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Guerra in Ucraina

Il consulente del Cremlino Kortunov spiega perché Putin non accetterà il piano italiano per l’Ucraina

“Ci vuole almeno un periodo di transizione”. Bene il dialogo Usa-Russia tra capi militari. “Ma l’incubo nucleare non svanisce”. “Cruciali” i negoziati su prigionieri Azovstal e grano. Così il consulente del Cremlino Kortunov a Fanpage.it.
A cura di Riccardo Amati
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Una vera e propria amministrazione internazionale di almeno un paio d’anni per calmare gli animi, e poi referenda nei territori contesi: solo con queste correzioni il piano di pace italiano per l’Ucraina avrebbe qualche chance di essere accettato dal Cremlino. Così com’è adesso, non appare realistico e “verrebbe rifiutato a Mosca come a Donetsk e Luhansk”. È quanto ritiene Andrei Kortunov, direttore del Russian Council (Riac), istituto fondato dal ministero degli Esteri russo deputato a fornire analisi e raccomandazioni all’amministrazione presidenziale. Intanto, “deve essere assolutamente preservato” il dialogo tra ministri della Difesa e alti gradi militari di Russia e Usa, perché “il rischio di escalation nucleare permane”. Mentre dall’andamento dei colloqui sulla sorte degli ucraini fatti prigionieri all’acciaieria di Mariupol e sulla ripresa dell’export ucraino di grano “si capirà se ci sono chance per la diplomazia”.

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Andrei Kortunov, direttore del Russian Council (Riac)

Il piano di pace italiano prevederebbe la formazione di un gruppo internazionale di facilitazione, l’immediato cessate il fuoco e la neutralità dell’Ucraina, che resterebbe fuori dalla Nato. Oltre a un nuovo trattato per la sicurezza europea e internazionale. Ma il piano non è del tutto chiaro sul nodo principale: Crimea e Donbass avrebbero piena autonomia e loro forze armate, ma sotto la sovranità di Kyiv. Il governo ucraino sta studiando il documento, ha avuto parole di apprezzamento e ribadisce di non poter accettare alcun ridimensionamento della sua integrità territoriale. Il piano viene analizzato anche a Mosca. Per capire che aria tira, Fanpage.it ha raggiunto Kortunov presso la sede del Riac a Yakimanka, due passi da Gorky Park, nel centro della capitale russa.

Cosa pensa la Russia del piano italiano? 

Credo che al Cremlino in sostanza si pensi che non possiamo fidarci degli ucraini. E che se riprendono il controllo di Crimea e Donbass assisteremo a pulizia etnica e repressione, senza alcuna autonomia. Si vedrebbe quello che si è visto quando Mosca ha cercato di indurre Kyiv a  implementare gli accordi di Minsk. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, la popolazione di quei territori continuerebbe a essere oppressa da parte del nazionalismo radicale ucraino. Putin dirà che gli abitanti di Crimea e Donbass dovrebbero esser messi nella posizione di prendere le loro decisioni e che il resto sono solo parole.

Quindi il piano italiano non è accettabile per il Cremlino?

Diciamo che per essere più accettabile dovrebbe prevedere un periodo di transizione, forse sotto un’amministrazione internazionale e con la prospettiva di un referendum dopo un paio d’anni. Questo potrebbe consentire alle popolazioni delle aree in questione di sentirsi più sicure e agli animi di calmarsi. Uno dei problemi è che questo conflitto ha generato tanta animosità e tanto odio, da entrambe le parti. La gente che vive a Donetsk e Luhansk non accetterebbe mai di rimanere sotto la giurisdizione di Kyiv, al momento. Anche se Mosca non interferisse, e certo lo farà, quanto previsto dal piano italiano sarebbe impossibile da implementare. Quindi bisognerebbe dividere il piano stesso in diverse fasi. Sappiamo che l’Ucraina non accetterà alcuna concessione territoriale, almeno per adesso. Ma sarebbe molto difficile restituire queste regioni all’Ucraina oggi. Serve organizzare una transizione durante un periodo relativamente lungo.

Amministrazione internazionale e referenda tra due anni costituirebbero una soluzione accettabile per il Cremlino? Il piano italiano comprende comunque una supervisione internazionale – ha confermato il ministro degli Esteri Di Maio.

