Lo scopo ultimo del tragico attacco ma anche il modo con il quale l’Ucraina è stata invasa il 24 febbraio scorso, hanno partorito tante discussioni tra esperti e teorie più o meno valide tra vecchi e nuovi geo-strateghi. Ma è necessario mettere in chiaro una cosa: le guerre, anche quelle cosiddette “lampo”, hanno bisogno dei loro tempi. La fase più critica del conflitto in Ucraina si sarebbe forse potuta chiudere in due o tre giorni solo se il presidente Zelensky fosse fuggito e il governo fosse crollato.
A quel punto si sarebbe assistito all’inizio dell’occupazione russa con l’avvio della resistenza ucraina sotto forma di guerriglia. Ma tutto ciò non è avvenuto e la situazione sul terreno è quella che un po’ tutti abbiamo imparato a conoscere: il tentativo fallito di assedio a Kiev e la penetrazione nell’est con attacchi reiterati su Kharkiv dall’esito anch’esso non positivo mentre a sud la situazione, che ha visto le forze russe provenienti dalla Crimea e quelle filo-russe del Donbass occupare quasi tutta la fascia costiera ad esclusione al momento di Odessa chiudendo l’Ucraina in una sorta di enclave terrestre, sembra essersi cristallizzata da qualche settimana. In sintesi, a nord i territori inizialmente conquistati sono tornati nelle mani degli ucraini mentre a sud si avanza ma sinora a fatica.
Colpa dei generali russi che hanno pianificato male e condotto peggio l’operazione? Secondo Putin sì, tanto che è stato alquanto normale per lui trovare dei capri espiatori e silurare, tra gli altri, il generale Serhiy Kisel, che sarebbe stato “sospeso per non essere riuscito a conquistare Karkhiv”, e il vice ammiraglio Igor Osipov, che sarebbe stato “licenziato a seguito dell’affondamento dell’incrociatore Moskva”.
Probabilmente anche il capo di stato maggiore russo, il Gen. Valeriy Gerasimov, non avrebbe più la totale fiducia di Putin ma al momento sembra sia ancora al suo posto.
Nella realtà delle cose quella russa è stata una penetrazione su un fronte troppo ampio (ben 1.500 km. circa) non per un errore operativo da parte dei decisori militari russi (sarebbe stato veramente imperdonabile) ma per una scelta strategica ben precisa ancorché azzardata: indurre il panico nella popolazione e nelle istituzioni e costringere il governo ucraino a capitolare in pochi giorni, o almeno così si sperava.
Come sappiamo, ciò non è avvenuto e pertanto i russi hanno dovuto dapprima, ma senza successo e con non pochi problemi di natura essenzialmente logistica, immettere le seconde schiere e le unità in riserva. Successivamente hanno dovuto riarticolare l’intero dispositivo abbandonando gli sforzi su Kiev e più recentemente su Kharkiv per assicurare una sufficiente gravitazione delle forze nelle aree oggetto di quelle che si considerano a ragione gli obiettivi territoriali minimi di Putin: il Donbass e l’area costiera meridionale dell’Ucraina.
Il tutto naturalmente in funzione delle presumibili richieste russe al tavolo delle trattative che si rifanno verosimilmente al discorso del presidente Putin del 22 febbraio 2022: Ucraina neutrale, Crimea russa, Donbass “libero”.
In realtà il numero dei cosiddetti BTG (Batalonnaja Takticheskaja Gruppa), cioè delle Task Force russe di livello battaglione impiegate è stato sinora di circa 90 su 180 totali teoricamente disponibili nella Federazione russa con un totale di forze, comprese le milizie delle autoproclamate repubbliche di Lugansk e Donetsk, che raggiunge verosimilmente le 150.000 unità. Le forze armate ucraine dovrebbero invece aver ormai raggiunto, tra forze regolari e milizie territoriali, le 200-250.000 unità dislocate però sull’intero territorio nazionale, naturalmente con una maggiore concentrazione nelle aree a contatto con quelle russe dove potrebbero essere presenti circa 150.000 soldati e miliziani. Da questi numeri si può dedurre pertanto un rapporto di forza che solo attualmente è di 1:1, ma con una superiorità qualitativa russa. Divario qualitativo che l’Ucraina tenta di colmare continuando a reclamare materiale di armamento il più possibile moderno all’occidente.
Il rapporto di forza invece a inizio conflitto, stante la eccessiva lunghezza del fronte, era verosimilmente sfavorevole alle forze attaccanti russe la cui superiorità aerea e qualitativa non sembra peraltro essere stata decisiva. Da qui, oltre ad altri fattori come l’ottima performance dell’esercito ucraino (quadri preparati, soldati motivati, piani predisposti) e l’aiuto che si è rivelato fondamentale da parte occidentale (in particolare la presunta “assistenza” all’intelligence ucraina, armi controcarro e sistemi d’arma contraerei moderni ed efficaci), è scaturito il mancato raggiungimento di tutti gli obiettivi iniziali auspicati dalla leadership russa.
Le possibili future mosse dei russi
Alla prima fase dell’attacco “generalizzato” che ha coinvolto quasi la metà dell’intero confine ucraino, parzialmente fallito, è seguita la fase attuale che vede i russi combattere su un fronte molto più ristretto a sud-est e a sud. I BTG russi operano nelle aree di Izyum, per sfondare a sud-est verso Slovyansk, e di Popasna per raggiungere verso nord Severodonetsk e nord-ovest Kramatorsk, allo scopo di prendere il controllo dell’autostrada M3 (E-40) e chiudere così in una sacca i reparti ucraini impegnati sul fronte del Donbass nel saliente di Izyum-Lyman-Severodonetsk-Hirske-Popasna.
