I musulmani solidali che salvano i cristiani. E mancano le parole per scriverlo
Se fosse davvero il Giubileo, anche della stampa, starebbe scritto a caratteri cubitali sopra le insegne elettroniche dei grandi magazzini pieni di gente prenatalizia, andrebbe scritto sui volantini delle offerte degli ultimi giorni, declamato alle autoradio sintonizzate in coda in tangenziale, corso di bocca in bocca durante l'aperitivo e stampato sui diari degli alunni come compito delle vacanze: in Kenya, al confine con la Somalia, durante un attacco degli jihadisti i musulmani si rifiutano di «dividersi» tra fedeli e infedeli (ovvero musulmani e cattolici secondo la malata visione terrorista) e mettono in crisi gli attentatori. Qualche minuto di indecisione e poi la fuga: tutti salvi, tutti fratelli, se non ci si divide si diventa inevitabilmente forti. E tanti. Molti di più dei cattivi.
Ecco che all'improvviso, mentre intorno sale la bava dei Salvini di tutte le lingue d'Europa, si scopre che la solidarietà non è un vezzo ma semplicemente il più fantasioso, potente e umano schieramento di difesa. Se l'uomo non si divide significa, in fondo, che non accetta la logica bellica e quindi non gioca al loro gioco, rifiuta le regole del terrore: rimane compatto di fronte ad una minoranza che ha bisogno di divisioni per trovare lo spazio dove sopravvivere. Cosa è successo in Kenya? L'uomo ha fatto "l'uomo tra gli uomini", senza accettare le differenze invocate dai miopi, dagli astiosi, dagli agitatori per vocazione che hanno bisogno di un nemico per sentirsi vivi, che vogliono un contrapposto per sentirsi liberi perché non si bastano.
Dico, provate a pensare a Salvini, su quel pullman. Pensate a Salvini o a chiunque altro che in questi ultimi mesi si è vestito da centurione difensore di un'italianità che esiste solo per spot. Vedetelo mentre quelli dell'Isis chiedono chi sia cristiano e chi musulmano. Immaginatelo con la manina alzata come il bambino con la maestra mentre gli scoppia la vescica ad annunciare baldanzoso e presuntuoso che lui sì, lui è cristiano e i musulmani sono "brutti, sporchi e cattivi". Quell'autobus è la fotografia di ciò che è giusto ma anche, banalmente per i concreti più basilari, ciò che è più conveniente.
Le divisioni sono il gioco barbaro di chi vuole inventarsi una guerra per legittimarsi a farla e, anche se sembra assurdo, gli integralisti di qualsiasi specie sono il lievito del terrorismo. I musulmani che salvano i cristiani è una notizia falsa; esiste sono nelle nostre teste bacate di razzomani (se non addirittura razzisti) che giocano alla divisione della specie. «Uomini si salvano»: dovrebbe intitolarsi così la notizia che è già bella e pronta per rappresentare il natale come rinascita ogni volta di una nostra miopia gretta, limitata, insensibile e ogni volta smentita dalla grandezza della storia e degli uomini.
Fra vent'anni quel pullman forse, se scritto bene e tenuto a memoria, sarà la donna nera che si rifiuta di alzarsi per lasciare il posto al passeggero bianco, sarà il civilissimo che salva qualche bambino ebreo o forse sarà la voce moderna di un messia qualunque che parli di uguaglianza, amore e bellezza. Quel pullman in Kenya è il più alto atto politico in mezzo a questo grumo di professionisti della retorica e della mediazione che cercano di dirci che è male ma non troppo, cattivo ma non troppo che hanno bisogno gli altri ma anche noi abbiamo bisogno oppure che in fondo la bontà è solo una debolezza.
Trenta euro al giorno ai passeggeri di quel bus sarebbero da spendere per i prossimi vent'anni e chiedergli in cambio di andare nelle nostre scuole ad estirpare quest'ortica di paura elementare e bieca, tutta risentimento ed ignoranza e buona per la carneficina degli editoriali.
Forse la notizia è falsa, però, dice qualcuno. E va bene: allora è la storia più bella che si potrebbe raccontare sotto le feste.