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Il dramma dei camion bomba in Turchia: così Erdoğan paga il suo sostegno ai ribelli siriani

L’attentato ha provocato 46 morti ed oltre 100 feriti: il premier turco aveva più volte ventilato l’ipotesi di un intervento bellico in Siria.
A cura di Enrico Campofreda
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La guerra delle Intelligence, che sugli acuti dei camion-bomba costruisce il suo mortale potere, varca il confine aggiungendo altri drammi alla popolazione civile. Prende di mira profughi siriani e ora anche cittadini turchi che nella provincia meridionale di Hatay vivono e da mesi offrono assistenza a decine di migliaia di sfollati. In realtà le esplosioni di Reyhanlı di sabato hanno lo scopo di punire il governo Erdoğan per l’azione di sostegno ai ribelli siriani più che per gli aiuti umanitari definiti speculativi dall’opposizione al premier turco. La politica occidentale ha espresso profonda solidarietà ad Ankara, un alleato coriaceo di cui Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito apprezzano la vicinanza alla causa ribelle, divenuta l’alibi per ogni sorta di gioco di guerra contro il regime di Assad. Solo un paio di giorni prima del grande boato (46 morti, oltre cento feriti) Erdoğan aveva flirtato con l’idea mai sopita d’un intervento esterno contro Damasco che Obama continua a ventilare come una delle soluzioni del sanguinosissimo conflitto civile siriano. Ultimo motivo: l’uso di armi chimiche i cui nefasti effetti sarebbero stati riscontrati su alcuni profughi ricoverati in ospedali turchi.

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CHIMICA O NO, E' GUERRA – Eppure Davutoğlu, il ministro degli esteri che è da un decennio il regista del programma erdoğaniano, si smarca da quest’ultima presa di posizione dubitando sull’uso del famigerato agente chimico sarin da parte delle truppe siriane. Non ha avuto invece dubbi nel puntare il dito contro Assad e i suoi mukhabarat per l’attentato. Ha parlato di una “vecchia organizzazione terrorista marxista” forse pensando che certe affermazioni possano tornare utili in casa propria dove la destra nazionalista accusa il governo d’incapacità di offrire sicurezza ai cittadini. In effetti l’entrata in scena dei grandi attentati con autobomba, già registrati mesi fa a Damasco e in altre città flagellate dagli scontri fra il variegato fronte ribelle (sunniti autoctoni, qaedisti, mercenari di varia provenienza foraggiati dai Servizi occidentali) e i lealisti di Assad possono tracimare in Libano, Turchia e Iraq. Sia perché c’è chi come Israele getta benzina sul fuoco con gli attacchi mirati in terra siriana, rivolti ai presunti arsenali di Hezbollah; sia perché quest’ultimo vedendosi privato dei rifornimenti bellici può entrare ufficialmente su un terreno di scontro di cui i suoi nemici già ne accusano la presenza.

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IL CONFINE INFINITO – I 900 chilometri di frontiera fra Turchia e Siria costituiscono un serio problema per la sicurezza. Il leader del Mhp Bahçeli non ha perso tempo a ribadire come questo tema abbia ormai raggiunto un livello di guardia a causa delle scelte operate da Erdoğan. Con ciò vuole risollevare anche la questione dell’accordo col leader kurdo Öcalan sul ritiro di tremila combattenti del Pkk (considerati terroristi) che proprio in questi giorni hanno iniziato a trasmigrare, armi alla mano, nella regione kurda dell’Iraq. Un passo considerato una sorta di cedimento dai nazionalisti e anche dai repubblicani d’antan, valutato invece dai sottoscrittori e da parecchi analisti un momento di distensione oltre che di real politik sull’annoso contrasto. Ma il Medio Oriente è in subbuglio, le comunità kurde turca e irachena potrebbero esse stesse venire coinvolte dalla carneficina siriana. E in questo rigurgito d’interessi imperialisti e nazionalismi sfrenati il sogno d’un Kurdistan confederale lanciato dal programma di Öcalan appare utopico. Per ora parrebbe già molto che la conferenza proposta a fine maggio da Stati Uniti e Russia per pacificare la Siria potesse iniziare con tutti i suoi attori.

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