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Guerra in Ucraina

“Ho aiutato gli attentatori di San Pietroburgo”: parla a Fanpage il dissidente Ilya Ponomarev

L’ex deputato della Duma che votò contro l’annessione della Crimea racconta a Fanpage.it chi sono i “partigiani” russi che hanno rivendicato l’uccisione del blogger militare Tatarsky. “Fornisco loro assistenza ‘tecnica’”, sostiene. E la donna arrestata “non c’entra niente: è stata incastrata dai servizi di Mosca”.
A cura di Riccardo Amati
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“Il mio è un aiuto materiale e tecnico alla galassia dei gruppi che combattono contro il regime in Russia”, dice Ilya Ponomarev. “Sono in tutto circa un migliaio di partigiani, e non sono organizzati in una struttura piramidale”. La squadra che ha ucciso Tatarsky “si pone sotto l’egida dell’Esercito nazionale repubblicano ma in pratica è un’entità separata”. Rapporti con i servizi segreti ucraini? “Nessuno”.

Come “non c’è alcun rapporto” con l’opposizione liberale russa. “Che farebbe bene a decidersi e unirsi alla lotta armata, oppure smetterla di criticarmi e tacere”. E Daria Trepova, la donna arrestata per la bomba? “Non c’entra niente con chi ha eseguito l’operazione: è stata messa in mezzo dall’Fsb per intorpidire le acque”.

Ilya Ponomarev è considerato da alcuni esperti un millantatore in cerca di pubblicità per una futura carriera politica nel dopo Putin. Altri lo ritengono davvero l’ispiratore e il finanziatore della resistenza armata in Russia. Di cui, in realtà, non si sapeva niente finché non ne ha parlato lui.

È attraverso Ponomarev che il fantomatico Esercito nazionale repubblicano (Nra) ha rivendicato l’attentato dinamitardo che ha ammazzato il blogger militare ultra-nazionalista Vladlen Tatarsky e ferito una cinquantina di suoi simpatizzanti impegnati nel sostegno dell’aggressione della Russia di Putin all’Ucraina.

A sostegno di chi prende Ponomarev sul serio, il fatto che avesse pubblicamente previsto alcuni degli atti di sabotaggio compiuti recentemente in Russia. È il caso dell’attacco al ponte della Crimea in ottobre. E anche quello dell’esplosione di San Pietroburgo: nei giorni immediatamente precedenti, aveva parlato sul suo canale Youtube di un’imminente azione militare della resistenza sul territorio russo.

Un’altra circostanza che può rafforzarne la credibilità, o almeno contrastare l’ipotesi che sia solo un politico in cerca di pubblicità per una futura carriera, è il fatto che Ponomarev la carriera in Russia l’aveva già, eccome. Fino al 2016 era un deputato della Duma, l’equivalente della nostra Camera. Ha lavorato per anni ai piani alti dell’amministrazione statale e per la privilegiatissima fondazione Skolkovo, sospettata dagli Stati Uniti di spionaggio informatico e coinvolta in Russia in una clamorosa inchiesta giudiziaria su una vasta rete di corruzione.

Dal dubbio che la sua indubbia carriera in Russia, non sia stata sempre cristallina, Ponomarev si è riscattato quando è stato l’unico membro del parlamento russo a non votare la legge sulla “propaganda gay” e a votare contro l’annessione della Crimea. Accusato di appropriazione indebita in un procedimento da lui definito “motivato politicamente”, espulso dalla Duma, è emigrato in Ucraina e ne ha poi preso la nazionalità.

Dopo l’invasione russa, ha combattuto con le forze armate del suo Paese d’adozione. Di mestiere fa l’imprenditore e il finanziere, con successo. Ma la passione è sempre stata la politica. Ed è al centro politico che dirige a Kyiv che lo abbiamo raggiunto in videoconferenza.

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È vero che lei ha collaborato con gli autori dell’attentato di San Pietroburgo? E se sì, come?

