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Guerra in Ucraina

Guerra in Ucraina: la Russia ha già perso ma rimane una minaccia

Dopo due anni dall’inizio della cosiddetta “Operazione speciale militare” russa in Ucraina, la presa della cittadina di Avdiivka e le operazioni offensive in atto dei russi stanno facendo cantare vittoria agli ammiratori di Mosca. Ma la realtà delle cose ci dice molto di più e di sostanzialmente diverso.
A cura di Luigi Chiapperini
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In queste settimane, dopo due anni dall’inizio della cosiddetta "Operazione speciale militare" russa in Ucraina, la presa della cittadina di Avdiivka e le operazioni offensive in atto dei russi stanno facendo cantare vittoria agli ammiratori di Mosca. Ma la realtà delle cose ci dice molto di più e di sostanzialmente diverso.

Il 24 febbraio 2022 circa 150mila soldati russi sono penetrati in territorio ucraino lungo 5 direttrici di attacco su un fronte di duemilacinquecento chilometri, cingendo di assedio la capitale Kyiv e occupando circa un quinto del territorio ucraino. Poi le cose non sono andate come si sperava a Mosca: il Governo di Zelensky non è caduto e le sue forze armate hanno combattuto con destrezza e coraggio costringendo dopo poche settimane i russi a ritirarsi dal nord e dall’est per concentrarsi nelle sole provincie sudorientali dell’Ucraina.

La sconfitta della Russia risale già al primo anno di guerra. In campo geopolitico non è riuscita nell’intento di sostituire il Governo ucraino, considerato troppo filo occidentale, con uno più “amico”. Ancora più bruciante è risultato in campo geostrategico lo smacco relativo al tentativo di allontanare la NATO dai propri confini. Non solo Mosca non ha raggiunto l’obiettivo, ma ha ottenuto il risultato opposto: i Paesi ex Patto di Varsavia hanno immediatamente ospitato sul proprio territorio più truppe dell’Alleanza Atlantica in chiave difensiva e di deterrenza e due nazioni storicamente non allineate, Finlandia e Svezia, si sono affrettate ad entrare nella NATO.

Nel prosieguo della guerra, per le forze russe non è andata meglio, in particolare nei mesi centrali del 2023: gli ucraini con una ben coordinata controffensiva hanno ripreso la regione di Charkiv e l’importante capoluogo di Cherson. Durante la seconda controffensiva ucraina dell’estate e autunno 2023, solo una serie di mobilitazioni di riservisti, l’avvio di una vera e propria economia di guerra con la riapertura di linee di montaggio per costruire nuovi sistemi d’arma e milioni di munizioni, oltre al fondamentale aiuto di paesi come l’Iran e la Corea del Nord, hanno permesso ai russi di perdere poche posizioni e successivamente di stabilizzare il fronte.

Un parziale insuccesso di Kyiv dovuto in parte all’insufficiente quantità di aiuti militari da parte dell’Occidente ed in parte ad alcune scelte operative errate, come ad esempio l’incaponirsi ad attaccare lungo troppe direttrici le posizioni fortemente organizzate a difesa dei russi, disperdendo così le forze.

Pertanto in questi mesi invernali si sta assistendo nuovamente a una guerra di posizione ma con l’iniziativa sul terreno tornata in mano ai russi. Gli ucraini, che stanno pagando gli sforzi abbastanza inconcludenti dei mesi precedenti, si sono ritirati da Avdiivka nei pressi del capoluogo Donetsk e stanno cercando di frenare gli attacchi dei reparti di Mosca in altre aree, in particolare a Kupjansk, Kreminna, Bakhmut, Vugledar, Marinka, Cherson e Robotyne.

In quest’ultima località gli ucraini nel 2023 erano riusciti a spezzare la linea di difesa russa creando un saliente che però ora stanno lentamente perdendo nuovamente. Si tratta di pochi kmq a fronte di grosse perdite di personale e mezzi da ambo le parti, ma questi movimenti della linea di contatto, seppur minimi, sono fondamentali nella guerra psicologica e mediatica e sufficienti per far gridare vittoria a Putin in vista delle prossime elezioni presidenziali.

