Guerra tra Armenia e Azerbaigian: decine di nuovi morti, combattimenti in corso
Nel conflitto in corso tra Armenia e Azerbaigian per contendersi la regione del Nagorno-Karabakh è iniziato il consueto balletto sui numeri delle vittime. Mentre Al-Jazeera parla di altri 26 separatisti uccisi negli scontri con le forze azere, portando il bilancio dei militari caduti negli ultimi due giorni a 84, i governi delle due parti in guerra parlano di cifre ben diverse e molto più alte. Secondo il ministro della difesa dell'Azerbaigian, ad esempio, oltre 550 militari armeni sono stati uccisi negli scontri degli ultimi due giorni: "Secondo i servizi segreti, le forze armate armene hanno subito pesanti perdite a causa delle ostilità domenicali. L'esercito azerbaigiano ha distrutto 22 carri armati e altri veicoli corazzati pesanti, 15 sistemi missilistici di difesa aerea Osa, 18 droni, otto sistemi di artiglieria e tre depositi di armi. Inoltre, più di 550 militari sono stati uccisi". Anche il ministero della Difesa armeno dal canto suo ha denunciato le vittime azere. "Secondo le nostre informazioni, circa 200 militari azerbaigiani sono stati uccisi. Le informazioni aggiornate indicano che quattro elicotteri, 27 droni, tra cui UAV d'attacco, 33 carri armati e mezzi corazzati per il personale, così come due veicoli corazzati dei genieri, sono stati distrutti".
Perché Armenia e Azerbaigian combattono per la regione del Nagorno-Karabakh
Quella del Nagorno-Karabakh è una regione abitata soprattutto da armeni che sorge all’interno del territorio azero. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica l'area ha indetto un referendum nel 1991 vinto dalla fazione indipendentista, ma il voto è stato boicottato dai cittadini azeri e il risultato della consultazione non ha mai ottenuto nessun riconoscimento formale. L’area è quindi contesa da più di 30 anni dai due stati: tra il 1992 e il 1994 vi è stata una guerra che ha causato migliaia di morti e milioni di profughi, poi i due paesi hanno sottoscritto una tregua rotta negli anni da svariati attentati, i più sanguinari dei quali nel 2016. Gli scontri degli ultimi due giorni potrebbero sfociare in un nuovo conflitto, ed è per questa ragione che le diplomazie di tutto il mondo hanno invitato gli eserciti a far tacere le armi e riprendere la via del dialogo.