Il boss della Nike Larry Miller e quel segreto tenuto nascosto per 60 anni: “Ho ucciso un ragazzo”
Da grande ha inventato il celebre modello di scarpe Air Jordan, ma da ragazzino, il manager della Nike, Larry Miller, ha commesso un omicidio, frutto di una guerra tra bande in America. "Mi stavo logorando dentro", ha raccontato solo adesso.
È un manager di successo, è il presidente del marchio Jordan e oggi ha 72 anni Larry Miller. Alla vigilia della presentazione del suo libro in cui racconta della sua vita, ha confessato l’inaspettato: quando aveva 16 anni e viveva ancora a Filadelfia, faceva parte di una una gang e una sera, da ubriaco ha sparato e ucciso un coetaneo. Quella sera Miller aveva bevuto un po’ troppo e senza pensarci, impugnò una calibro 38 che aveva acquistato poco prima dalla fidanzata e la rivolse contro un passante, un malcapitato, uno che non aveva nessuna colpa, né un ruolo nella guerra tra bande in quel momento. Un Edward White qualsiasi. Era il 30 settembre 1965.
“Non c’era nessuna ragione valida perché succedesse – ha dichiarato il manager della Nike – penso a quello che ho fatto ogni giorno”. Per l’omicidio del ragazzo a Filadelfia, Larry Miller è stato arrestato e condannato a 14 anni di carcere. Uscito di prigione ha deciso che di quella brutta storia nessuno doveva sapere. Aveva 30 anni ormai, quando si è messo a studiare. Ha preso una laurea alla Temple University e ha iniziato la scalata verso il successo. Multinazionali e milioni di dollari hanno iniziato a entrare e uscire dalla sua vita, ma ogni collega o amico che ha incontrato, non ha mai saputo del passato criminale di Larry Miller. A sua discolpa l’uomo ha dichiarato che non mentiva, ometteva semplicemente di dirlo.
“Mi stavo logorando dentro”, ha ammesso l’omicida ed è questo il motivo per il quale oggi conosciamo questa storia. Non ce l’ha fatta più a tenere un segreto così pesante, così importante e ha parlato Miller. Dopo anni di incubi frequenti e di mal di testa fortissimi, consultandosi anche con i suoi medici, ha capito che avrebbe dovuto liberarsi del suo passato e per farlo doveva raccontarlo a tutti. Quindi ha iniziato informando prima le alte sfere della Nike, poi Michael Jordan, l’NBA e infine tutti gli altri. “È una storia di seconde opportunità”, ha dichiarato un portavoce della Nike, che, parlando a nome dell’azienda che rappresenta, ha aggiunto di appoggiare chi sostiene il reinserimento dei detenuti nella società.