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Il Brasile nella violenza: 160 morti al giorno per colpa anche della ‘ndrangheta

La guerra nel Mato Grosso tra bande criminali inviate dalle grandi aziende della regione allo scopo di intimidire e uccidere i piccoli imprenditori agricoli locali. In Brasile ci sono oltre 160 omicidi al giorno. E in queste continue lotte c’entra anche la ‘ndrangheta perché solo la banda che vincerà riuscirà poi a stringere preziose alleanze proprio con la mafia calabrese, che importa tonnellate di cocaina già raffinata dal Brasile.
A cura di Luisa Cornegliani
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Nove  contadini assassinati nella regione del Mato Grosso, in Brasile, otto uomini e una donna ammazzati da bande criminali inviate e pagate dai responsabili delle grandi aziende della regione allo scopo di intimidire e se necessario uccidere i piccoli imprenditori agricoli locali.

E' l'ultima atroce notizia proveniente dal Brasile dove ci sono oltre 160 omicidi al giorno, uno ogni nove minuti. Lo stato sudamericano è il più violento al mondo: è come se ci fosse una guerra. Basti pensare che – dati del 2016 – in Siria, nei primi quattro anni di guerra sono state uccise circa 260 mila persone. Nello stesso periodo, in Brasile, 279 mila.

E' una guerra, però, quella brasiliana, di cui in Europa non arrivano quasi mai notizie. E' una guerra silenziosa che si combatte nelle campagne e nelle città, ma anche nelle carceri e dove c'entra un po' anche la nostrana ‘ndrangheta. Ma andiamo con ordine.

La guerra che si sta combattendo nelle campagne brasiliane è una guerra sporca e ingiusta tra latifondisti avidi e piccoli contadini. I secondi stanno provando a resistere all'avanzata dei primi, che pagano bande criminali per intimidirli e spaventali. A volte, come nei giorni scorsi nello Stato del Mato Grosso, lo scontro finisce nel sangue.  Nelle carceri brasiliane e nelle favelas, invece, si combatte un'altra guerra, tra bande criminali che si contendono la supremazia per il controllo del mercato della cocaina. E in queste continue lotte c'entra un po' anche la ‘ndrangheta perché solo la banda che vincerà, riuscirà poi a stringere preziose alleanze proprio con la ‘ndrangheta, che importa tonnellate di cocaina già raffinata dal Brasile. La mafia calabrese si è rivolta al Brasile da quando le Farc, i guerriglieri colombiani che controllano la produzione e lo smercio di cocaina, hanno subìto duri colpi grazie all'azione congiunta della polizia americana e di quella colombiana.

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I cadaveri squartati nella prigione di Manaus.
Il Procratore Nicola Gratteri.
Il Procratore Nicola Gratteri.

IL VIAGGIO DELLA COCAINA. La cocaina viene prodotta in Bolivia, Colombia e Perù. Un tempo le Farc spedivano la droga dai loro porti, come quello di Turbo, oggi supercontrollati. Quindi, ci si è rivolti al vicino Brasile. Qui arriva una quantità molto rilevante di cocaina pura che viene raffinata nelle zone rurali o nella foresta e poi viene portata nelle favelas di San Paolo e di Rio de Janeiro, dove viene confezionata e dove vivono i narcos.

Quindi "la polvere bianca" finisce, in parte, nel commercio locale – il Brasile è un grande consumatore di crac – e, in parte, nei porti per essere  spedita in Europa. Uno dei preferiti dalla ‘ndrangheta è il porto di Santos: da qui la cocaina arriva in Italia, al porto di Gioia Tauro, ma anche a Genova o a Napoli, attraverso una triangolazione con gli scali di Spagna e Olanda. In Brasile, come in Italia, la criminalità ha uomini fidati che pagano profumatamente i funzionari dei porti perché non controllino i container giusti, quelli cioè che trasportano i preziosi panetti. Nicola Gratteri, il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, conferma il predominio della ‘ndragheta in Brasile e in generale in Sudamerica nel mercato della droga. Dice a Fanpage: “La cocaina viene prodotta in Bolivia e in Colombia, il Brasile è solamente un luogo di transito perché i porti della Colombia sono molto controllati. La ‘ndrangheta fa spesso partire imponenti carichi di cocaina dal porto di Santos, che è forse il porto più utilizzato. Quindi, le bande criminali brasiliane sono specializzate nel trasporto e nella spedizione della cocaina e inevitabilmente hanno contatti con la ‘ndragheta, limitati al transito della droga. Sono loro a garantire le spedizioni”.

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Il Porto di Santos, in Brasile, da cui partono tonnellate di cocaina dirette a Gioia Tauro.

