Guerra in Ucraina, cosa sta succedendo a Chasiv Yar: la battaglia chiave nel Donbass non è finita
Chasiv Yar non è caduta, non ancora. Con le sue colline, resta un ostacolo all’avanzata russa nel Donbass non occupato. La battaglia per la città va avanti da quasi un anno. È un esempio della capacità di resistenza degli ucraini e della lentezza operativa degli invasori. Che aumentano la pressione anche sul fronte di Kharkiv e nel Kursk. Il numero di caduti è atroce. Entrambi gli eserciti sono sfiniti. A Kyiv tutti vorrebbero un negoziato, a partire da Zelensky. A Mosca però non si ha fretta. Vladimir Putin punta ad accaparrarsi più territorio ucraino possibile, prima. E spera che un collasso delle forze armate nemiche porti a una resa alle sue condizioni. Significherebbe la fine dell’Ucraina. Non necessariamente l’inizio della pace.
Resistenza
“Se prendono Chasiv Yar, le truppe russe possono avanzare verso Kostiantynivka per unirsi al gruppo che opera nell'area di Pokrovsk. E puntare poi su Kramatorsk, dove attualmente si trova l'amministrazione ucraina della regione di Donetsk”, dice a Fanpage.it l’analista militare Dmitry Kuznets, che segue la guerra per la testata indipendente Meduza.
Secondo il Moscow Times, che cita non meglio precisate fonti ucraine ed europee, Chasiv Yar è già in mano ai russi. Kuznets, che ha occhi sul terreno, è in grado di smentirlo: “Gli ucraini controllano ancora circa metà della territorio cittadino. Le loro posizioni nel centro e a sud resistono”. Un altro analista militare russo, Ian Matveev, conferma: “Il sudovest della città resta sotto il controllo dei difensori. Le forze russe sono avanzate in più direzioni ma non hanno ancora preso Chasiv Yar”, dichiara a Fanpage.it.
La caduta di questa roccaforte nel Donbass rimasto ucraino sembra però vicina. La svolta, spiegano i due analisti, è stata la recente conquista di una fabbrica: lo Stabilimento Materiali Refrattari, in una posizione chiave sulla collina più alta dell'area. L'assalto allo stabilimento è durato mesi. “Senza più il controllo di quell'altura, per le truppe di Volodymyr Zelensky sarà difficile tenere la città”, nota Kuznets.
Foreste macabre
Chasiv Yar è ridotta in macerie. Dei suoi 12mila abitanti, alla fine di novembre solo in 300 non erano ancora sfollati, secondo l’amministrazione militare ucraina. I russi hanno impiegato contro la città ogni tipo di arma, bombe termobariche comprese. Hanno attaccato secondo la tattica del tritacarne, con gruppi di fanteria mandati avanti a ondate. Talvolta senza il supporto di mezzi corazzati.
I portavoce militari di Kyiv riferiscono di perdite immani da parte delle unità di carcerati Shtorm-Z e Shtorm-V, utilizzate dai russi nell’offensiva. Solo nel periodo tra il luglio e l’agosto del 2024, Mosca ha dovuto contare cinquemila caduti, calcolano le forze armate ucraine e il think tank americano Institute for the Study of War (Isw). Le foreste intorno alla città sono diventate un grande cimitero.
La distruzione di Bakhmut e poi, nel febbraio 2024, la presa di Adviidka non erano che un avvicinamento al vero obiettivo: Chasiv Yar. Strategica per la posizione elevata e per il canale che la unisce a Bakhmut, a soli dieci chilometri di distanza. Geografia, tempi impiegati, e perdite subite rendono l’idea della lentezza estenuante e dei costi mostruosi dell’avanzata di Vladimir Putin in Ucraina.
Pressione su tutti i fronti
L’obiettivo principale di Mosca è il Donbass. Ma ci sono stati sviluppi anche sul fronte di Kharkiv, con la caduta di Dvorichna, cittadina di tremila abitanti occupata il primo giorno dell’invasione, liberata dagli ucraini nel settembre 2022 e adesso di nuovo in mano russa.
Lo scopo, qui, è di colpire il più duramente possibile il nemico per indebolirne le forze e provocare a una rotta che coinvolga anche gli altri fronti. Al contempo, si tratta di conquistare territori al di fuori delle quattro regioni ucraine formalmente annesse alla Federazione Russa ma non del tutto occupate. Per avere merce di scambio nel caso in cui in futuro si dovesse negoziare sul serio.
Lo scenario resta quello di una guerra di attrito. I russi non sono in grado di intraprendere azioni decisive. Forse nemmeno lo vogliono. “Le forze di Mosca sono bloccate nel saliente sulla riva occidentale del fiume Oskil”, osserva Dmitry Kuznets. Motivo: mezzi corazzati e artiglieria russi sono bloccati sulla riva est. Un'avanzata di pochi chilometri lascerebbe le truppe di Mosca senza copertura. Nel lungo periodo, espandendo il saliente a nord, potrebbero attaccare la città di Kupiansk. “Se ci riuscissero, la difesa ucraina a est dell'Oskil potrebbe crollare, ma per ora è improbabile”, afferma l’analista.
Kursk
La pressione dei russi aumenta anche nella loro oblast di Kursk, occupata dagli ucraini l’estate scorsa. Pure qui le operazioni vanno a rilento. “La situazione è quasi invariata”, commenta Kuznets. “L’esercito di Putin tenta di riprendersi Mala Loknya, a nord-ovest di Sudzha. Senza successo”. Se i soldati di Kyiv perdessero Mala Loknya, dovrebbero ritirarsi da tutto il settore settentrionale del saliente nel Kursk.
