Eccola, in una foto, l'estate in Siria. Nell'obitorio improvvisato, sotto i blocchi di giacchio, ci sono i cadaveri delle 14 vittime dell’attacco avvenuto venerdì scorso a Mhambel, nella provincia nord-occidentale di Idlib, in Siria. Accanto a loro, un uomo mutilato di guerra appoggiato alle stampelle dà l’ultimo saluto alla moglie e ai figli. E’ solo l’ultima, straziante, immagine della guerra in Siria. “Quello che vedete nella foto è un uomo disabile e alcuni blocchi di ghiaccio – ha scritto Alhamdo, un attivista di Aleppo – ma quello che non potete vedere è la montagna di dolore. Quest'uomo sta guardando la sua famiglia che è stata uccisa da Assad e dalla Russia. Starà con loro fino a domattina, per l'ultima volta”. Il 5 luglio scorso, gli elicotteri dell’aviazione di Assad hanno lanciato barili bomba sul villaggio di Mhambel provocando una strage. Abitazioni collassate su sé stesse con dentro i suoi occupanti. “Questo villaggio non è sulla linea del fronte, né ci sono stati movimenti di miliziani. E’ una zona civile”, afferma il corrispondente della televisione turca Trt a Mhambel. Almeno 14 i morti, tra cui 7 bambini. Un’intera famiglia è stata decimata: Arij, Saher e Samer Abdul, tre fratellini, sono stati uccisi insieme ai genitori.
A dare conferma dell’uccisione dei sette bambini a Mhambel sono anche le Nazioni Unite. “È stato riferito che la maggior parte di coloro che hanno perso la vita erano sfollati all'interno del Paese – scrive Henrietta Fore, direttrice di Unicef – già costretti in passato ad abbandonare le loro comunità a causa di precedenti ondate di combattimenti”. “Quest'ultimo oltraggio si aggiunge alle crescenti perdite di bambini causate dall'intensificarsi della violenza nelle ultime settimane”. “Il chiaro disprezzo per la sicurezza e il benessere dei bambini – continua Fore – evidente in questi attacchi, è spaventoso. Il mio cuore si spezza per le giovani vite perse e per tutti i bambini della zona che rimangono in pericolo. Esorto con forza e inequivocabilmente le parti in conflitto e coloro che hanno influenza su di loro a garantire che i bambini nel nord-ovest e in tutto il paese siano protetti dalle continue violenze”.
Da fine aprile, quando è iniziata l’offensiva dell’esercito siriano sulle province di Idlib, Hama e Aleppo, sono almeno 130 i bimbi uccisi. Una strage quotidiana a cui il mondo assiste impotente. Solo due giorni fa, a finire macellata sotto le bombe è stata un’altra famiglia di 6 persone, tra cui due ragazze e due donne. Uccisi mentre lavoravano nei campi a Qastoun, nella provincia settentrionale di Hama. E anche oggi, al bollettino dei morti si aggiungono una donna e i suoi due figli massacrati in un attacco al campo per sfollati di Deir al Sharqi, a Idlib.
Tra le milizie ribelli che controllano Idlib, dove si trovano più di tre milioni di persone, molte delle quali già sfollate da altre battaglie, figurano anche i jihadisti di Hay’at Tahrir al-Sham, l’ex Fronte al-Nusra, costola siriana di al-Qaeda. Per il governo di Assad, e il suo alleato russo, la presenza di formazioni estremiste è un elemento sufficiente per lanciare attacchi indiscriminati su aree civili. Ad essere colpiti anche ospedali e scuole. Negli ultimi raid hanno perso la vita anche due paramedici impegnati a soccorre le vittime dei bombardamenti. L’ultimo dottore ucciso è Mohammad Badr Abdul Baqi. Rimasto gravemente ferito nell'attacco a Mhambel, è stato trasportato in un ospedale in Turchia dove è deceduto l’8 luglio.
“Sono inorridito dagli attacchi in corso sulle aree e le infrastrutture civili”, ha scritto Mark Cutts, il vice coordinatore umanitario dell'Onu per la crisi siriana. “Nel pomeriggio del 4 luglio – continua Cutts nel suo rapporto – c'è stato un altro attacco a un ospedale civile a Kafr Nobol, a Idlib. Un ospedale chirurgico sotterraneo costruito con il sostegno delle Nazioni Unite per fornire supporto medico ai civili in una zona di guerra”. “Negli ultimi due mesi i raid aerei, compreso l'uso di barili bomba a Idlib, a ovest di Aleppo e a nord di Hama sono ormai diventati quotidiani. Dov'è l'umanità? Idlib sta bruciando e il mondo non può semplicemente stare a guardare”, conclude l’alto funzionario delle Nazioni Unite.
E per i siriani, esausti da oltre otto anni di guerra, l’unica alternativa alle bombe è ancora la volta la fuga. Secondo le Nazioni Unite, da fine aprile, sono almeno 330mila le persone costrette a cercare riparo nei campi profughi a ridosso del confine con la Turchia.