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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

“Ho osato nominare il genocidio”: parla il parlamentare israeliano sospeso e accusato di incitamento all’odio

Nel suo ufficio di Gerusalemme Fanpage.it ha intervistato Ofer Cassif, membro del partito di sinistra Hadash. Ebreo israeliano è stato accusato di incitamento all’odio e al terrorismo e sospeso dalla sua carica di parlamentare perché ha parlato della guerra a Gaza come di un genocidio, sostenendo l’azione della Corte penale internazionale.
A cura di Micol Meghnagi
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Il 7 novembre 2024, il membro della Knesset (il parlamento israeliano, n.d.r.) Ofer Cassif, unico ebreo tra i quattro eletti di Hadash-Ta’al, una coalizione di partiti della sinistra e comunisti, è stato espulso per sei mesi, con voto unanime, dalle riunioni plenarie e dalle commissioni parlamentari. «Il sostenitore del terrorismo Ofer Cassif dovrebbe essere espulso definitivamente dalla Knesset israeliana e deportato in Siria. Sei mesi non sono sufficienti», ha dichiarato il giorno successivo il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir.

Cassif era già stato sospeso lo scorso febbraio per quarantacinque giorni a causa delle sue posizioni critiche nei confronti dell’occupazione militare israeliana. La stessa sorte è toccata alla sua collega, la palestinese cittadina di Israele Aida Touma Sliman, che nel novembre del 2023 era stata deferita al comitato etico della Knesset per trenta giorni. «La mia sospensione è solo un altro tassello di una lunga serie di attacchi alla libertà di parola in Israele, che colpisce chiunque rappresenti una voce alternativa alla guerra genocida in corso a Gaza», racconta Cassif a Fanpage.

Lo incontriamo alla Knesset, a Gerusalemme, dove a pochi passi si trova un presidio permanente di attivisti israeliani che ogni sabato sera, ormai da oltre un anno, si riversano nelle strade di Gerusalemme e Tel Aviv per chiedere un accordo politico che preveda il ritorno degli ostaggi e la fine della guerra a Gaza. Sotto una grande tenda, centinaia di poster con la scritta «Bring them home» si mescolano a cartelli «Palestinian lives matter». I metal detector che conducono alle aule e agli uffici del parlamento israeliano invitano i possessori di armi da fuoco a consegnarle alla sicurezza, mentre una voce meccanica informa che tutte le telefonate, pubbliche o private che siano, saranno registrate.

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«Questa condanna si inserisce in un clima generale di persecuzione politica; colpisce prima di tutto gli arabi, ma anche i cittadini ebrei israeliani che si oppongono alle politiche oppressive dello Stato. Penso alla professoressa universitaria palestinese con cittadinanza israeliana Nadera Shlov Kiborkian, arrestata per aver espresso sui social media solidarietà alla popolazione di Gaza, o all’insegnante liceale Meir Baruchin, ebreo israeliano, licenziato per aver pubblicato su Facebook delle immagini di bambini uccisi a Gaza», continua Cassif,  con voce ferma e concisa da dietro la sua scrivania.

Secondo l’organizzazione Adalah, che difende i diritti dei palestinesi in Israele, «gli studenti palestinesi, cittadini di Israele, hanno dovuto affrontare un’ondata senza precedenti di azioni disciplinari da parte delle loro università, che hanno preso di mira la loro libertà e l’identità palestinese». Almeno 36 università israeliane hanno avviato procedimenti disciplinari contro 124 studenti palestinesi (dati aggiornati a giugno del 2024, n.d.r.) per post sui loro account privati sui social media. I numeri, che includono sia cittadini di Israele che residenti di Gerusalemme, rappresentano il tasso più alto di arresti in un periodo di tempo così breve negli ultimi venti anni. In Ofer Cassif, il comitato etico della Knesset ha identificato un «modello d’azione sistematica» che «incita alla violenza» e lo ha accusato di «indebolire la capacità dello Stato di Israele di contrastare le accuse di genocidio».