Non è stato un aiuto nella fase organizzativa. Organizzano sempre tutto loro sul terreno. Ma mi chiedono assistenza per i rapporti con i media. Mi chiedono di spiegare al pubblico cosa fanno e perché. Inoltre, ci sono da parte loro alcune richieste materiali.

In che senso? Finanziamenti? Lei finanzia gli attentatori?

Normalmente non è un aiuto finanziario. È soprattutto un‘assistenza materiale e tecnica.

Ovvero? Potrebbe elaborare?

Assolutamente no, per ovvi motivi di sicurezza.

L’organizzazione che ha ucciso Vladlen Tatarsky è la stessa che ammazzò Daria Dughina facendo saltare in aria la sua auto nell’agosto scorso alle porte di Mosca?

In realtà i gruppi di resistenza in Russia non sono strettamente integrati. Tutt’altro. Non esiste una verticale di comando con un capo unico. Lavorano in franchising, per così dire. Nelle diverse regioni. Non è un network rigido. Diciamo che il gruppo, quando nei giorni precedenti all’attacco ci mise al corrente dell’intenzione di colpire, si era già presentato come Nra, lo stesso dell’azione di Mosca. Ma tecnicamente è un gruppo separato.

Quindi non c’è un vero e proprio esercito di resistenti in Russia. O almeno non si tratta di terroristi organizzati e ideologizzati come i nihilisti o Narodnaya Volya nel XIX secolo, per fare un paragone storico. Oltre all’Nra, quali sono gli altri gruppi?

Diciamo che è una sorta di ambiente sottoculturale. Ci sono gruppi più integrati e meglio organizzati, come l’”Organizzazione militare degli anarco-comunisti”. E come “Ponte nero”, che ha attaccato una sede dell’Fsb (il servizio di sicurezza interna, ndr) nella regione di Rostov nel marzo scorso  (un’esplosione e un incendio causarono la morte di almeno un agente e il ferimento di altri due, ndr). Ma gruppi come “Ferma il vagone”, per esempio, che compie sabotaggi sulle linee ferroviarie, sono davvero molto fluidi.

E quanti sono in tutto questi partigiani, nelle varie organizzazioni più o meno coordinate?

La mia stima è che siano un migliaio di persone.

E hanno qualche legame con l’opposizione politica al regime, in particolare con il team di Alexei Navalny?

Assolutamente nessuna. Navalny non ha proprio niente a che vedere con tutto questo.

E l’Sbu, il servizio segreto ucraino?

Invenzioni dei servizi di Mosca. L’Fsb doveva dire immediatamente qualcosa per alimentare la propaganda. Così ha accusato Navalny e l’intelligence di Kyiv.

Le autorità russe sono state in effetti molto veloci a puntare il dito contro il maggiore oppositore di Putin e contro l’Ucraina. E anche ad arrestare Daria Trepova, la donna che ha detto alla polizia di aver consegnato la statua esplosiva a Tatarsky. Vista anche la mancanza di ogni piano di fuga, potrebbe anche esser stata solo una complice involontaria. C’è qualcosa di strano nella sua vicenda. Lei che ne pensa?

Sembra anche a me molto strano quel che è successo con quella ragazza.

La conosce? Fa parte dei gruppi della resistenza anti-Putin?

Non so chi sia, non l’ho mai vista né sentita nominare prima. Nemmeno dalle persone dei gruppi della resistenza russa con cui parlo. La sua vicenda mi ricorda molto quella di Natalia Vovk, subito additata come la responsabile dell’uccisione di Daria Dughina e protagonista di una surreale fuga in cui sembrava far di tutto per farsi prendere. Ho pochi dubbi che la Vovk fosse in realtà un agente dell’Fsb impegnata a confonder le acque sulle responsabilità dell’attentato. E ritengo che anche il caso di Daria Trapeva sia stato artificialmente creato dall’Fsb fin dall’inizio, per motivi simili. Penso proprio che la Trapeva non abbia niente a che fare con la morte di Tatarsky e con le persone che hanno eseguito l’attentato. Credo sia stata incastrata dai servizi russi per intorbidire le acque.