Per il Cremlino è importante che la sicurezza delle persone che vivono nelle aree contese sia garantita. E che possano vivere tranquillamente senza essere bombardate da parte dell’Ucraina. Tutto questo certamente richiede un compromesso che non può prevedere l’immediato ritorno sotto la giurisdizione di Kyiv.

Intanto, i ministri della Difesa di Russia e Stati Uniti, e poi i capi di stato maggiore delle forze arme dei due Paesi hanno ripreso a parlare. Significa un ritorno alla diplomazia?

È senz’altro importante perché viene ristabilito il tipo di contatti tra vertici militari che nella storia dei rapporti tra Mosca e Washington sono sempre risultati imprescindibili: hanno spesso evitato incidenti e spesso impedito che le crisi regionali provocassero escalation drammatiche.

Questo dialogo allontana lo scenario di un’escalation nucleare del conflitto in Ucraina?

È un dialogo deve essere assolutamente preservato. E c’è da augurarsi che possa portare a nuovi accordi sugli armamenti nucleari, anche quando le relazioni in generale siano pessime, come succede oggi. Ci sono cose lasciate a metà, in quest’area. Includono l’agenda sul trattato New Start e la sua implementazione (è l’ultimo accordo Usa-Russia sul controllo delle armi nucleari ancora vigente: è stato esteso fino al 2026, ndr. Oltre al controllo dei missili a raggio intermedio (Il trattato Inf che ne eliminava il dispiegamento in Europa è da ritenersi estinto dopo il recesso degli Stati Uniti nel 2019, ndr). Ci sono molte questioni che potrebbero e dovrebbero essere discusse.

E la Russia è pronta a discuterle? 

Al ministero degli Affari Esteri russo (Mid) si sottolinea che questo tipo di contatti erano stati congelati dagli Usa. Che ora hanno fatto questo passo di riprenderli. E la Russia è disposta a continuare le discussioni.

Ma questo basta a far svanire l’incubo atomico?

Purtroppo non è detto, perché nel caso dell’Ucraina l’eventualità di una escalation nucleare riguarderebbe probabilmente ordigni tattici e non strategici. Quindi anche una seria ripresa dei colloqui sulle armi strategiche non impedirebbe automaticamente un’escalation limitata alle armi nucleari tattiche.

Quest’ultima ipotesi è realistica?

Sono preoccupato perché vedo che le posizioni di Mosca e Kyiv, anche sulla possibilità di un semplice cessate il fuoco, si stanno allontanando sempre più. Non c’è alcuna convergenza. L’atteggiamento di entrambe le parti sta diventando se possibile più duro. Oggi siamo più lontani da ogni possibilità di accordo di quando lo fossimo un mese fa.

La guerra è in stallo. O comunque l’offensiva russa nel Donbass e nel sud va avanti molto lentamente. Questo non potrebbe convincere il Cremlino che è meglio trattare?

Per capire se ci possa essere o meno una svolta diplomatica, si devono sorvegliare due aree nelle quali può esser raggiunto qualche progresso, se ci sarà la volontà politica di farlo. La prima è il destino dei prigionieri di guerra presi a Mariupol dai russi. Duemila o più combattenti ucraini. Il loro futuro non è chiaro. A Mosca c’è chi sostiene che siano neo-nazisti da mettere in galera con l’accusa di vari crimini. Ma c’è anche una linea di pensiero secondo cui dovrebbero essere invece scambiati con prigionieri di guerra russi. Se si sceglierà questa seconda opzione, ciò potrebbe essere il primo segnale che si vuol tornare a trattare. E poi c’è il dialogo sulla ripresa delle esportazioni ucraine di grano. La posizione del ministero degli Esteri russo è questa: se l’Occidente è davvero preoccupato del deficit globale di grano e di altri prodotti agricoli, non dovrebbe solo chiedere a noi di sbloccare i porti ucraini, ma anche lasciare che la Russia esporti il suo grano e i suoi fertilizzanti. Si tratterebbe di introdurre un alleggerimento delle sanzioni, almeno per un periodo di tempo limitato. In modo di saturare il mercato alimentare mondiale scongiurando carestia e fame. Questa è la posizione russa. Se si raggiungesse un compromesso su questa questione, e sulla questione dei prigionieri di guerra, sarebbe un segnale che si sta andando nella direzione giusta. Altrimenti, vorrebbe dire che la diplomazia è in stallo.

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