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Talebani a Kabul: le ultime news sull'Afghanistan

Ieri a Kabul è morto l’Occidente: e oggi non ci resta che accogliere

La riconquista di Kabul da parte dei Taliban è la peggior sconfitta dell’Occidente. E non è che l’ultima promessa non mantenuta di un’utopia perdente che doveva cambiare il mondo, e che invece è stata sconfitta dalla Storia. Ora Europa e Usa hanno solo una strada per rinascere: accogliere chi sta male e farsi carico dei disastri che hanno combinato in giro per il mondo. Altrimenti, davvero, l’Afghanistan sarà la nostra tomba. Come aveva predetto Bin Laden vent’anni fa.
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I Taliban che entrano a Kabul quindici giorni prima del definitivo ritiro dell’esercito americano. L’esercito afghano, addestrato per vent’anni dalla Nato che se la dà a gambe verso l’Iran senza sparare un colpo. Gli aerei occidentali che se ne vanno lasciando a Kabul e al loro destino e alla vendetta dei Taliban le donne e gli uomini afghani che per anni li avevano aiutati a costruire uno Stato laico. Buon ultimo, il discorso del presidente americano Joe Biden che ammette candidamente che tutto questo non valeva nemmeno una goccia di sangue americano. A cui si è aggiunto, se possibile ancora peggiore, l’imbarazzante silenzio europeo.

Difficile immaginare una disfatta peggiore, per l’Occidente che solo vent’anni fa, si era erto dalle macerie delle Torri Gemelle forte della sua superiorità, della sua egemonia culturale liberal-democratica da esportare a suon di globalizzazione e bombe, della sua retorica sull’universalità dei diritti umani. A vent’anni di distanza, dopo vent’anni di fallimenti, la Storia ha completato il suo giro ed è tornata dove tutto era cominciato, in quel pezzo di terra antimoderno e tribale che, ancora una volta, è stato la tomba di un’utopia perdente.

La sconfitta dell’Occidente si è consumata a Kabul, ma parte da molto più lontano. Dal disastro in Iraq, che ha generato l’Isis. Dalle primavere arabe che abbiamo scatenato e che non siamo riusciti a sostenere. Dai milioni di profughi siriani a cui prima abbiamo aperto le porte, commossi dal cadavere di un bambino riverso al suolo sulla spiaggia di Bodrum, e poi le abbiamo chiuse in faccia, lasciandoli nelle mani di Erdogan. Dalla vittoria di Trump e di tutte le destre sull’onda emotiva della paura del povero e del diverso. Dai muri in Messico e dai porti chiusi in Sicilia. Dall’incapacità di andare oltre il Trattato di Dublino in Europa. Dall’egoismo sui vaccini anti Covid, tutti per noi e nessuno per il resto del mondo. La resa di Kabul, a ben vedere, è solo l’ultima naturale conseguenza.

È una resa che avrà parecchie conseguenze geopolitiche, quella dell’Occidente. Perché i grandi vincitori della riconquista talebana dell’Afghanistan non stanno certo a Washington o a Bruxelles, ma al contrario stanno a Doha, a Mosca e soprattutto a Pechino, con Kabul che non è che l’ultima capitale del mondo in via di sviluppo passata sotto la sfera d’influenza cinese, dopo il sud est asiatico e l’Africa orientale. Facile immaginare che dall’Afghanistan, passeranno presto le autostrade e le ferrovie della nuova via della Seta. Facile immaginare chi reggerà le sorti di quel pezzo di mondo, mentre l’Occidente si richiude impaurito su se stesso.

Ciliegina sulla torta. Più ci ritiriamo in noi stessi, più veniamo meno alle promesse, più il resto del mondo ci odierà, più il risentimento anti-occidentale – che sobbolle dopo secoli di colonialismo e di sfruttamento – non troverà argini. E sì, probabilmente, la resa di Kabul rischia di essere il detonatore di una nuova stagione di attentati sul suolo europeo e americano. Che acuiranno la paura dell’Occidente, soffiando sul fuoco delle ideologie più regressive e illiberali. Volevamo cambiare il mondo a nostra immagine e somiglianza, ma è il mondo che finirà per cambiarci.

Di fronte, a ben vedere, abbiamo un’unica via d’uscita. Quella di fare finalmente ciò che il resto del mondo si aspetta da noi. Accogliere chi ha bisogno, nel nome dei nostri valori, venga esso dall’Afghanistan, dal Tigray etiope, dalla Siria o dal Sahel o dalla Libia. Farci carico della pandemia di Covid dove c’è carenza di vaccini e cure, rinunciando alle nostre terze o quarte dosi affinché in Africa o in Medio Oriente abbiano almeno una prima copertura contro un virus che là muta e uccide infinitamente più che da noi. Impegnarci seriamente contro il cambiamento climatico, sobbarcandoci buona parte dei costi per arrivare rapidamente a un mondo a emissioni zero. In altre parole, fare davvero tutto quel che per decenni abbiamo promesso di fare come scusa per arricchirci e dominare, e rimediare ai disastri che abbiamo combinato in giro per il mondo. Solo così, a partire da oggi, l’Occidente può rinascere. Altrimenti l’Afghanistan sarà la nostra tomba. Come aveva predetto Bin Laden, vent’anni fa.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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