremata da un mese e mezzo di raid che hanno causato almeno 14mila vittime e devastato Gaza.
La tregua è iniziata alle 7 di oggi ed è già avvenuto il rilascio dei primi 13 ostaggi nelle mani di Hamas. In cambio, i primi 40 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane – soprattutto donne e adolescenti – saranno presto liberati. Nelle ore che hanno preceduto l'interruzione dei combattimenti, Israele ha colpito senza sosta l'enclave palestinese, mentre le truppe di terra hanno effettuato una incursione nell’ospedale indonesiano alla ricerca di presunti depositi di armi. L’esercito israeliano inoltre ha intimato alla popolazione di non tornare al Nord di Gaza e a Gaza city – come molti sfollati palestinesi intendevano fare – perché sarebbero ancora un "territorio di guerra". Nonostante ciò migliaia di palestinesi si sono ugualmente avviati verso il Nord nella speranza di ritrovare la loro casa ancora in piedi.
Salvo colpi di scena la tregua durerà quattro giorni. L'accordo tra Israele e Hamas prevede il rilascio di 50 ostaggi israeliani a Gaza – 30 bambini, otto madri e 12 donne in gruppi di 12-13 persone al giorno – in cambio di uno stop di tutte le operazioni militari dello stato ebraico nell'enclave palestinese e della scarcerazione di 150 prigionieri palestinesi, in maggioranza donne e adolescenti della Cisgiordania e Gerusalemme Est detenuti in Israele. Inoltre, l'eventuale rilascio futuro di ogni dieci ostaggi aggiuntivi comporterà un ulteriore giorno di tregua. Ma, oltre che alla popolazione civile, a chi gioverà lo stop temporaneo dei combattimenti? Fanpage.it ha interpellato il generale Giorgio Battisti, ex comandante del Corpo d'Armata Italiano di Reazione Rapida della NATO (NRDC-ITA).
Innanzitutto, quali sono state le condizioni che hanno portato Israele e Hamas a siglare la tregua? E come è andata finora la guerra dello stato ebraico nella Striscia di Gaza?
La tregua, accettata da entrambe le parti dopo lunghe trattative e dopo aver certamente raggiunto accordi a noi sconosciuti, è il frutto della pressione che le forze armate israeliane stanno esercitando su Hamas e i suoi alleati nella Striscia di Gaza. A mio avviso dopo i fatti del 7 ottobre la leadership di Hamas non si aspettava una reazione così determinata e prolungata da parte di Tel Aviv, e non è un caso che più di una volta in queste settimane l'organizzazione islamista abbia chiesto un cessate il fuoco. Oltre agli evidenti motivi di carattere umanitario, i guerriglieri palestinesi stanno subendo pesanti perdite sia in termini umani, che di dotazioni militari. Dal canto suo Israele ha accettato di sospendere i combattimenti a causa della pressione internazionale, ma anche per via del dovere morale di riportare a casa quanti più ostaggi è possibile. Penso che Benjamin Netanyahu tendenzialmente non volesse accettare nessuna tregua ma che l'abbia fatto proprio per dare una risposta alle crescenti e ovvie richieste dell'opinione pubblica interna e delle famiglie dei prigionieri.
La risposta di Israele al massacro del 7 ottobre è stata brutale: decine di migliaia di palestinesi sono stati uccisi a Gaza, centinaia di migliaia sono stati sfollati al sud. Alla luce dei risultati delle cosiddette "guerre al terrorismo" condotte dall'Occidente, cosa pensa dell'azione militare messa in campo da Tel Aviv? Ha possibilità di successo?
Penso che questa di Israele sia in realtà una guerra profondamente diversa rispetto a quella che noi occidentali abbiamo condotto in Afghanistan e Iraq. Dal punto di vista israeliano questa contro Hamas non è solo una "guerra al terrorismo", ma è una guerra per la propria sopravvivenza perché Hamas ha scritto nel proprio statuto che il suo scopo è la distruzione dello stato ebraico. Credo che questo spieghi la determinazione di Tel Aviv di queste settimane. Ricordo che noi occidentali ci siamo impegnati in Afghanistan e Iran contro organizzazioni terroristiche, ma che non è mai stata a rischio la nostra sopravvivenza. Nel caso di Israele non è così: Hamas e il suo sponsor principale, l'Iran, hanno l'obiettivo esplicito di distruggerla.