Nel 2014 nell'operazione “Oversea”, magistrati brasiliani e italiani avevano individuato il referente italiano dei traffici tra ‘ndrangheta e bande brasiliane: Antonio Femia, 39 anni, detto Scarface o El Rey, che trattava con i trafficanti e corrompeva i funzionari dei porti italiani. Femia, dopo il suo arresto, è diventato un pentito e ha svelato parecchi segreti, ma le nuove inchieste della Dda dimostrano che poco è cambiato. La ‘ndrangheta ha semplicemente trovato nuovi referenti. Nel frattempo, però, indebolendosi le Farc in Colombia, le alleanze tra le varie bande criminali in Brasile si sono rotte, proprio in vista di nuovi guadagni e nuove alleanze, anche con la ‘ndrangheta. In particolare, la battaglie più cruente le stanno combattendo gli uomini del Pcc, il Primeiro comando da Capital, dell'Fdn, la familia do Norte, e del Cv, Comando Vermelho. Che cosa sono queste bande criminali? Walter Maierovitch, magistrato brasiliano e presidente dell'Istituto italo-brasiliano Giovanni Falcone,  sostiene che siano sempre più simili ai loro potenti alleati, ossia la mafia italiana. Del resto il fondatore del Pcc, Mizael Aparecido da Silva, nel 1993 vantava  tra i suoi migliori amici i fratelli camorristi Bruno e Renato Torsi, conosciuti in prigione: non solo concludevano affari, ma il brasiliano imparava anche a farne seguendo i consigli dei boss. Il Pcc ha circa 8mila affiliati, di cui 6mila in carcere, tra cui i boss, e 1.200 in libertà. Nelle carceri fanno ciò che vogliono: gestiscono i loro traffici, hanno telefoni, computer e  armi. Ecco spiegato perché le violenze peggiori stanno avvenendo in carcere…  Nel penitenziario di Anìsio Jobim di Manaus, nel nord del Brasile, guarda caso vicino alla Colombia, il primo gennaio 2017 si sono contati 60 detenuti assassinati, la maggior parte dei quali decapitati.

I cadaveri dei detenuti squartati: le fotografie sono state spedite dagli stessi rivoltosi ai giornalisti.
I cadaveri dei detenuti squartati: le fotografie sono state spedite dagli stessi rivoltosi ai giornalisti.

A catena altre rivolte sono scoppiate in altre carceri, con decine di vittime squartate. Non è un caso che dopo le rivolte, i detenuti abbiano mandato le foto dei cadaveri decapitati via whatsapp fuori dal carcere, ai giornali. La fazione vincente inviava messaggi precisi che hanno raggiunto i loro destinatari, anche ben oltre i confini brasiliani, direttamente in Colombia e in Italia, a Limbadi e Gioia Tauro dove operano i clan dei Pesce, dei Piromalli, dei Mancuso, dei Brandimarte, dei Bellocco. Ovviamente, la guerra tra bande potrebbe finire anche in una carneficina senza vincitori, perché dall'altra parte ci sono mafie potentissime che non tollerano inefficienze ed errori. Per il momento, comunque, sembra che ad avere la meglio sia stato il Pcc, storico alleato dell'Ndrangheta nel supporto locale al transito della droga.

Alberto Baroli, manager ucciso in Brasile
Alberto Baroli, manager ucciso in Brasile

LA VIOLENZA ESPLODE, CRIMINALI SENZA CONTROLLO Con le grandi bande criminali impegnate in altre battaglie, i piccoli criminali, drogati e affamati, fanno quel che vogliono nelle città, non più controllati da nessuno, ed è cresciuto anche il tasso di crimini, anche efferati, per le strade. Quest'esplosione di violenza ha fatto anche vittime italiane: Roberto Bardella, 52 anni,  il motociclista entrato a dicembre nella favela  di Rio De Janeiro in moto e ammazzato perché scambiato per un poliziotto, e il manager milanese Alberto Baroli, 51 anni, assassinato nella sua villa  durante una cruenta rapina. Ma che fa il governo brasiliano?  Non sembra fare nulla o non poter far nulla con il suo presidente, Michel  Temer, coinvolto in un caso di tangenti e contestato da migliaia di brasiliani scesi in strada a protestare. Alexandre de Moraes, il ministro della Giustizia, prima di ricoprire questo ruolo, faceva l'avvocato e tra i suoi clienti figuravano diversi boss del Primeiro comando da Capital.

Nicola Gratteri, il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, una soluzione, quanto meno per il traffico di cocaina e tutte le violenze e i reati ad esso connessi, ce l'avrebbe: "Dovrebbe intervenire l’ONU: dovrebbe intervenire sugli stati di Colombia, Bolivia e Perù, che sono gli unici tre stati al mondo dove si produce la cocaina, perché obblighino i produttori a riconvertire le colture. Ma questa è purtroppo solo utopia perché l’ONU non ha la forza”. Intanto, i magistrati brasiliani pensano di chiedere aiuto proprio a lui e agli altri giudici anti-mafia, per fermare l'avanzata delle bande criminali: stanno pensando di istituire il carcere duro, sul modello del nostro 41-bis,  per isolare i boss dai loro gregari, e di introdurre l'ergastolo, che in Brasile non c'è.

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