«L’infrazione a mio carico è di incitamento all’odio e al terrorismo. Viene da chiedersi, però, come mai individui come il ministro Itamar Ben Gvir, che supportano apertamente l’uccisione di milioni di persone, non vengano espulsi», sottolinea Cassif.

Cassif ha firmato una petizione a sostegno del procedimento della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) contro Israele, accusato dal Sudafrica nel gennaio del 2024 di aver commesso un genocidio a Gaza. Ha poi espresso il pieno sostegno ai mandati di arresto richiesti dal Procuratore Capo del Tribunale Penale Internazionale nel maggio 2024 ed emessi nel novembre dello stesso anno contro il Premier Benjamin Netanyahu, l’allora Ministro della Difesa Yoav Gallant, e i leader di Hamas Yahya Sinwar, Ismail Haniyeh, Diab Ibrahim (poi uccisi dall’esercito israeliano) e Mohammed Deif (Al Masri). Inoltre, ha appoggiato la decisione dell’ICJ del luglio 2024, che ha dichiarato illegali gli insediamenti israeliani in Cisgiordania del 1967.

«La Knesset si è schierata con Netanyahu, compresa la cosiddetta opposizione, e ha attaccato le decisioni della comunità internazionale. Hadash è l'unico partito ad aver rilasciato una dichiarazione pubblica ed esplicita a sostegno del diritto internazionale. È fondamentale fare pressione sul governo israeliano affinché fermi il genocidio, liberi gli ostaggi, ricostruisca Gaza, cessi l’occupazione e crei uno Stato palestinese indipendente», afferma Cassif.

«Dall’inizio del 2023, prima ancora dell’inizio della guerra, milioni di israeliani sono scesi in piazza contro la riforma giudiziaria. Dopo il 7 ottobre, la maggior parte di loro ha manifestato contro la politica del governo riguardo agli ostaggi, che sono stati sacrificati consapevolmente da Netanyahu e dal suo esecutivo. Fin dall'inizio, noi del Partito Comunista Hadash abbiamo creato una coalizione che include oltre sessanta organizzazioni ebraiche e arabe anti-occupazione, impegnate in una pace giusta e nella difesa dei diritti umani di tutti: israeliani e palestinesi. Abbiamo lanciato slogan per chiedere l’immediato rilascio degli ostaggi nelle mani di Hamas, ma allo stesso tempo definiamo la situazione in corso a Gaza per quello che è: un genocidio. Eppure, il nostro impegno da solo non basta. Serve un sostegno concreto da parte della comunità internazionale».

Dall’inizio della guerra a Gaza, la polizia israeliana ha adottato una politica di prevenzione e limitazione di qualsiasi protesta, sia in solidarietà con il popolo palestinese che, più in generale, contro il governo Netanyahu. Nel corso del 2024, Adalah ha presentato più volte ricorso alla Corte Suprema per contestare i divieti imposti dalla polizia sul diritto di manifestare. Sebbene la repressione delle proteste non sia una novità in Israele, l'attacco alla libertà di espressione in corso è caratterizzato da una violenza senza precedenti. «C'è un disegno di legge imminente che, se approvato, impedirà ai partiti arabi di partecipare alle elezioni, il che significa che il 20% dei cittadini di Israele (i palestinesi con cittadinanza israeliana, n.d.r.) non sarà più rappresentato», avverte Cassif.

«Perciò, il mio impegno morale, come parlamentare e cittadino, è quello di stare al fianco degli oppressi. Durante la Prima Intifada, ho rifiutato di servire nell’esercito israeliano e per questo sono stato incarcerato. Dopo il mio rilascio, ho scelto di unirmi a Hadash, il fronte democratico per la pace e l’uguaglianza. La mia formazione marxista mi insegna a oppormi a ogni forma di antisemitismo e razzismo, ovunque si manifestino; a stare dalla parte degli emarginati e degli oppressi, che siano donne, persone lgbtq+, lavoratori, o a difendere il diritto del popolo palestinese a vivere in dignità. In questa terra, l’unica alternativa possibile è porre fine al regime di apartheid e all’occupazione delle terre palestinesi, garantendo sicurezza, giustizia ed eguali diritti per tutti», conclude Cassif.

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