C’è da evidenziare che anche in questo quadrante le truppe russe hanno subito pesanti perdite nel tentativo di forzare il fiume Siverskyi Donets ma se la manovra di accerchiamento tra Izyum e Popasna avesse successo il Donbass potrebbe cadere finalmente nelle mani loro e dei separatisti del Donbass. Ma le notizie che pervengono dal fronte ci raccontano di una avanzata che, pur con successi locali, continua ad essere almeno sinora ancora lenta. I russi hanno sicuramente subito perdite pesanti, ma gli ucraini hanno visto le proprie componenti corazzata e aerea quasi completamente distrutte.
Solo i citati aiuti militari occidentali, compresi i carri armati T-72 polacchi, e la loro grandissima motivazione, hanno consentito agli ucraini di continuare a porre in atto una difesa alquanto efficace che potrebbe portare eventualmente a un conflitto di attrito e quindi di lunga durata. Ecco che per i russi potrebbe essere necessario passare alla fase 2.1, cioè vincere in Donbass e nell’area di Odessa nel più breve tempo possibile impiegando possibilmente nuovi micidiali mezzi.
I possibili nuovi micidiali protagonisti dei campi di battaglia in Ucraina
Per detto motivo, oltre a un impiego ancora più massiccio dei migliori sistemi d’arma come i missili ipersonici ad alta precisione aria-terra Khinzal e terra-terra Iskander o i micidiali TOS-1 (Buratino), sistemi montati su telai di carri armati T-72 in grado di lanciare missili con testate termobariche (che non sono nucleari come erroneamente riportato da qualche commentatore), alcuni ritengono che stiano per comparire sul campo di battaglia alcuni sistemi d’arma russi modernissimi che per una serie di motivi, primo tra tutti proprio perché da poco usciti dalle linee di montaggio, non sono stati ancora impiegati. Ecco alcuni di questi nuovi mezzi, limitandoci a quelli operanti nell’ambiente terrestre che è risultato essere stato sinora quello più sanguinoso e che sarà decisivo per le sorti del conflitto.
Sin dall’inizio delle operazioni i russi impiegano i carri armati T-72B3M e quelli delle serie T-80 e T-90, i quali sono equipaggiati con sistemi di protezione ERA (Explosive Reactive Armour, cioè corazzature reattive esplosive) del tipo Kontakt-5 e Relikt, considerate fino a febbraio molto avanzate ma che sono risultate non sufficientemente idonee a fronteggiare le nuove minacce dei temibili missili controcarri occidentali, ad esempio i Javelin. Al contrario dei carri armati sinora utilizzati, la Russia potrebbe inviare in Ucraina i mastodontici (rispetto agli standard dei veicoli sinora prodotti ad oriente) T-14 Armata, mezzi con caratteristiche simili a quelle dei carri occidentali sia in termini di dimensioni che di impiego dell’elettronica ma che avrebbero la capacità di sparare fino a dieci colpi da 125 mm. al minuto e colpire bersagli a una distanza di sette chilometri.
Per dare un’idea di quanto sia potente l’ultimo nato in casa russa, il carro armato statunitense M1 Abrams può sparare “solo” tre colpi al minuto e ha una portata di “appena” 4.500 metri. Inoltre, il nuovo carro dispone di corazza reattiva Malachit e di un sistema di protezione attiva Afganit che include un radar a onde millimetriche per rilevare, monitorare e intercettare munizioni anticarro in arrivo a similitudine dell’avanzatissimo sistema israeliano Trophy.
Di MBT (Main Battle Tank) T-14, che ha avuto una genesi a dir poco travagliata proprio a causa della sua complessità e dei costi di sviluppo e produzione molto elevati, ce ne sono al momento disponibili circa 100. La domanda è se i russi si fideranno a immettere in combattimento un veicolo sicuramente mobile, protetto e potente ma verosimilmente non ancora maturo in quanto non testato a sufficienza.
Sui campi di battaglia dell’Ucraina potrebbe comparire anche il nuovo mezzo da combattimento per la fanteria da affiancare al T-14. Avendo la stessa piattaforma ha lo stesso nome, Armata, ma con codice identificativo T-15. I fanti russi, che hanno subìto pesanti perdite a seguito della distruzione di mezzi scarsamente protetti come i BMP-2 e 3, non vedono l’ora di riceverli ma non sarà così semplice. Come per i T-14, ne sarebbero disponibili all’incirca 140 che potrebbero equipaggiare circa tre BTG.
Anche questo mezzo, inoltre, potrebbe avere gli stessi problemi di “maturità” del fratello maggiore T-14. Un altro mezzo micidiale che è già stato dispiegato verso la metà del mese di maggio 2022 in Donbass è il BMPT Terminator-2, un mezzo idoneo ad affiancare i carri armati in particolare nei centri abitati in quanto dispone di un set di armi composito: una mitragliatrice cal. 7,62 e due lanciagranate anti personale, due cannoni da 30 mm contro veicoli blindati e 4 lanciatori per missili guidati contro carri. Il modello che viene già impiegato è su scafo T-72, quindi risalente all’epoca sovietica ancorché migliorato.
Un nuovo modello molto più protetto, più automatizzato e con capacità contraerea è il BMPT-15 Terminator-3, un sistema d’arma su scafo del citato Armata. Potrebbe essere questo il nuovo mostro che i russi potrebbero mettere in campo, anche se con qualche rischio di affidabilità.