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Opinioni

I tre dilemmi senza risposta che allontanano la pace tra Russia e Ucraina

Quanto siamo disposti a pagare per indebolire la Russia? Quanto siamo disposti a far durare la guerra per aiutare Zelensky? E quanto siamo disposti a concedere a Putin, prima di intervenire? Tre domande dalla risposta impossibile, che paralizzano l’Occidente.
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A distanza di oltre un mese dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, possiamo confessarlo: non sappiamo come se ne possa uscire. Certo, sappiamo chi è l’invasore e chi è l’invaso, chi è la vittima e chi il carnefice.  E sappiamo pure, al netto di ogni sfumatura della geopolitica, che i crimini di guerra rimangono tali, i criminali pure. Ma no, nonostante questo, non sappiamo come uscirne.

Più concretamente, non sappiamo come venire a capo di almeno tre dilemmi senza risposta, nei quali ogni scelta è gravida di conseguenze e minacce tali da paralizzare ogni processo decisionale e a spaccare in due le opinioni pubbliche, soprattutto quelle Occidentali. La forza di Putin, a ben vedere, sta proprio nella difficoltà di Usa ed Europa nel venire a capo di questi tre dilemmi, ancor di più in un orizzonte temporale di medio periodo.

Il primo dilemma riguarda le sanzioni: quanto siamo disposti a perdere, pur di indebolire la Russia? Sappiamo quanto l’Europa sia dipendente dal gas russo, ad esempio. E sappiamo bene, qua in Italia, quanto il prezzo dell’energia sia una componente fondamentale dei costi e della competitività dei nostri prodotti. Sappiamo anche, e bene, che dall’Ucraina e dalla Russia arrivano ingenti quantità di grano, e di fertilizzanti, di prodotti e semilavorati chimici. E sappiamo bene quanta ricchezza i portafogli degli oligarchi e dei miliardari russi abbiano portato al nostro turismo e alla nostra industria del lusso.

Sappiamo bene, insomma, come la nostra economia sia talmente interconnessa a quella russa da dover pagare pure noi, e a un prezzo molto salato, le sanzioni che imponiamo a Putin, ai suoi oligarchi e al suo popolo. È un prezzo che siamo disposti a pagare, dopo due anni di recessione da Covid, con un debito pubblico stellare e un mondo imprenditoriale più morto che vivo? Dopo tre settimane, la risposta può anche essere affermativa: ma se le sanzioni e le tensioni con Putin durassero mesi, o anni? E se il dissenso esplodesse prima da noi che a Mosca? Putin è in grado di silenziarlo con la forza e con la censura. Noi molto meno.

Il secondo dilemma è ancora più delicato riguarda l’invio delle armi alla resistenza ucraina: quanto siamo disposti a far proseguire la guerra, per aiutare l’Ucraina a trattare da una posizione di forza? Conosciamo le alternative: più armi inviamo a Kiev, più è probabile che la guerra continui, e più l’Ucraina diventa un pantano per il regime di Mosca, più Zelensky i suoi acquisiscono forza nei negoziati di pace. Il problema è che più armi ci sono in circolazione, più l’intensità del conflitto è destinata ad aumentare, e più Putin si trova in difficoltà, più sarà brutale la sua risposta contro la popolazione civile. Il massacro di Mariupol è lì a dimostrarlo, del resto.

Siamo disposti a tutto questo pur di aiutare la resistenza ucraina, come del resto ci chiede il governo di Kiev? Oppure preferiamo un cessate il fuoco immediato, che preservi gli ucraini dall’uso di bombe a grappolo, missili ipersonici e magari pure dalle armi tattiche nucleari dando tuttavia a Putin la possibilità di trattare forte delle sue attuali conquiste territoriali in Ucraina?

Il terzo dilemma riguarda l’allargamento del conflitto: siamo disposti a tirare una linea oltre cui la Russia non potrà andare? Oggi come oggi, la Nato si è dimostrata risoluto nell’evitare di intervenire militarmente nel conflitto, o anche solo di porre condizioni come la no fly zone sui cieli dell’Ucraina che rendano inevitabile tale intervento.

Ma se un missile di Putin dovesse colpire un Paese dell’Alleanza atlantica? O se ci fosse un “incidente” in una delle tanti centrali nucleari dell’Ucraina? O se Putin decidesse di usare armi chimiche – o peggio ancora un’arma atomica – per annichilire la resistenza di Kiev? Cosa succederebbe, in quel caso? Moriremo per Danzica, come nel 1938? Oppure cercheremmo ancora, in ogni modo, di non farci trascinare in un nuovo conflitto mondiale? E ancora: quand’anche Putin e Zelensky dovessero trovare un accordo, saremo disposti a dimenticarci quel che è successo? O, come dice il presidente Usa Joe Biden, Putin “il macellaio” non potrà rimanere al suo posto? E cosa significa tutto questo, esattamente?

Forse qualcuno un’idea, e qualche risposta ce l’ha. Noi, sinceramente, no.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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