La guerra pesa sul morale dei russi. Temono nuove mobilitazioni e che il Paese sia in un vicolo cieco. Non riescono a immaginare il futuro. La maggioranza vuole la pace. È quanto emerge dagli studi sull’opinione pubblica condotti in novembre dal centro statistico Levada, anticipa a Fanpage.it il sociologo responsabile della ricerca. Se Vladimir Putin ricorresse ancora alla coscrizione obbligatoria — e ci sono indizi che lo farà — potrebbe alienarsi la popolazione. Soprattutto le donne.
Senza un domani
"La gente non vede come la Russia potrà uscire dalla situazione in cui si è messa in Ucraina, e ritiene che neanche al Cremlino lo sappiano", spiega al telefono da Mosca Alexey Levinson, capo del dipartimento Ricerche socio-culturali dell’istituto di sondaggi. Il Centro Levada è indipendente dal governo, che lo ha dichiarato "agente straniero" ma si guarda bene dal chiuderlo: i sondaggi indipendenti servono anche a Putin. Nella scorsa settimana, Levinson ha condotto una serie di focus group in diverse città. Condivide con noi le sue osservazioni: "La cosa che preoccupa i russi è la mancanza di comprensione del possibile esito di tutto questo", nota il sociologo. “Non riescono a raffigurarsi un futuro, un ‘dopo’. Non si capisce quali siano gli obiettivi della guerra. Così aumentano sempre più le persone favorevoli a negoziati di pace”.
Si rafforza quindi la tendenza rilevata in ottobre, quando già il 57% degli intervistati era a favore della trattativa. I dati raccolti nell’ultimo mese sono in fase di elaborazione e verranno pubblicati solo nei prossimi giorni. Ma registreranno con ogni probabilità un ulteriore aumento dei "pacifisti". "Sono soprattutto le donne che vogliono la fine del conflitto", rivela intanto Levinson. "È un fatto importante: la parte femminile della società è ora leader del ‘partito della pace’". Che non è un vero partito né è necessariamente contro Putin ma, almeno al momento, è in evidente disaccordo con lui sul da farsi in Ucraina.
Il "partito" delle donne
Il movimento "Resistenza femminista contro la guerra", insieme a un gruppo di iniziativa di madri dei soldati mobilitati tra settembre e ottobre, ha appena pubblicato una lettera aperta che chiede la fine delle ostilità e la ritirata delle truppe russe dal territorio ucraino. Il documento è indirizzato ai parlamentari della Duma e del Consiglio della Federazione. Contiene anche un appello per l’adozione di leggi contro la violenza domestica. Oltre 32,500 vittime l’anno, secondo dati di Statista. Ma in Russia, a meno che le lesioni non siano gravi, picchiare ogni tanto la moglie non è un reato: Putin lo ha depenalizzato nel 2017.
L’attivismo delle donne contro la guerra si è intensificato, nelle ultime settimane. Si sono costituiti comitati di mamme e mogli dei coscritti, per rivendicare quantomeno i diritti di chi è stato spedito sui fronti ucraini senza neanche un addestramento e un equipaggiamento adeguati. Hanno chiesto più volte di incontrare il presidente.
La pagina del più insistente e critico di questi comitati su VKontakte, il Facebook made in Russia, è stata bloccata dalle autorità. Ma il presidente un gruppo di madri di soldati alla fine lo ha ricevuto. Una farsa: erano tutte dame dell’alta società putiniana, ha scoperto il canale Telegram Mozhem Obyasnit. Gente che nemmeno sotto tortura farebbe mai una domanda scomoda allo zar.
“È tuttavia un segnale importante, chiunque fossero quelle signore: per la prima volta il leader del Cremlino ha riconosciuto che c’è qualcosa che non va”, dice Alexey Levinson. “E che i problemi legati al conflitto in corso sono socialmente sensibili, perché stanno toccando i sentimenti di molte persone”.
La rivolta può attendere
Le madri dei soldati in passato hanno avuto un ruolo importante nel contrastare le avventure belliche di Mosca. Negli anni ’80 furono le prime a opporsi alla guerra in Afghanistan. Durante la prima guerra cecena, alla metà degli anni ’90, furono protagoniste di azioni di protesta clamorose diventando il simbolo dell’opposizione pubblica al conflitto, tra i principali motivi che convinsero Boris Yeltsin, il presidente di allora, a dichiarare il cessate il fuoco e a firmare poi un trattato di pace.