Ma è vero che Daria Trepeva era in corrispondenza col suo amico e collaboratore Roman Popkov?

Non posso che ripetere quel che il mio amico Popkov mi ha detto ieri, dopo che è emerso il nome della Trepeva: la ragazza effettivamente lo contattò sui social. Tutto qui. Roman è un giornalista e riceve moltissimi messaggi dalla Russia. Uno di questi era di Daria Trepova. Ma non si sono più scritti, né si sono mai incontrati.

Ma lei non aveva mai sentito parlare di Daria Trepova, prima di ieri?

Le ripeto: no. Mai sentita nominare.

Lei ha detto che l’attentato contro Tatarsky non è stato un atto di terrorismo. Una bomba in un bar? E cos’è, se non terrorismo?

È una questione di definizioni. Qualcuno può dire che ogni azione violenta è terrorismo. Ma secondo me solo quando vengono colpite persone estranee alle ragioni dell’attacco si può parlare di terrorismo. Questa almeno è la mia personale visione. È terrorismo quello di Bin Laden contro le torri gemelle di New York. Perché chi si trovava all’interno di quegli edifici non aveva nulla a che fare con le guerre in Medio Oriente e in generale con le cause che per Bin Laden giustificavano l’attacco. Ma il caso dell’attentato di San Pietroburgo è diverso. Non è una tragedia che ha ucciso innocenti. È un atto di guerra compiuto nel rispetto delle convenzioni internazionali che regolano la materia.

Ma come? In quel bar c’erano civili, mica soldati. A parte Tatarsky, forse.

Erano propagandisti. Combattenti nemici. Tatarsky in particolare era un noto criminale di guerra, scappato di galera e arruolatosi nelle milizie separatiste del Donbass.

Il suo sostegno agli autori dell’attentato che uccise Daria Dughina ha compromesso la sua reputazione tra i liberali russi. Adesso la cosa si ripete. Gli esponenti dell’opposizione a Putin proprio non la potranno più vedere. Che si sente di dir loro?

Devono decidersi. Vogliono distruggere questo regime? Allora si uniscano alla lotta. Che in questo momento è sui campi di battaglia dell’Ucraina e nella resistenza armata russa. Se poi vogliono che qualcun altro faccia il lavoro per loro — e questa è la posizione della maggior parte dei cosiddetti liberali — allora che almeno stiano zitti, anziché parlare a sproposito criticando chi combatte e rischia la pelle anche per loro.

Ai liberali starà antipatico ma sulla tv di Stato russa proprio la vogliono morto, Ilya: nei talk show ogni cinque minuti qualcuno si augura la sua fine violenta. E si incita chiunque l’abbia a tiro a procuragliela il prima possibile. Non ha paura?

(Ponomarev piega la bocca in un sorriso). Prendo molte precauzioni fin dall’inizio di questa guerra. Che è stato nel 2014, non il 24 febbraio dello scorso anno. Molte persone a me vicine sono state ammazzate. Non solo in battaglia. Parlo anche di gente come Boris Nemtsov (politico che denunciò l’annessione della Crimea: fu ucciso nel 2015 di fronte al Cremlino, ndr), Sacha Litvinenko (ex agente dell’Fsb diventato oppositore di Putin: ucciso da un tè al polonio radioattivo nel 2007 a Londra, ndr) e di molti miei amici uccisi dagli assassini mandati dal regime di Putin. Usano spesso “armi di distrazione di massa”, come con Litivinenko. Perché vogliono che i loro omicidi siano esemplari e spaventino i loro nemici. Ma ora non c’è tempo per la paura. È in corso una guerra, scatenata da loro. La vinceremo. E i responsabili del regime saranno eliminati fisicamente o processati come criminali internazionali.

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