Il dissidente russo Kara-Murza nel peggior carcere possibile in Siberia: “Vogliono sopprimerlo”
È semplicemente la più dura forma di punizione che si possa trovare in un carcere russo. La cella misura tre metri per un metro e mezzo. Non ha alcun mobile se non uno sgabello di legno e un letto “a scomparsa” che dalle sei del mattino alle nove di sera viene richiuso e fissato al muro. E al muro non ti ci puoi nemmeno appoggiare. Perché è ricoperto da un cemento poroso che sembra lava solidificata. Lo chiamano shuba (“pelliccia”), nel gergo della galera. È abrasivo, a spuntoni irregolari.
Peggio di così si muore
In quella cella d’isolamento Vladimir Kara-Murza dovrà restare almeno fino al 26 maggio. “Ma la data potrebbe cambiare”, dice a Fanpage.it il suo avvocato, Vadim Prokhorov. La punizione potrebbe essere prolungata. Intanto è resa ancor più pesante dall’appena avvenuto trasferimento. “Essere spostati da un carcere a un altro, anche quando le condizioni restano simili, è una forma di tortura per i detenuti. Cancella anche il calore delle abitudini”, spiega Prokorov. “L’intenzione è chiara: sopprimere il mio assistito”.
Il sistema carcerario russo deriva dai lager nati in Sudafrica al tempo delle guerre boere, messi a punto nella Urss di Stalin e perfezionati dalla Germania nazista. Il regime è più severo che non nelle attuali carceri europee. Ma la prigione dove hanno portato Kara-Murza non è nemmeno una normale prigione russa. È la peggiore possibile: colonia penale Ik-7. A Omsk, Siberia, circolo polare artico. Nelle scorse ore faceva meno 17. Il riscaldamento nelle colonie penali dell’Artico è spesso insufficiente, secondo l’organizzazione per i diritti dei detenuti Rus Sidyashchaya (“Russia dietro le sbarre”).
Trasferimenti tragici
Alla colonia penale Ik-7 Vladimir Kara-Murza è stato trasferito improvvisamente dalla vicina Ik-6 senza alcun preavviso, nei giorni scorsi. Un amico che gli aveva scritto si è visto restituire la missiva con la dicitura “detenuto trasferito”, senza altre spiegazioni. Sono cose che fanno paura. Una volta di Kara-Murza si persero le tracce per settimane, a causa di un trasferimento. Secondo le leggi russe le autorità non sono tenute a dare alcuna informazione su dove sia e come stia il detenuto in transito. “È uno dei momenti più pericolosi nella vita di un prigioniero”, commenta la moglie di Kara-Murza, Evgenia. “Ti ritrovi da solo a tu per tu con un regime che usa ogni tipo di tecniche repressive, incluse le botte e la tortura, contro i dissidenti”, dice a Fanpage.it.
Per fortuna stavolta la sparizione del detenuto è durata poco, visto che il nuovo carcere è nella stessa città del vecchio, Omsk. Ma il rischio resta alto. Lo dimostra almeno un precedente.
“Per Sergey Magnitsky un breve trasferimento corrispose alla morte”, ricorda a Fanpage.it il finanziere e attivista politico britannico Bill Browder. Il suo amico e collega di lavoro Magnitsky, perse la vita in un carcere moscovita nel 2009 in seguito a presunte torture e mancanza di cure mediche. Poco prima di morire era stato picchiato. Nel suo nome è stata varato il Magnitsky Act, la legge Usa che sanziona gli individui colpevoli di violazioni dei diritti umani nel mondo.
Umorismo nonostante tutto
In una lettera spedita ai suoi legali, Kara-Murza racconta di aver subito una sorta di “processo” per violazione delle regole della prigione: lo hanno accusato di aver disobbedito a un ordine che non gli era mai stato dato. Da qui la “condanna” ad andare per almeno cinque mesi nella colonia penale Ik-7 con un inasprimento del regime già pesante a cui era sottoposto. Il dissidente non ha perso il senso dell’umorismo, nonostante tutto. Il suo racconto di come la tutta la procedura sia stata una farsa è spassoso. Già prima della convocazione da parte delle autorità, scrive Kara-Murza, i secondini avevano impacchettato le sue cose e fatto arrivare il furgone per trasportarlo alla Ik-7.
“Se finora non sono ancora completamente impazzita è grazie alla forza vitale e al senso dell’umorismo di Vladimir”, ha subito scritto su X Evgenia Kara-Murza, comunque sollevata dal sapere dove fosse il marito dopo tante ore di apprensione. “Vladimir è un uomo dalla grande forza di volontà”, ci spiega l’avvocato Prokhorov. “Ma si trova obiettivamente in una situazione molto pericolosa. Questo ulteriore peggioramento delle condizioni di detenzione è una vera e propria forma di tortura, vista anche le sua salute precaria”.
Kara-Murza soffre di una patologia del sistema nervoso, la polineuropatia periferica. Dopo un pò che sta fermo, non sente più i piedi. Del tutto incompatibile col regime carcerario. La malattia è un'eredità dei due tentativi di avvelenamento che l’hanno quasi ucciso nel 2015 e nel 2017.
I motivi di Putin
“Il vero motivo del trasferimento di Vladimir all’altra colonia penale di Omsk non lo conosciamo. Chiederemo e faremo appello”, sottolinea Prokhorov. “È comunque evidente l’intenzione di farlo soffrire il più possibile. E di sopprimerlo, alla fine”. Secondo Bill Browder, si tratta di una vera e propria esibizione sadica: “Il regime vuole apparire spaventoso, disposto a qualsiasi cosa”, sostiene. “Putin desidera ostentare, far sfoggio del proprio sadismo. Coscientemente. Per scoraggiare chiunque, anche se già in prigione, ad alzar la testa e opporsi, con parole o scritti consegnati agli avvocati, alla politica del Cremlino”.
Vladimir Kara-Murza è stato condannato a 25 anni. Pena record, per un dissidente. I reati: “tradimento”, “false informazioni sulle forze armate russe” e affiliazione a un’organizzazione “indesiderabile”. La prova regina: una conferenza negli Usa in cui aveva condannato l’invasione dell’Ucraina e la politica del Cremlino. Il giudice che ha emesso la sentenza è una delle persone sanzionate dal Magnitsky Act. Insieme a Bill Browder e al leader dell’opposizione russa Boris Nemtsov, Kara-Murza sostenne strenuamente l’approvazione del Magnitsky Act. “La legge più pro-russa nella storia di ogni parlamento straniero”, disse Nemtsov. Poco dopo, fu ucciso con quattro colpi di pistola alla schiena davanti alle mura del Cremlino da ceceni legati al leader della repubblica caucasica Ramzan Kadirov, fedelissimo di Putin. Sui mandanti non si è mai davvero indagato.
Poi doveva toccare a Kara-Murza, ma l’avvelenamento non lo uccise. Così come non lo uccise un nuovo tentativo due anni più tardi. Ad agire contro di lui, secondo le inchieste giornalistiche incrociate di Bellingcat, Insider e Cnn, fu la stessa squadra dell’Fsb responsabile dell’avvelenamento — anch’esso non letale — di Alexei Navalny. “La gang che non sapeva avvelenare”, si potrebbe dire parafrasando il titolo di un vecchio film con Robert De Niro. Il timore, ora, è che la colonia penale Ik-7 di Omsk, e più in generale il regime carcerario russo, siano più efficaci di quella squadra di maldestri assassini.