Torniamo alla tregua appena iniziata: la sospensione dei combattimenti potrebbe reggere, ma non è escluso che ciò possa non accadere…
Certo. Hamas ha spiegato che gli ostaggi israeliani non sono solo nelle sue mani ma anche in quelle di altri gruppi armati palestinesi che potrebbero, in linea teorica, decidere di infrangere la tregua. Ritengo tuttavia che questa volta sia Hamas che i suoi alleati nella Striscia di Gaza abbiano tutto l'interesse affinché lo stop ai combattimenti duri più a lungo possibile, perché hanno bisogno di riorganizzarsi sia in termini umani che materiali. Immagino che gli ostaggi liberati verranno immediatamente interrogati dai servizi segreti israeliani e che gli altri potrebbero essere spostati per ostacolare le ricerche dell'Idf, impedendo che eventuali colpi di mano di reparti speciali possano dare risultati positivi. Hamas, che non a caso ha chiesto che il territorio israeliano non venga sorvolato da droni di intelligence di Israele, cercherà inoltre di rinforzarsi sia tramite movimenti di miliziani interni a Gaza, sia tentando di far arrivare equipaggiamenti ed armi nascosti tra gli aiuti umanitari. Insomma, penso che Hamas abbia tutto l'interesse affinché la tregua regga.
Se è interesse di Hamas che la tregua regga, però, a Israele potrebbe convenire romperla o non prolungarla oltre i quattro giorni?
Penso che ciò non accadrà. Nonostante abbia subito la brutale aggressione del 7 ottobre Israele è visto in tutto il mondo come lo stato "canaglia" di questo conflitto a causa delle vittime civili provocate dai suoi raid. Non penso quindi che vorrà alimentare questa narrazione rompendo la tregua. Inoltre è evidente che Israele ha gli occhi di tutto il mondo addosso. Mi aspetto al massimo azioni fugaci delle forze speciali o dell'intelligence, magari per tentare di liberare degli ostaggi laddove se ne individuino i nascondigli.
In che modo le forze armate israeliane proveranno a sfruttare la tregua?
Israele utilizzerà questi quattro giorni per rivedere le proprie modalità di intervento, fare un punto della situazione e probabilmente avvicendare le forze. I combattimenti riprenderanno, e non a caso alla popolazione di Gaza è stato intimato di non tornare nel nord della Striscia, dove presto riprenderanno. bombardamenti e le azioni per cercare i tunnel di Hamas. In seguito, Israele passerà al setaccio anche il sud, dove sospetta si nascondano alcuni leader dell'organizzazione islamica.
Tra quattro giorni finirà la tregua. Hamas potrebbe decidere, con un colpo a sorpresa, di rilasciare altri ostaggi per prolungarla e sfruttare quel tempo per riorganizzarsi?
Potrebbe accadere, certo. Hamas potrebbe annunciare ad esempio la liberazione di altri cinquanta ostaggi, ottenendo cinque giorni in più di tempo. Bisognerà vedere cosa deciderà di fare a quel punto Israele, il cui interesse è contemporaneamente riportare a casa i suoi concittadini ma anche impedire ad Hamas di riorganizzarsi. Insomma, per Tel Aviv sarà un bel dilemma.
Qual è l'obiettivo di Hamas, in questa fase del conflitto?
Credo che lo scopo di Hamas sia quello di trasformare una breve tregua in un cessate il fuoco prolungato e duraturo. Ne ha bisogno, chiaramente.
Vista la brutalità della risposta israeliana agli attacchi del 7 ottobre Hamas si aspettava un maggiore supporto militare da parte dei suoi alleati, Iran e Libano in primis?
È vero, l'Iran non ha fatto granché in queste settimane. La guida suprema Ali Khamenei ha rilasciato dichiarazioni significative: dopo aver detto che condivide la lotta di Hamas contro Israele, ha anche affermato di non aver partecipato in alcun modo alla pianificazione dell'attacco del 7 ottobre prendendo così le distanze dal suo alleato. Anche Hezbollah ha condannato Israele, ma ha affermato di non aver avuto nessuna corresponsabilità negli attentati di un mese e mezzo fa. L'Egitto, dal canto suo, ha chiaramente detto che non accoglierà i palestinesi sfollati dalla Striscia di Gaza perché teme un rafforzamento della fratellanza musulmana. Il leader della regine più attivo è stato probabilmente il turco Erdogan, che ha dichiarato che Hamas non è un gruppo terroristico bensì un movimento patriottico. Insomma, a parte prese di posizione di facciata da parte dei Paesi arabi non è stato fatto molto per sostenere Hamas. Le dirò di più: credo che ad oggi la causa palestinese goda di maggiori simpatie in ambito occidentale, che tra gli stati arabi.