Guerra Russia Ucraina, come si sta muovendo la NATO
– A cura del Gen. C.A. Luigi Chiapperini, già Comandante del contingente NATO in Afghanistan tra il 2012 e il 2013 e dei reparti multinazionali in Kosovo 2001 e Libano 2006, attualmente membro del Centro Studi Esercito, collaboratore del Campus universitario CIELS di Padova e presidente nazionale dei lagunari dell’A.L.T.A..
In situazioni come quella a cui stiamo assistendo in Ucraina che, ricordiamolo, confina con alcuni paesi NATO (Romania, Ungheria, Slovacchia e Polonia), l'Alleanza Atlantica si riunisce sulla base dell’Articolo 4 del suo Trattato (consultazioni in risposta a minacce), ribadendo la propria disponibilità a utilizzare l’Articolo 5: risposta armata congiunta in caso di aggressione esterna contro uno qualsiasi degli alleati. La conseguenza è l’attivazione dei suoi «Defence Plan» (piani di difesa) che definiscono le risposte da dare in caso di minaccia all’alleanza. L’attivazione di detti piani, di fatto, incrementa il livello di allerta predisponendo comandi e forze a fronteggiare possibili attacchi. Il 25 febbraio, su richiesta di Bulgaria, Polonia e Lituania, si è appunto riunito il Consiglio Atlantico che ha condannato Mosca sollecitando il Cremlino a fermare l'aggressione militare. Peraltro l'Alleanza, essendo un’organizzazione difensiva e non essendo l’Ucraina un proprio membro, può al momento muoversi solo incrementando la presenza di forze nel suo fianco est ed è quello che sta avvenendo. A ciò si aggiunge naturalmente l’assistenza militare assicurata dai singoli membri.
In realtà si tratta di un passo ulteriore della NATO dopo che, a seguito dell’annessione russa della Crimea, aveva portato alla costituzione di quattro gruppi tattici in Estonia, Lituania, Lettonia e Polonia (NATO Enhanced Forward Presence). Ciò avvenne nel luglio 2016 con oltre 4.600 soldati provenienti da più di 20 Paesi che ancora oggi operano in stretto coordinamento con gli eserciti delle nazioni che li ospitano. Ora la NATO ha deciso di incrementare questa presenza oltre ad attivare le forze ad alta e ad altissima prontezza.
Cosa significa l’annuncio dell’offensiva a tutto campo della Russia
Il 26 febbraio la Russia ha annunciato di voler lanciare un’offensiva a tutto campo. In realtà l’offensiva in tutto il territorio Ucraino è già in atto ma quell’annuncio può significare due cose: il raggiungimento degli obiettivi cosiddetti di primo tempo con i BTG (ossia i Batalonnaja Takticheskaja Gruppa, gruppi tattici di livello battaglione) e quindi l’avvio della prosecuzione in profondità verso gli obiettivi finali oppure un cambio di tattica con il ritorno alla dottrina militare del «partito arancione», quella per intenderci del Patto di Varsavia. In entrambi i casi significa l’intensificazione degli attacchi con un impiego più massiccio di aerei (ora che la superiorità nei cieli sembra essere stata acquisita dai russi) e artiglieria terrestre, compresi i semoventi contraerei Tunguska-M portati sul davanti del dispositivo e i TOS 1-A capaci di lanciare ordigni altamente letali con testate termo-bariche.
Ciascun reparto russo è stato organizzato dal capo delle forze armate russe Valerij Gerasimov in modo da lanciare sul davanti un battaglione scelto, con gli uomini e i veicoli migliori e con un misto di assetti letali. Costituiscono quindi il primo scaglione e combattono in modo autonomo aprendo la strada alla seconda schiera costituita dal grosso delle forze. Secondo uno studio della Difesa svedese i BTG russi ammassati al fronte prima dell’invasione sarebbero stati in grado di dominare un campo di battaglia profondo trecento chilometri e altrettanto largo: quasi tutta la pianura ucraina fino al fiume Dnepr, proprio l’obiettivo raggiunto stamattina 27 febbraio con l’ingresso dei russi a Karhov e che probabilmente costituisce l’obiettivo di primo tempo di cui parlavamo.
I russi stanno conducendo una “guerra ibrida”. Sussiste una certa differenza di forze in campo, con gli Ucraini complessivamente più deboli, tanto da poter catalogare il conflitto «asimmetrico». Ma sicuramente sta diventando sempre più anche una guerra ibrida dove tutto è permesso senza esclusione di colpi. Disinformazione e destabilizzazione, fake news e azioni offensive nel campo cyber, mosse diplomatiche e provvedimenti in campo economico. Inoltre sul campo i russi schierano gli agenti del Gru (GRU, Glavnoe razvedyvatel'noe upravlenie, traducibile in italiano come Direttorato principale per l'informazione) che indossano abiti anonimi e che solamente all’ultimo istante mostrano la bandiera quando entra in scena l’esercito così come avvenuto in Crimea nel 2014. Naturalmente lo stesso discorso vale per l’Ucraina che sicuramente ha lasciato nei territori già occupati dai russi agenti informatori e sta organizzando la resistenza armata.