Nella realtà dei fatti, oltre alla Crimea già annessa da Mosca nel 2014, solo la metà dei territori delle altre quattro regioni (Cherson, Zaporizhia, Donetsk e Lugansk) che Mosca considera ormai definitivamente annesse, risulta sotto occupazione militare delle sue forze. Questo della situazione militare sul campo, è un altro dei motivi per cui la Russia ha già perso, quantomeno in prestigio: il secondo esercito del mondo, dopo ben due anni di una guerra sanguinosa condotta con quasi tutto il suo potenziale bellico, non è ancora riuscito ad avere la meglio sull’esercito considerato al ventitreesimo posto a inizio guerra (ora reputato al quindicesimo della graduatoria mondiale grazie agli aiuti occidentali).

La Federazione Russa potrebbe aver perso ben 300 mila soldati solo per conquistare, in ventiquattro mesi, una striscia di territorio ucraino profonda poche decine di chilometri a nord della Crimea e del Mar d’Azov. Non è un risultato da poco ma ci si sarebbe aspettati molto di più.

Cosa accadrà nei prossimi mesi dipenderà essenzialmente da due fattori. Il primo è il punto interrogativo sulla cessione alle forze armate ucraine di ulteriori aiuti militari. L’Europa e altri paesi del mondo sembra stiano continuando a fare la sua parte mentre gli Stati Uniti, che sinora sono stati i maggiori contributori allo sforzo bellico ucraino, non hanno ancora deciso se autorizzare o meno un ulteriore sostegno probabilmente a causa della posizione meno possibilista assunta da una parte dell’opposizione repubblicana che detiene la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti.

Si tratta di circa 60 miliardi di dollari in aiuti militari, pari circa a due anni di budget militare di una media potenza europea in tempo di pace (come ad esempio l’Italia). Per far sì che gli ucraini possano continuare a difendersi efficacemente c’è bisogno di munizioni per le artiglierie, velivoli per acquisire almeno localmente la superiorità aerea, mezzi per lo sminamento dei campi minati, carri armati (quelli occidentali ceduti sinora sono solo circa un centinaio e pertanto non sono in grado di cambiare le sorti del conflitto), sistemi per la guerra elettronica in funzione anti-droni.

Detti aiuti non consentiranno all’Ucraina di riprendere l’iniziativa nel breve periodo ma sicuramente potrebbero fermare, o quanto meno rallentare, l’iniziativa offensiva russa di questi ultimi mesi.

La seconda criticità per gli ucraini è connessa con i contraccolpi dovuti alla sostituzione del Gen. Zaluzhny con il nuovo Capo di Stato Maggiore Gen. Syrski. Prima di tutto l’opinione pubblica è rimasta verosimilmente scossa nel percepire crepe nella coesione politico-militare dei vertici di Kyiv. Inoltre le operazioni militari hanno per certi versi patito per l’avvenuta soluzione di continuità lungo la linea di comando. Infine c’è da chiedersi se in tale quadro il morale delle truppe ucraine sul terreno sia calato o meno.

I movimenti pacifisti ritengono, credo in buona fede, che continuare ad aiutare l’Ucraina significa prolungare una guerra cruenta che nessuno vuole. A queste asserzioni si può rispondere che sicuramente la guerra non la volevano gli ucraini che si sono visti attaccare furiosamente e sottrarre pezzi del proprio territorio. Per altro darla vinta a chi intende risolvere le diatribe internazionali, sulla base di giustificazioni inaccettabili ed anche per proprio tornaconto politico personale, scatenando un conflitto che non si vedeva in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, è a dir poco allarmante. Altri nel mondo potrebbero seguire il suo esempio.

Poi ci sono i filorussi ideologici. Per loro la Russia deve vincere perché è la Russia (sic!). Si può comprendere il loro desiderio di sentirsi affini a un grande popolo, quello russo, che ha condiviso con l’Occidente tanta storia e cultura. Risulta meno comprensibile l’infatuazione per la sua classe politica che ha scatenato una guerra tremenda, che non si fa scrupolo di eliminare anche fisicamente gli oppositori, che sta traghettando un popolo orgoglioso verso un futuro oscuro e pieno di tragiche incognite e che ha già trovato nel mondo emuli molto pericolosi per noi tutti.

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Generale di Corpo d'Armata in quiescenza dei lagunari Luigi Chiapperini, membro del Centro Studi dell’Esercito, già pianificatore nel comando Kosovo Force della NATO, comandante dei contingenti nazionali NATO in Kosovo nel 2001 e ONU in Libano nel 2006 e del contingente multinazionale NATO in Afghanistan nel 2012, coautore del libro “Geopolitica e Strategia” (Edizioni Artestampa, 2024).
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