Guerra in Ucraina, lo storico Savino: “Mosca incantata da Trump ma il vero nodo sono le sanzioni”

Sono giorni frenetici sul fronte ucraino dopo l'umiliazione pubblica subita dal presidente Volodymir Zelensky da parte di Donald Trump e del suo vice James David Vance nello studio ovale della Casa Bianca. Abbiamo provato a capire l'impatto degli ultimi eventi sulle opinioni pubbliche interne, con Giovanni Savino, docente dell'Università Federico II di Napoli, ed esperto del conflitto russo ucraino.
Allo show dello studio ovale è seguito prima il mancato accordo per lo sfruttamento del 50% delle terre rare ucraine, che Zelensky si è rifiutato di firmare e poi lo stop, deciso nelle ultime ore, delle forniture di armi a Kiev da parte dell'amministrazione Usa. Il presidente Trump sta inanellando una serie di mosse che stanno cambiando in maniera importante lo scenario intorno alla guerra in Ucraina, non da ultimo il vertice di Riad tra Usa e Russia per avviare i negoziati che possano portare alla pace, ma anche e soprattutto a nuovi accordi economici tra le due potenze, fino a ieri fermamente contrapposte, ed oggi invece al centro di un fitto dialogo economico e diplomatico.

In Russia come sono state prese le mosse di Trump degli ultimi giorni?
Di sicuro per i russi è qualcosa di inatteso, nessuno pensava che Trump si potesse scontare così frontalmente con Zelensky. Trump è andato molto oltre, basti pensare che il presidente americano ha definito quello ucraino "un dittatore", mentre Putin non si è mai spinto a tanto, definendolo invece un "presidente illegittimo". La reazione del Cremlino è di stupore sicuramente, e allo stesso tempo il nuovo quadro porta a pensare che potrebbero finire le restrizioni nei confronti della Russia. Di certo quell'isolamento di Putin che si voleva irrevocabile dalla diplomazia internazionale è fallito, la Russia oggi tratta con gli Usa e lo fa da pari, Mosca oggi è incantata da Trump ma il vero nodo sono le sanzioni. Dimitry Peskov, uno dei portavoce del Cremlino, ha detto proprio in queste ore, che una delle condizioni per la pace deve essere la revoca delle sanzioni. L'amministrazione Trump ne sta già discutendo, soprattutto in alcuni settori. Esiste certamente anche un settore dell'opinione pubblica russa, quella che sostiene di più la guerra, che però invece guarda a questi eventi come un tradimento dell'anti occidentalismo promosso dalla propaganda putiniana in questi anni. Il sentimento prevalente è quello di un ritorno alla normalità, per intenderci, un ritorno a prima del 2022.
Per un "ritorno alla normalità" per i russi è imprescindibile il ritiro delle sanzioni?
Assolutamente. Il ritorno delle sanzioni significa anche il ripristino dei voli, l'ingresso dei prodotti di importazione nel paese che oggi avviene tramite paesi terzi, e quindi anche una svolta nel commercio, che avrebbe un effetto sull'inflazione.
Il ritiro delle sanzioni può essere anche un vantaggio per Trump?
Si può esserlo, Putin quando ha parlato dei negoziati di Riad con gli americani, è intervenuto anche sulle terre rare ad esempio, dicendo che la Russia ne ha di più dell'Ucraina, è che sono disponibili a una joint venture con gli Usa per lo sfruttamento delle terre rare russe. Ai negoziati di Riad Putin ha inviato Kirill Dmitriev, il capo del fondo sovrano russo, che è il principale conoscitore dell'economia americana in Russia. Appare chiaro che una delle armi per il ritiro delle sanzioni usata da Mosca, sia proprio il solleticare gli appetiti dei capitali Usa, e la scelta di Dmitriev va proprio in questo senso. Chiaramente con le sanzioni nessuna joint venture russo-americana è possibile. A sottolineare l'importanza del passaggio, basti pensare che la collaborazione con gli Usa per lo sfruttamento delle risorse è una cosa che Putin non ha mai detto negli ultimi 10 anni. Restano però sullo sfondo i negoziati, perché ci sono altri punti fermi posti da Putin oltre al ritiro delle sanzioni che è il più importante, come l'annessione delle regioni ucraine occupate, tra cui anche alcune zone che attualmente non sono sotto l'occupazione russa, e il no assoluto a una forza di interposizione militare tra i due paesi. Proprio quest'ultima eventualità è riemersa con forza nel vertice di Parigi tra Zelensky e i paesi europei.
In Ucraina invece qual è stato l'impatto degli ultimi eventi?
Sicuramente il presidente Zelensky ne è uscito rafforzato internamente, la mancata firma dell'accordo sulle terre rare è stata presa come uno scatto d'orgoglio, su quello che è successo nello studio ovale ha raccolto molto consenso. Sui social c'è una campagna in cui si vedono ucraini e ucraine mutilati che dicono "questo è il nostro modo di vestire", sulla scia del rimprovero a Zelensky di non avere un abito formale alla Casa Bianca. Dal parlamento ucraino però è arrivato un appello a Trump, in cui si ribadisce la disponibilità a firmare l'accordo sulle terre rare. Questo anche perché i rifornimenti di armi provengono principalmente dagli Usa, sono loro che sono decisivi sullo sforzo bellico.
Che impatto può avere la sospensione delle forniture di armamenti all'Ucraina decisa da Trump?
Bisognerà capire tecnicamente cosa è già arrivato e cosa sta per essere consegnato. In passato, davanti a decisioni del Congresso di fermare la fornitura di armi a Kiev, si è sempre agito sulle nuove produzioni e non su quello che era stato già inviato. Dobbiamo ricordare che molte forniture sono già in Ucraina sul campo, e molte sono ammassate in Polonia in attesa di varcare il confine. Quindi tutto dipenderà da cosa tecnicamente si è sospeso. È chiaro che il valore della decisione è innanzitutto politico. Certo se si bloccano le armi che sono già in Polonia pronte per varcare il confine ed essere consegnate, è uno scenario pesantissimo per le forze armate ucraine.
Trump sembra voler colpire Zelensky, sta avendo successo in questo momento?
È probabile che il calcolo di Trump sia quello di indebolire Zelensky, magari non c'è riuscito con lo show dello studio ovale, ma la sospensione delle forniture militari va in questa direzione. Il problema è come si sostituisce l'attuale presidente, se non per via democratica, e con chi. Al momento nel parlamento ucraino non c'è nessuno che possa entrare in competizione con l'attuale presidente. Le rilevazioni indicano che quello che ha il maggiore gradimento è Valerij Zaluzhny, l'ex comandante in capo delle forze armate ucraine, attualmente ambasciatore nel Regno Unito, lo stesso Zaluzhny però ha sempre sottolineato che una sua eventuale carriera politica potrebbe avvenire solo dopo la guerra. Le altre alternative sono molto deboli, Petro Poroshenko, già presidente dal 2014 al 2019, e considerato sicuramente più di "destra", nei sondaggi è molto indietro rispetto all'attuale presidente. Tra l'altro lo stesso Zelensky ha approvato sanzioni contro di lui non più tardi di poche settimane fa. Insomma al momento alternative non ce ne sono.