Nella Russia di Putin, però, non c’è da aspettarsi alcunché di simile, secondo Levinson. “La realtà sociale è completamente diversa rispetto a quella dei tempi di Gorbachev o di Yeltsin. La repressione del dissenso e la pressione dei servizi di sicurezza e della polizia hanno colpito la propensione a protestare. È già molto che nei sondaggi oggi si possa anche solo pronunciare la parola ‘pace’: nei primi mesi della ‘operazione speciale’ in Ucraina era proibita”. Inoltre, aggiunge il sociologo, adesso a criticare il Cremlino non sono tanto le mamme quanto le mogli dei coscritti: "Ed è una circostanza ricca di conseguenze, perché la madre nella cultura russa gode di un prestigio che la moglie non ha". Meno influenza sulla società, quindi. D’altra parte, l’età più giovane delle potenziali "nemiche" del regime e la loro maggior presenza nelle attività lavorative potrebbero nel lungo termine creare non pochi fastidi al presidente.
Verso una nuova mobilitazione
Fatto sta che anche un nuovo richiamo alle armi probabilmente non provocherebbe rivolte. A Mosca tutti se lo aspettano. La mobilitazione parziale proclamata a fine settembre è stata dichiarata conclusa ma il decreto che la istituiva non è mai stato annullato. Ci sarà pure un motivo. Intanto, è stata annunciata una riorganizzazione degli uffici di leva. Potranno contare su un database elettronico unico dei possibili coscritti, con informazioni particolareggiate su ognuno. Numeri di telefono e indirizzi e-mail compresi. Lo scopo è quello di evitare che si ripeta il caos verificatosi con la prima mandata di reclutati, quando sono state richiamate persone disabili e sono sfuggiti alla cartolina molti degli effettivamente arruolabili.
Le ragioni per mandare altri ragazzi russi a morire ci sono tutte, dal punto di vista del Cremlino: fonti militari e dei servizi segreti hanno raccontato al sito di notizie Important Stories che il governo prevede 100mila perdite entro l’estate tra gli ultimi mobilitati. E che intende rimpiazzare i caduti e i feriti con 120mila reclute. Putin non abbandona l’obiettivo di prendere Kyiv ed è pronto a combattere per anni, dicono le stesse fonti.
Secondo lo Stato maggiore delle forze armate ucraine, una "mobilitazione nascosta inizierà" già dal prossimo 10 dicembre, in Russia. L’impatto sociale sarebbe drammatico. "Prima della mobilitazione di fine settembre i cittadini, sottoposti a una martellante propaganda secondo cui tutto andava bene, erano rimasti praticamente indifferenti alla guerra in Ucraina", ricorda Alexey Levinson. Poi, tutto è cambiato.
"La mobilitazione ha portato la guerra nelle case. È stata una sveglia per tutti, non solo per i richiamati e per le loro famiglie. Ed è già costata una catastrofe nazionale, con centinaia di migliaia di giovani che son scappati all’estero lasciando indietro i loro cari".
Il futuro di Putin
Alla mancanza di una prospettiva chiara sul loro futuro i russi sono allenati. "Il regime attuale è sempre stato silente rispetto al futuro, non per qualche arcano motivo di segretezza ma proprio perché non ne ha alcuna idea", argomenta Levinson.
Durante la preparazione di questa guerra e ancor più dopo l’invasione, Putin ha creato per il suo Paese una sorta di ideologia fondata sui cosiddetti valori tradizionali, sulla contrapposizione all’Occidente e su un imperialismo volutamente malcelato. Ricorrendo ai miti della Storia patria, e quindi al passato, si vogliono stimolare le coscienze e compensare la mancanza di chiarezza sul futuro. La guerra, intanto, serve a stringere la gente intorno alla bandiera.
Il sistema creato nel corso degli ultimi vent’anni da autoritario sta trasformandosi in totalitario e quindi — dicono i politologi — necessita della mobilitazione delle masse per autoconsevarsi. Non bastano più l’apatia e l’indifferenza.
Il sovrano chiama i cittadini a un impegno attivo. Niente più della mobilitazione militare può rappresentare questo impegno. La ricerca di Levada indica però che la mobilitazione militare per i russi è solo "uno shock tremendo che alimenta il pessimismo", riferisce Levinson. Altro che entusiasmi totalitari.
La prosecuzione della guerra e l’invio di nuova carne da macello sui fronti ucraini — se avverrà — non porterà forse a una Rivoluzione russa del terzo millennio. Ma sulla società avrà conseguenze opposte a quelle cercate dal presidente. Allontanando sempre più le coscienze dei cittadini dalle torri del Cremlino. Con effetti che a lungo andare potrebbero diventare fatali, per il totalitarismo ibrido di Vladimir Putin.
Giornalista e broadcaster. Corrispondente da Mosca a mezzo servizio (L'Espresso, Lettera 43 e altri - prima di Fanpage). Quindici anni tra Londra e New York con Bloomberg News e Bloomberg Tv, che mi inviano a una serie infinita di G8, Consigli europei e Opec meeting, e mi fanno dirigere il servizio italiano. Da giovane studio la politica internazionale, poi mi occupo di mostri e della peggio nera per tivù e quotidiani locali toscani, mi auto-invio nella Bosnia in guerra e durante un periodo faccio un po' di tutto per l'Ansa di Firenze. Grande chitarrista jazz incompreso.