I Buddha di Bamiyan, a dieci anni dalla loro distruzione
Ieri, Il fatto quotidiano scriveva, in occasione del rientro della salma dell'ennesima vittima da quando è iniziata la nostra "missione di pace" in Afghanistan, che in quel medesimo giorno ricorrevano i primi dieci anni dall'inizio della distruzione dei Buddha di Bamiyan: un evento che ricordavo, sebbene di tempo ne sia passato, ma dei cui sviluppi poco ebbi a sapere, in seguito.
Inserendo le parole chiave nel motore di ricerca, ci si trova immediatamente davanti ad una triste realtà: il primo link è, naturalmente, quello di wikipedia che esordisce con "I Buddha di Bamiyan erano due enormi statue"… Perché non è difficile immaginare che, in un paese squassato da guerra, violenza e povertà estrema, non si presti molta attenzione ad una eventuale ricostruzione delle opere che, pure, sono state dichiarate patrimonio dell'umanità dall'Unesco; la stessa organizzazione non ha definito questo un impegno prioritario e, dunque, i Buddha erano e con molte probabilità tra qualche decennio, furono.
Due giganti di 38 e 53 metri, ormai di quel color della sabbia che fa pensare alla meravigliosa Petra, ma che all'epoca della loro costruzione (1800 e 1500 anni or sono) dovevano essere tutti colorati: difficile da immaginare, un po' come quando apprendiamo che i templi greci erano, in verità, variopinti dei toni più accesi; posti a 2500 metri di altezza in un centro, Bayiman, che fu oltre che tappa della Via della seta, una importante sede di monasteri buddhisti e di attività religiose, artistiche e filosofiche, fino all'invasione musulmana, avvenuta nel IX secolo.
La distruzione, di cui in passato c'erano stati altri tentativi, necessitò di decine di giorni, data la mole dei colossi, mentre di susseguivano le preghiere, da parte del mondo internazionale alle autorità afghane, di salvare tale tesoro. Le ragioni di questo "attaccamento", addirittura, secondo le dichiarazioni di un rappresentante dei Talebani, furono ulteriore causa di accanimento contro le opere d'arte; lo stesso ebbe a dichiarare il Mullah Omar qualche anno dopo, in un'intervista ad un giornale pachistano. Era ignobile pensare che "gli stranieri" pensassero a due cose inanimate, anziché ad un popolo che rischiava di morire di fame, sosteneva. Una diabolica cecità, questa, dalla quale neanche noi, istruiti ed occidentali italiani, siamo totalmente immuni, se si pensa che il nostro Ministro dell'Economia dichiara, quasi come un atto di sfida, che "con la cultura non si mangia"; e se lasciamo cadere a pezzi quella Pompei che è stata preservata per noi da un fato generoso.
I musulmani iconoclasti ne vollero la distruzione perché le due statue potevano essere oggetto di idolatria, dissero: in verità le due statue, per il Buddhismo, rappresentano esseri umani e non dei. Per giunta, va sottolineato come alcuna dinastia islamica abbia mai osato cancellare testimonianze del passato precedente l'invasione: l'Egitto, la Siria, l'Iraq, la Turchia, sono brillante testimonianza archeologica di questo. In questi casi si ha a che fare solo con stupidità, ignoranza, prepotenza: non si ceda all'inganno di vedere nelle religioni principi che non appartengono a queste.
Fortunatamente, il destino ha serbato anche altri risvolti per il patrimonio archeologico, sconosciuto ai più, dell'Afghanistan. A partire da oggi, ad esempio, il British Museum esporrà l'inestimabile tesoro di Bactrian composto da oltre 20 000 pezzi, per lo più d'oro, trovati in sei tombe da una missione archeologica sovietica nel 1978 e. Nel 1989 questo patrimonio era stato nascosto segretamente nella Banca centrale Afghana. Quando nel 2003 ormai, si credeva che i Talebani, che lo avevano cercato per ogni dove, se ne fossero appropriati, il tesoro rispuntò fuori dalle cassette di sicurezza intatto: era sempre stato lì, dove nessuno andò a cercare.
Nel 2008, inoltre, con grande sorpresa, è stata ritrovata una terza statua nella zona di Bamiyan, che misura 19 metri ed è coricata in una posa che rappresenta il passaggio del Buddha nel Nirvana: nonostante la stupidità e la cattiveria, la serenità del Buddha è sopravvissuta.