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Guerra in Libia, il ruolo ancora marginale della Mogherini riflette la fragilità dell’Ue

L’Alto rappresentante delle politiche Estere e di Difesa comunitarie sconta la scarsa coesione delle nazioni europee, mancando d’iniziativa e autorevolezza.
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La Libia brucia. L'Egitto è in massima allerta per le minacce esterne ed interne al paese. I terroristi islamici dell'Is minacciano l'Europa, e soprattutto i paesi dell'area Mediterranea, dicendo di essere pronti a inviare fino a 5mila uomini per compiere attentati e stragi nelle principali capitali, Roma in testa. Il Mare Nostrum continua ad essere solcato da barconi della speranza che troppo spesso affondano senza che nessuno possa far niente.

Dire che le preoccupazioni e la tensione cresce giorno dopo giorno nelle cancellerie del Vecchio continente è un dato di fatto. Una tensione che, tuttavia, non sembra essere contrastata da una strategia politica comunitaria che prenda in mano concretamente le redini delle emergenze in corso e pianifichi, di concerto con gli altri soggetti internazionali e sovranazionali, interventi congiunti e coordinati per prevenire la concretizzazione di tali minacce. È vero che da sempre la politica estera comunitaria dell'Ue è stata più un'ambizione, quasi una chimera che una realtà, soprattutto se si pensa alle ferree direttive di politica economica adottate dal 1992 in poi, ma ad oggi il vuoto politico e d'azione sembra essere ancora più evidente.

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L'attuale Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, l'italiana Federica Mogherini (proprio in queste ore a New York per un incontro con, tra gli altri, il Segretario di Stato Usa John Kerry, il segretario dell'Onu ban Ki Moon e il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry), sembra essere più una spettatrice neutrale di quanto avviene sia sul campo di battaglia che nelle sedi diplomatiche, che la voce autorevole dell'Ue. Basti pensare a quanto avvenuto, pochi giorni fa, a Minsk nell'incontro relativo alla guerra in Ucraina orientale. In quell'occasione il summit ha visto come protagonisti il Presidente Francese François Hollande, la Cancelliera tedesca Angela Merkel, il Presidente ucraino Petro Porošenko, il Presidente Russo Vladimir Putin e, a distanza, il Presidente Usa Barack Obama. In quell'occasione, in cui è stata scritta una pagina importante della storia della diplomazia europea – nonché, forse, è stato evitato che il conflitto assumesse dimensioni ancora più grandi e drammatiche –, il ruolo di protagonisti assoluti è stato ricoperto da Germania e Russia, con l'Unione Europea assente sia alle trattative che, fatto ancora più grave, al tavolo stesso negoziale.

Il vertice bielorusso ha mostrato, secondo molti osservatori, quanto in realtà ancora oggi il peso del massimo rappresentante diplomatico europeo (spesso abbreviato come Pesc, ovvero Politica estera e di sicurezza comune) sia ancora inconsistente. È stata la Cancelliera tedesca che di sua iniziativa e di concerto con il rappresentante dell'Eliseo, ha incontrato prima Putin e poi Obama, con l'obiettivo di rivitalizzare il percorso di pace sepolto per troppi mesi sotto l'indifferenza dell'Occidente e causato dalla linea di politica estera aggressiva e miope di Washington e Mosca. Oggi, che si torna a discutere di Libia (con un ritardo terribile e soprattutto colpevole, visto che i paesi della Nato hanno abbandonato il paese dopo i raid del 2011) e dell'incombente minaccia dello Stato Islamico (Is noto in precedenza anche come Isis e Isil) sarebbe stato opportuno che l'Ue, e quindi il suo massimo rappresentante diplomatico, dettassero le linee guida dei possibili interventi in modo coordinato e congiunto. Invece e ancora una volta sono stati i rappresentanti dei singoli stati (solo per citarne alcuni il Presidente Hollande, il ministro degli Esteri libico Mohammed al-Dairi e il ministro italiano della Difesa Roberta Pinotti) a chiedere un intervento al Consiglio di Sicurezza dell'Onu e a proporre differenti ipotesi d'intervento.

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La Mogherini, da New York, ha ribadito la pericolosità della situazione e la necessità di proporre delle contromosse. Pochi minuti fa, si legge sull'account twitter di lady Pesc, la rappresentante diplomatica dell'Ue ha aggiornato i suoi colleghi europei diramando una nota sintetica: “Tutti i presenti [coloro che hanno partecipato al summit di New York, ndr] hanno espresso il più saldo supporto al rappresentante speciale dell'Onu in Libia Bernardino León, per la mediazione finalizzata alla creazione di un governo di unità nazionale [in Libia], che la comunità internazionale si dice pronta a supportare nella lotta contro Daesh. Tutti i presenti hanno acconsentito a mantenere un coordinamento costante tra le parti al fine di decidere quali saranno le prossime mosse da assumere”.
E se è vero come è vero che la diplomazia ha sempre bisogno di tempi lunghi, di difficili giochi di ombre e di equilibri tra i vari soggetti interessanti, l'apporto Europeo – al momento – continua ad apparire quanto meno secondario sullo scacchiere internazionale, quando invece potrebbe e dovrebbe giocare un ruolo di primo piano nella gestione e quindi soluzioni dei conflitti regionali che insistono almeno in prossimità dei propri confini.

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