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Guerra in Sudan, l’Italia chiude ed evacua l’ambasciata. Emergency: “Rimaniamo nei nostri ospedali”

Il Governo Italiano ha deciso di chiudere l’Ambasciata in Sudan e mettere in sicurezza i funzionari che vi operavano: “Tutto è proceduto nel modo migliore”, ha dichiarato il Ministro degli Esteri Antonio Tajani. Emergency: “Restiamo, non possiamo abbandonare 81 pazienti”.
A cura di Davide Falcioni
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A dieci giorni dall'inizio della guerra in Sudan tra le unità dell'esercito regolare fedeli al suo capo militare, il generale Abdel Fattah al-Burhan, e le forze di supporto rapido, guidate da Mohamed Hamdan Dagalo, il Governo Italiano ha deciso di chiudere l'Ambasciata nel Paese africano e mettere in sicurezza i funzionari che vi operavano: "Tutto è proceduto nel modo migliore", ha dichiarato oggi pomeriggio in conferenza stampa Antonio Tajani. Gli italiani "sono stati tutti messi in sicurezza. La nostra ambasciata è stata chiusa, molto probabilmente la sposteremo in maniera temporanea o in Etiopia o in Egitto".

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Dopo l'evacuazione di ieri dei primi 98 italiani altri 83 sono stati messi in sicurezza insieme a 23 stranieri, svizzeri e greci, rimasti intrappolati a Khartoum. L'operazione è stata resa possibile grazie al coordinamento tra la Presidenza del Consiglio, l'Unità di crisi della Farnesina e l'intelligence italiana. "Tutti gli italiani che volevano lasciare il Paese sono ora a Gibuti e rientreranno a Roma con un volo dell’Aeronautica militare. Stanno tutti bene", ha spiegato il capo della Farnesina Tajani, al suo arrivo al Consiglio Ue Esteri a Lussemburgo. "Sono rimasti alcuni, volontari di Emergency, credo qualche missionario, che non hanno voluto lasciare il Paese, quindi era una loro libera scelta", ha aggiunto.

I nostri connazionali sono stati fatti convergere presso la residenza dell'Ambasciatore d'Italia, Michele Tommasi che è partito con loro. L'evacuazione degli italiani così come quella degli altri Paesi è il frutto della mediazione con i due generali che attualmente si contendono il Sudan. Per ora hanno rispettato l'accordo con gli stranieri ma gli scontri continuano.

Emergency: "Restiamo in Sudan, non possiamo abbandonare 81 pazienti"

Come specificato dal Ministro degli Esteri in Sudan sono rimasti alcuni missionari ed operatori di Emergency, Ong da decenni presente nel Paese con il Centro Salam di cardiochirurgia a Khartoum e i centri pediatrici di Mayo (Khartoum), Nyala (Sud Darfur) e Port Sudan. In tutto 46 operatori internazionali dell'Organizzazione Non Governativa fondata da Gino Strada hanno deciso di rimanere per proseguire il loro lavoro negli ospedali: "Sono giorni estremamente difficili e di grande tensione a Khartoum, ma abbiamo deciso di rimanere qui per gli 81 pazienti in cura nel nostro ospedale. Non possiamo abbandonarli perché rischierebbero la vita – spiega Franco Masini, medical coordinator del Centro Salam di cardiochirurgia di Emergency a Khartoum –. Tuttora molti colleghi dello staff sudanese non possono tornare a casa per motivi di sicurezza e stanno dormendo in ospedale per dare continuità di cura a pazienti ricoverati".

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"Finora, nessuna delle nostre strutture e nessuno del nostro staff è stato attaccato o minacciato direttamente. Ognuno ha deciso individualmente se lasciare l’ospedale sulla base della valutazione delle precarie condizioni di sicurezza della capitale e dei bisogni dei pazienti – aggiunge Muhameda Tulumovic, coordinatrice del Programma di EMERGENCY in Sudan -. Oggi rimane chiuso il Centro pediatrico di Mayo, alle porte della capitale, dove non avremmo potuto garantire nessuno standard di sicurezza né per lo staff, né per i pazienti. Abbiamo ripreso il lavoro a Nyala, nel Sud Darfur, dove negli ultimi giorni i combattimenti si sono affievoliti. Anche nel nostro Centro pediatrico di Port Sudan stiamo continuando le attività, ma lì la situazione è sempre rimasta sotto controllo".

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