Si tenta anche di avanzare nell’area di Nikolaevo-Daryevo per tagliare i rifornimenti ucraini, “ma senza progressi rilevanti”, ritiene l’analista. Parliamo di un villaggio di 150 abitanti, vicino al confine. Il ministero della Difesa della Federazione Russa lo ha già dichiarato “liberato”. Fonti militari ucraine due mesi fa hanno detto all’agenzia Afp che dei 1.400 chilometri conquistati nel territorio nemico, solo 800 restavano sotto il controllo di Kyiv.
Nel corso della controffensiva, sono stati letteralmente sgominati i nordcoreani. Degli 11mila arrivati sul fronte, metà sono stati uccisi o feriti, secondo il Capo di stato maggiore ucraino Oleksandr Syrsky. Ora gli alleati del Cremlino si sono ritirati nelle retrovie, scrive il New York Times citando funzionari di Kyiv e di Washington. Non sono più in linea da settimane. Il quotidiano statunitense racconta che erano stati lasciati a se stessi, senza collegamenti né ordini comprensibili. Carne da cannone.
Terreni di scambio
“Ci sono due teorie, entrambe valide”, commenta a Fanpage.it il direttore del programma Eurasia del Quincy Institute Anatol Lieven. “La prima è che i russi non avanzano più rapidamente perché mancano di uomini”. Putin non ha osato dichiarare legge marziale, mobilitazione e coscrizione di massa. Il suo è un esercito di volontari molto ben pagati ma numericamente limitato. “La seconda teoria — continua Lieven — è che i russi non puntano a grandi avanzate, ma solo a logorare gli ucraini”. Perché alla fine “è più probabile che siano loro a crollare: la differenza di risorse resta pur sempre a favore di Mosca”.
La maggiore incognita è se e quando i russi lanceranno un'offensiva decisiva per chiudere la guerra, e se questa avrebbe successo. “I media occidentali raccontano l'esaurimento delle forze ucraine, la carenza di munizioni e addestramento”, osserva l’analista. “Non abbiamo invece informazioni dirette sul morale e lo stato delle truppe russe. Potrebbero essere anch'esse esauste e demoralizzate”.
Anatol Lieven ritiene probabile, in caso di negoziato, che Putin accetti di ritirarsi dai territori conquistati al di fuori delle quattro regioni che si è annesso. Per ottenere in cambio le parti delle regioni annesse che non è riuscito ad occupare: “È quanto mi hanno riferito a Mosca fonti affidabili”, spiega. “Le aree interessate dal ritiro dovrebbero poi diventare zone smilitarizzate”.
Della possibilità di uno scambio di territori ha parlato chiaramente a Fanpage.it il consigliere del Cremlino Dmitry Suslov. Anche il parlamentare ucraino Oleksiy Goncharenko lo ritiene possibile. Ma qualcuno deve costringere Putin a trattare: “Lui non vuole il negoziato, si può solo sperare che Donald Trump lo costringa ad accettarlo”, dice a Fanpage.it il deputato. “La nostra presenza nel Kursk consentirebbe uno scambio territoriale”. Magari con Zaporizhzhia, “area importante, e non solo per noi. Perché vi è ala più grande centrale nucleare d’Europa”.
Scenari di pace (e non)
Goncharenko ribadisce che in Ucraina la gente vuole la pace, il prima possibile. È un oppositore di Zelensky ma concorda col presidente che al momento è impossibile riprendersi i territori invasi armi in pugno. “L’ultimo nostro grande successo strategico risale al novembre 2022, quando abbiamo liberato Kherson”, ricorda. “Quello nel Kursk è un successo solo tattico". I sondaggi rilevano che la maggior parte della popolazione è favorevole a un negoziato in grado di garantire la sicurezza del Paese.
Goncharenko smentisce che il capo dell’intelligence militare Kyrylo Budanov abbia mai riferito in Parlamento sull’esigenza di negoziati immediati altrimenti l’Ucraina è spacciata: “Ha solo detto che la situazione durante l’estate potrebbe peggiorare. Non ha parlato di alcun pericolo esistenziale”.
Putin prende tempo. Il presidente russo spera che l’Ucraina crolli prima di ogni passo negoziale. “Senza gli aiuti militari e finanziari dagli Usa, potrebbe sopravvivere un mese, un mese e mezzo al massimo”, ha detto al suo affezionato intervistatore della tivù di stato russa Pavel Zarubin. “Non credo proprio che Trump tagli gli aiuti, sarebbe una sua sconfitta”, replica il deputato di Kyiv Goncharenko. “Comunque, subentrerebbe subito l’Europa: non vorrà lasciare Varsavia a tiro dei carri armati russi”.
Nell’inverno del 2024 gli Stati Uniti interruppero gli aiuti per mesi. L’Ucraina ne risentì in modo grave. Ma non ci fu una Caporetto. L’amministrazione Biden ha assicurato armamenti per miliardi di dollari affinché Kyiv possa resistere a lungo, se Trump bloccasse le forniture. “Preferiamo trattare la pace, su basi realistiche e con precise garanzie”, conclude Dmitry Goncharenko. “Ma se Putin non vorrà negoziare, combatteremo. Anche senza aiuti, come nei primi mesi di guerra. Ne va della nostra stessa esistenza”.
Nel caso di una vittoria definitiva di Putin sul campo, con ogni probabilità inizierebbe la guerriglia continua contro gli invasori. Altro che pace. Se Putin spera in una Caporetto, forse deve mettere in conto il Piave.