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Il dramma di Meriam: “Ho partorito in catene, ora mia figlia è disabile”

Non c’è pace per Meriam Yehya Ibrahim, la 27enne cristiana prima condannata a morte e poi rilasciata dalle autorità del Sudan. La donna ha confessato di temere per la salute della piccola Maya, nata in carcere, che avrebbe subito problemi durante il parto a causa delle catene alle sue gambe.
A cura di Susanna Picone
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Un nuovo dramma per Meriam Yahya Ibrahim, la donna sudanese a lungo incarcerata in Sudan per apostasia e poi rilasciata dopo che la condanna è stata annullata dalla Corte d’Appello. Nei mesi trascorsi in carcere Meriam ha dato alla luce una bambina, Maya, che poi ha trovato la libertà insieme a lei e al fratellino. Ma Maya è una bambina che, l’ha confessato la stessa Meriam, avrebbe avuto dei problemi durante il parto. Problemi causati dal fatto che la 27enne cristiana è stata costretta a partorire incatenata. In un’intervista alla Cnn, è stata la stessa Meriam a spiegare di aver partorito con le catene: “Non avevo le manette, ma catene alle gambe. Non potevo aprirle”. Per questo la donna non sa se in futuro sua figlia avrà bisogno di aiuto per camminare. Difficile accertare al momento il grado di disabilità della piccola: solo quando sarà più grande i medici potranno diagnosticare con certezza l’entità dei problemi.

Meriam si trova ancora in Sudan

Meriam Yahya Ibrahim si trova ancora nell'ambasciata americana a Khartoum insieme al marito Daniel Wani e ai figli: il passaporto non arriva e il ritardo, come ha spiegato la presidente di Italians for Darfur Antonella Napoli, potrebbe dipendere dal Ramadan, che è mese di digiuno e le pratiche legali sono rallentate. Nei giorni scorsi è sorto, inoltre, l’ennesimo problema per Meriam e la sua famiglia: Al Samani al Hadi, il presunto fratello della donna cristiana, che lei non riconosce e che si era detto “arrabbiato” per non essere stato informato della scarcerazione della donna, ha fatto un esposto alla procura sudanese chiedendo ai giudici di dimostrare che lei è davvero sua sorella. Nei giorni scorsi l’uomo aveva promesso di vendicarsi nei confronti di Meriam e in un'intervista alla Cnn aveva dichiarato: “I casi sono due o lei si pente, torna alla religione islamica, rientra nell'abbraccio della nostra famiglia e allora noi siamo la sua famiglia e lei è la nostra. Oppure rifiuta e deve essere impiccata”.

L’appello di Italians for Darfur per Meriam

L’associazione Italians for Darfur ha per questo rilanciato l’appello di Meriam al vice ministro degli Esteri Lapo Pistelli che si trova in Sudan. Antonella Napoli su Twitter e sulla pagina Facebook dell’associazione ha scritto: “È davvero inaccettabile che questa vicenda non riesca a concludersi. L’accanimento nei suoi confronti rappresenta una nuova persecuzione. Dopo le accuse del Niss per l’utilizzo di presunti documenti irregolari, che in realtà erano stati emessi dall’Ambasciata sud sudanese, si è aggiunta una denuncia da parte di persone che affermano di essere suoi parenti. È dunque evidente, come mi ha scritto l’avvocato al Nour in uno dei suoi ultimi messaggi, che vogliono fare di tutto per trattenerla il più possibile in Sudan”. Meriam, dopo che era stata scarcerata lo scorso 23 giugno, era stata nuovamente fermata mentre si trovava all’aeroporto con i suoi familiari.

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