Le forze NATO (pronte) in campo
In Europa sono presenti comandi terrestri, aerei, navali e di forze speciali che a rotazione costituiscono le NATO Rapid Responce Force (NRF) permanentemente posti sotto comando NATO. Per quest’anno il comando delle forze terrestri è stato assegnato al Rapid Reaction Corps France (RRC FRA), di quelle aeree al French Joint Force Air Component (FRA JFAC), di quelle marittime al United Kingdom Strike Force (UKSTRKFOR) e delle operazione speciali all’Italian Special Operations Component Command (ITA SOCC). Si tratta di circa 40.000 unità ad alta prontezza (cioè schierabili entro 30 giorni) che seguirebbero i circa 5.000 soldati del Very High Readiness Joint Task Force (VJTF). Quest’ultima forza ad altissima prontezza comprende una brigata multinazionale con un massimo di cinque battaglioni di manovra supportati da forze aeree, marittime e speciali, in grado di schierarsi in pochissimi giorni.
Naturalmente tutte queste forze si aggiungono alle forze nazionali già presenti nei paesi menzionati.
Il nuovo contributo italiano nella crisi
L’Italia ha permanentemente comandi terrestri aerei, navali e di forze speciali assegnati alla NATO. Questi comandi a rotazione sono stati più volte responsabili della guida delle componenti NATO in prontezza e, come abbiamo visto, nel 2022 l’Italian Special Operations Component Command sarà proprio uno di questi. Tornando alle misure immediate a seguito delle recenti decisioni del Consiglio Atlantico, l’Italia intende partecipare alle VJTF e potenziare i dispositivi per la presenza terrestre nel Baltico e la sorveglianza navale nell’area sud e aerea dello spazio aereo dell’alleanza (Air Policing).
In particolare, di rilievo sarà la prosecuzione della presenza di forze terrestri in Lettonia (Enhanced Forward Presence) e di Air Policing in Romania (attualmente rispettivamente circa 250 soldati con più di 100 mezzi terrestri in Lettonia e 8 aerei Eurofighter in Romania) ai quali da giugno si aggiungeranno più di mille militari, una settantina di mezzi terrestri, 2 navi e 5 aerei. Inoltre, saranno disponibili per le forze ad altissima prontezza altri 2.000 militari*.
Insomma la NATO, compresa l’Italia, si sta muovendo per rinforzare la presenza ad Est e nel Mediterraneo rassicurando in particolare i propri membri più orientali che per altro non hanno mai smesso di sentirsi minacciati dalla Russia. Questa preoccupazione è diventata naturalmente molto più evidente in questi giorni.
La domanda che ci poniamo è se le misure che sta ponendo in atto la NATO risultano adeguate.
Non entrando nel merito della decisione politica, che ha sicuramente una sua altissima valenza, dal punto di vista militare ci sono da fare alcune considerazioni. Sulla capacità di reazione della NATO nel suo complesso non si devono avere dubbi: ha la capacità di reagire efficacemente a qualsiasi attacco. Anche vedere ben trenta bandierine delle forze armate dei membri NATO schierate là dove necessario dà sicuramente un’idea di compattezza dell’alleanza. Ma attenzione: la valenza simbolica, essenzialmente politica, dello schieramento di una pletora di reparti nella maggioranza dei casi molto piccoli, si scontra con una dislocazione sul terreno che potrebbe risultare poco efficace e non all’altezza dei compiti assegnati. Infatti va sottolineato come dal punto di vista militare avere ad esempio una compagnia di carri armati di una certa tipologia, con soldati con un certo addestramento che seguono particolari procedimenti tecnico-tattici, che usano una certa lingua e con una catena logistica particolare, inquadrata in un battaglione ove operano unità similari di altre nazioni con mezzi e procedimenti tecnico-tattici diversi e lingua diversa, non è consigliabile. Sarebbe compromessa la coesione dell’unità che troverebbe invece di fronte unità monolitiche. Certo, si tenta sempre di standardizzare e di usare la lingua inglese, ma ciò avviene negli alti comandi e molto di meno nelle unità più piccole.
Gli attuali gruppi tattici della NATO operanti nei paesi baltici, come ad esempio il gruppo tattico a guida canadese in Lettonia nel quale è inquadrata l’unità italiana, sono una “macedonia” di unità che rendono il loro comando e controllo a dir poco complesso. In esercitazione potrebbero non esserci problemi, ma nelle fasi concitate di una battaglia contro un nemico determinato, il melting pot di mezzi da combattimento e logistici e di uomini e donne provenienti da ben 9 diverse nazioni in un unico piccolo gruppo tattico di poco più di mille soldati in totale, quindi somma di piccole unità da 50 o 100 elementi, sarebbe deleterio. Insomma, è bello vedere in una parata o su una carta geografica ben nove diverse bandiere nazionali unite dallo stesso ideale, mentre sarebbero meno efficaci nove diverse piccole unità che cercano di operare insieme su un campo di battaglia. Risulta invece opportuno ricercare omogeneità, con truppe della stessa nazione almeno per le task force di livello battaglione e brigata.
Pertanto la NATO dovrebbe riarticolare le unità schierate sul terreno dando una maggiore connotazione nazionale almeno fino a quei livelli. Comunque non dobbiamo avere dubbi sulle capacità delle nostre forze armate che però vanno meglio sostenute finanziariamente e mi riferisco in particolare all’esercito.
Concludendo e tornando sul campo di battaglia, il raggiungimento di alcuni degli obiettivi prefissati ma anche la resistenza ucraina forse inaspettata, potrebbe finalmente spingere Putin a sedersi ad un tavolo di trattative dove però non rinuncerà alle sue pretese: Ucraina (e forse anche altre nazioni) mai nella NATO, riconoscimento dell’indipendenza delle repubbliche del Donbass e probabilmente qualche ulteriore acquisizione territoriale che vada a ricompensarlo delle perdite subite. Sono ore cruciali.