“Scaviamo a mani nude per salvare persone”: il racconto dalla Siria in ginocchio dopo il terremoto
Il terremoto che ha colpito il Sud della Turchia durante la notte, intorno alle 2.17 (ora italiana) ha provocato danni anche in Siria, dove l'emergenza abitativa è all'ordine del giorno da oltre 12 anni a causa della guerra. Nel Nord-Ovest della Siria sono centinaia gli edifici fatiscenti crollati a causa del sisma di magnitudo 7.9 di questa notte, seguito da altre 42 scosse di assestamento di magnitudo superiore a 4.5.
Il bilancio delle vittime è del tutto provvisorio: le prime stime indicavano circa 900 morti, ma i numeri sono destinati a salire. Nelle zone non controllate dal regime è impossibile anche fare una conta di decessi e feriti, perché non vi sono i mezzi per far fronte all'emergenza e alle sue conseguenze. Gli ospedali sono stati bombardati di continuo fino almeno al 2020 dal regime e dalla Russia, sua alleata. Chi sta lavorando per far fronte all'emergenza, sta scavando a mani nude per la mancanza di mezzi.
Sul campo è impegnata la protezione civile siriana, i White Helmets, del tutto autogestiti e senza gli strumenti necessari per prestare soccorso. I sopravvissuti stanno cercando di darsi una mano a vicenda, ma l'impegno dei civili e dei volontari non basta.
"La Turchia è stata investita da una terribile tragedia, ma può fare affidamento su stime ufficiali e chiare oltre che su un sistema che può rispondere all'emergenza – ha spiegato a Fanpage.it Giulia Cicoli, Direttrice Advocacy di Still I Rise, Ong che lavora anche sul territorio siriano per assicurare il diritto all'istruzione ai bambini rifugiati -. In Siria invece tutto questo non c'è. I dati ufficiali per ora parlano di 150 morti, ma sono molto di più. La situazione dopo più di 12 anni di guerra e con la riduzione degli aiuti umanitari è devastante".
Com'è la situazione ad Al Dana, dove il vostro staff sul campo sta lavorando?
In generale la situazione nel Nord-Ovest della Siria è devastante. Gli ospedali sono stati bombardati fino al 2020 dal regime e dalla Russia, sua alleata. Le infrastrutture ospedaliere sono al collasso, anche perché gli aiuti internazionali sono stati estremamente ridotti nell'ultimo anno. Lì è già in corso un'epidemia di colera e la situazione può solo peggiorare.
L'emergenza viene gestita dai White Helmets che però non hanno gli strumenti per soccorrere le vittime. Stanno scavando a mani nude e stanno cercando di fare il possibile. Purtroppo ci aspettiamo solo più danni.
La vostra struttura scolastica ha riportato danni strutturali?
Il nostro team è fortunatamente al sicuro e l'edificio non sembra esser stato danneggiato. Stiamo cercando di contattare gli studenti e le loro famiglie, ma l'elettricità non è stabile e quindi non tutti sono reperibili.
Per ora sappiamo che non è sicuro entrare nell'edificio anche per via delle scosse di assestamento. La priorità ora è rintracciare tutti i nostri ragazzi e fare quanto possiamo per supportarli.
A proposito degli aiuti internazionali, l'Unione Europea ha mobilitato squadre di soccorso da inviare in Turchia. La Siria dove si colloca in questa situazione?
È purtroppo un Paese sotto sanzioni per via del regime ma quelle sanzioni coinvolgono tutti. Per aiutarla l'Unione Europea dovrebbe capire come fare per assistere le zone fuori dal controllo di Assad.
Quello che è certo è che c'è bisogno di un intervento immediato perché queste persone sono ignorate da anni dalla comunità internazionale e questo ha provocato già tanti danni.
Nella zona di Idlib dove operate le strade distrutte la presenza di residui di bombe inesplose ha peggiorato ulteriormente la situazione? Ci sono state ulteriori esplosioni provocate dai crolli?
Non possiamo saperlo con certezza, purtroppo, perché sono situazioni che si verificano di continuo. Centinaia di persone e di bambini muoiono tutti i giorni a causa di ordigni inesplosi. È possibile che il terremoto abbia provocato cose simili, ma non possiamo dirlo con sicurezza.
Parliamo dei vostri studenti: per quanto tempo questa tragedia li terrà lontani dai banchi?
Speriamo che potranno tornare a scuola, ma ovviamente bisogna capire come andrà con le scosse di assestamento. Faremo il possibile per riaprire le classi quanto prima in una struttura ovviamente in sicurezza, ma vista la devastazione attorno a noi è difficile dare una data di apertura. Molti dei nostri studenti vivono nei campi profughi, ma chi è rimasto coinvolto in questi crolli non può essere aiutato.
Questo è un disastro naturale, ma se in Turchia hanno gli strumenti per rispondere, nel Nord-Ovest della Siria le persone cercano di aiutarsi tra loro e questo non basta. Il fatto che la popolazione sia stata ignorata per più di 10 anni ha causato l'assenza di strutture utili ad aiutare chi ha bisogno. Il conteggio dei morti e dei feriti è destinato ad aumentare, lo sappiamo, anche se speriamo che non sia così. Oltre a questo però c'è tutta la tematica riguardante il "dopo".
Cioè?
Chi si occuperà dei sopravvissuti? Dove staranno gli sfollati? Dove saranno curati i feriti e come? La situazione non è semplice. Ogni giorno per queste persone è una sfida, questa è l'ennesima tragedia con effetti a lungo termine.
Alcuni sfollati vivevano in strutture fatiscenti costruite per far fronte all'emergenza guerra. Molte di queste sono crollate con il terremoto. Quanti di loro vivevano in questi edifici?
È impossibile avere una stima, perché si tratta di situazioni informali. Sono 2.9 milioni gli sfollati che vivono nelle tende, ma su 4 milioni di civili è facile pensare che un'altra buona parte di loro vivesse nelle case crollate.
Cosa si può fare per aiutare i civili?
Si può sempre donare, sia ai White Helmets come alle Ong che operano sul territorio ma penso che la cosa più importante sia continuare a parlare di questa situazione. Con l'arrivo dell'emergenza se ne parla per due giorni e poi le persone devono cavarsela da sole.
Per questo è importante non solo parlarne, ma anche che la comunità internazionale trovi una soluzione politica per risollevare la popolazione. Una soluzione politica ovviamente non può includere la riabilitazione di Assad, questo è chiaro. La situazione è complicata anche da questo punto di vista, ma se si vuole aiutare bisogna lavorare a lungo termine e con impegno.