I talebani vietano alle donne afghane di ascoltare le proprie voci. Le attiviste: “Non ci silenzieranno”
Altra stretta alle libertà delle donne afghane. Con un decreto ad hoc il governo talebano proibisce il canto e le preghiere ad alta voce l'una vicino all'altra. Un'implementazione al divieto alla popolazione femminile di far sentire in pubblico le proprie voci, parte dell'ampia legge formalizzata ad agosto dal ministero per la Promozione della virtù e la Prevenzione del vizio.
L'annuncio è arrivato pochi giorni fa per bocca del ministro del dicastero, Khalid Hanafi. Come riporta Amu Tv, canale di notizie afghano con sede in Virginia, le sue parole hanno messo un paletto assai definito: le donne devono evitare di recitare il Corano in modo udibile quando sono circondate da altre donne. Così come non è permesso loro cantare.
Sottolineando che queste regole sono "nuove – mette in chiaro The Daily Telegraph – e saranno implementate gradualmente, e Dio ci aiuterà a farlo". Un altro colpo ai diritti delle donne assestato dai taleban, ormai da agosto del 2021 saldi al potere dell'Afghanistan.
Negli ultimi tre anni le restrizioni non sono mancate. E da fine agosto 2024 molte sono state recuperate e convertite in normative che mescolano legalità e moralità, tipo l'adozione del velo integrale o dell'hijab per le donne e la necessità di farsi crescere la barba per gli uomini, finite sotto l'ombrello della legge per la Propagazione della Virtù e la Prevenzione del Vizio, approvata dal leader supremo Hibatullah Akhundzada.
All'interno di questo pacchetto ci sono pure altre imposizioni alle donne come quelle di coprirsi il volto e il corpo fuori casa per evitare di "indurre in tentazione", di far sentire in pubblico le voci e la pubblicazione sui media di fotografie che le immortalino. Immediate le condanne delle Nazioni Unite, in particolare di Roza Otunbayeva, rappresentante dell'Onu per l'Afghanistan, che le ha definite "intollerabili".
Anche le attiviste per i diritti delle donne in Afghanistan hanno alzato la voce, parlando di "apartheid di genere". "Le donne non verranno silenziate", sottolinea su X Zubaida Akbar. Ma il timore che questo tipo di reclusione "venga codificato come un crimine e applicato" c'è. Come spiega The Guardian, se così fosse, "gli Stati sarebbero teoricamente obbligati ad agire per sostenere l'integrità delle leggi internazionali". Comportando, di conseguenza, una pressione su altri paesi in modo che venga concesso asilo alle donne afghane.
A settembre, peraltro, l'assemblea generale dell'Onu ha comunicato l'avvio di una causa nei confronti dei talebani di fronte alla Corte internazionale di giustizia. A impugnarla sono state Canada, Australia, Germania e Olanda in ragione delle discriminazioni di genere portate avanti dal governo di Kabul, che dovrà rispondere entro sei mesi prima di arrivare all'udienza.
La contestazione di fondo è la ratifica della Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne da parte dell'Afghanistan nel 2003. Convenzione che rappresenta uno strumento ricco di misure per contrastare le discriminazione, adottato dalla stessa assemblea generale dell'Onu nel 1979 e in vigore dal 1981.
“La condizione delle donne afghane dopo il ritorno al potere dei talebani è diventata critica e caotica. Il punto è che ai talebani fanno paura le donne che alzano la voce”, conclude Shakiba, attivista della Revolutionary Association of the Women of Afghanistan, un'organizzazione nata nel 1977 su volontà di Meena Keshwar Kamal, figura di rilievo nella promozione dei diritti delle donne affiancata all'indipendenza del paese, allora occupato dall’Unione Sovietica.